Honduras: i militari arrestano il presidente Zelaya
Il presidente dell'Honduras, Manuel Zelaya, e' stato arrestato stamani dall'esercito
nella sua residenza di Tegucigalpa, portato in una base dell'aeronautica nella capitale
e - secondo alcune fonti - trasferito in Costa Rica. Proprio oggi il Paese era chiamato
a votare un referendum costituzionale che gli avrebbe consentito di correre per un
nuovo mandato presidenziale, nonostante l'opposizione della Corte Suprema, dell'Esercito
e del Congresso. Il referendum era osteggiato anche da alcuni membri del partito del
presidente. L'arresto arriva dopo la delicata crisi istituzionale che si era aperta
a seguito della decisione di Zelaya di rimuovere il capo di stato maggiore delle forze
armate, Romeo Vasques: decisione contestata dallo stesso militare, la cui reintegrazione
all'incarico era stata d'altra parte chiesta dalla Corte suprema del paese centroamericano.
Il presidente del Venezuela, Hugo Chavez, in dichiarazioni alla rete Telesur, ha affermato
che quello in corso in Honduras e' un colpo di Stato.
L'Unione europea
ha condannato all'unanimita' l'arresto del presidente dell'Honduras da parte dell'esercito
e ha chiesto l'immediato ripristino dell'ordine costituzionale. Lo ha annunciato a
Corfu' il ministro degli Esteri della Repubblica Ceca, Jan Kohout, il cui Paese e'
attualmente presidente di turno dell'Ue. Anche dal ministro degli Esteri spagnolo,
Miguel Moratinos, e' arrivata una condanna per "questo colpo di Stato militare".
La
Chiesa cattolica, da parte sua, aveva espresso ancora recentemente le sue perplessità
sull’indizione del referendum definito come un atto unilaterale e forzato. I presuli
si erano detti molto preoccupati per la situazione del Paese: la conflittualità politica,
la violenza, la povertà, la diminuzione delle risorse finanziarie dello Stato, la
disoccupazione, l'escalation del crimine organizzato e del narcotraffico, senza sottovalutare
la “perdita di forza dei valori morali e religiosi". "Di quest'insieme di problemi
che insidiano la nostra democrazia, tutti, in una qualche misura – affermano i vescovi
dell’Honduras - devono sentirsi responsabili: i poteri dello Stato, le sue istituzioni
e organismi, i partiti politici, i gruppi di potere nazionali e transnazionali. Insomma,
tutti coloro che fanno parte della società honduregna siamo responsabili, in particolare
quando ci si comporta con passività o indifferenza di fronte ai pericoli che minacciano
la nostra debole democrazia, spesso più elettorale e rappresentativa che partecipativa".
Ma su come si sono svolti i fatti oggi nel Paese sentiamo Francesca
Ambrogetti