La 45a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro diretta da Giovanni Spagnoletti,
in programma fino al 29 giugno, dedica una delle sue sezioni principali al “Nuovo
cinema israeliano”. Un occasione per riflettere sulla forza narrativa e morale dell’arte
cinematografica israeliana, in un dibattito che soprattutto coinvolge le ultime generazioni
di registi alle prese con le tante contraddizioni e ricchezze culturali della società
in cui vivono e operano. Da Pesaro, Luca Pellegrini: Anima
critica del Paese, il cinema israeliano proiettato a Pesaro in una ricca retrospettiva
– e di cui molto si è discusso in una vivace tavola rotonda con alcuni tra i suoi
più giovani e brillanti rappresentanti -, ha decisamente riconfigurato molte delle
certezze, presunte e relative, con le quali si è abituati a percepire l’attuale società
israeliana. Forte di un’autonomia e libertà espressiva rare nel mondo dell’arte e
della comunicazione, sorretto da finanziamenti statali generosi, con un produzione
media annuale di 25 lungometraggi e 100 documentari, il cinema israeliano occupa un
ruolo fondamentale nella coscienza collettiva di un popolo che non affronta soltanto
guerre e terrorismo. Un mondo assolutamente inaspettato avvolge lo spettatore: i registi
israeliani arrivati a Pesaro con i loro film, Danny Lerner, Michale Boganim, Raphael
Nadjari, Ran Slavin, Maya Zack, parlano di scuole e di famiglia, di drammi psicologici
e solitudini, di diritti e doveri, di scontri tra una società secolarizzata e quella
più legata al rigore espresso dalle tradizioni religiose. Insomma, nella retrospettiva
pesarese – da non perdere – ci si rende conto di un’altra Israele. Maurizio
G. De Bonis, che ha scelto con attenzione e rigore pellicole e registi,
non ha dubbi sulla vivacità della moderna cinematografia israeliana e aggiunge: R.
– La vivacità della cinematografia israeliana è direttamente proporzionale alla vivacità
della società israeliana; una società complessa, multietnica, piena di contraddizioni,
ma anche piena di attenzione per le questioni legate al Medio Oriente e alle questioni
sociali, ed il cinema è lo specchio della società israeliana. D.
- I diversi registi presenti a Pesaro testimoniano la capacità nell’affrontare, anche
con vere e proprie sperimentazioni formali e visive, temi estremamente delicati… R.
– Il cinema israeliano affronta, ormai da una decina d’anni, questioni assolutamente
centrali nella storia del Medio Oriente e nella storia del Paese. Certamente, i due
aspetti più affrontati sono quelli legati al conflitto con il mondo arabo-palestinese,
ma anche le questioni sociali interne e gli aspetti contraddittori della vita religiosa
sono al centro delle prospettive dei registi israeliani che cercano, con lucidità,
di analizzare questioni e problematiche che poi, in Europa e negli Stati Uniti, assumono
connotazioni differenti. D. – Secondo lei, il cinema può dare,
nella sua prospettiva etica, un contributo, se non alla pacificazione del Medio Oriente,
ad una più lucida coscienza dei diritti e dei doveri dei due popoli in guerra? R.
– Direi che i cineasti israeliani lavorano con estrema attenzione sulla questione
della pace, dei diritti del popolo palestinese. Il cinema israeliano, in tal senso,
attraverso l’opera dei suoi registi, è una sorta di grande psicanalisi collettiva,
all’interno della quale si analizzano le problematiche comportamentali degli individui
ma anche della collettività, in funzione di una prospettiva di pace che, in fin dei
conti, nonostante quello che viene fuori anche dagli organi d’informazione, la maggioranza
degli israeliani insegue.