2009-06-26 16:20:48

Il nuovo cinema israeliano al Festival di Pesaro


La 45a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro diretta da Giovanni Spagnoletti, in programma fino al 29 giugno, dedica una delle sue sezioni principali al “Nuovo cinema israeliano”. Un occasione per riflettere sulla forza narrativa e morale dell’arte cinematografica israeliana, in un dibattito che soprattutto coinvolge le ultime generazioni di registi alle prese con le tante contraddizioni e ricchezze culturali della società in cui vivono e operano. Da Pesaro, Luca Pellegrini:RealAudioMP3
 
Anima critica del Paese, il cinema israeliano proiettato a Pesaro in una ricca retrospettiva – e di cui molto si è discusso in una vivace tavola rotonda con alcuni tra i suoi più giovani e brillanti rappresentanti -, ha decisamente riconfigurato molte delle certezze, presunte e relative, con le quali si è abituati a percepire l’attuale società israeliana. Forte di un’autonomia e libertà espressiva rare nel mondo dell’arte e della comunicazione, sorretto da finanziamenti statali generosi, con un produzione media annuale di 25 lungometraggi e 100 documentari, il cinema israeliano occupa un ruolo fondamentale nella coscienza collettiva di un popolo che non affronta soltanto guerre e terrorismo. Un mondo assolutamente inaspettato avvolge lo spettatore: i registi israeliani arrivati a Pesaro con i loro film, Danny Lerner, Michale Boganim, Raphael Nadjari, Ran Slavin, Maya Zack, parlano di scuole e di famiglia, di drammi psicologici e solitudini, di diritti e doveri, di scontri tra una società secolarizzata e quella più legata al rigore espresso dalle tradizioni religiose. Insomma, nella retrospettiva pesarese – da non perdere – ci si rende conto di un’altra Israele. Maurizio G. De Bonis, che ha scelto con attenzione e rigore pellicole e registi, non ha dubbi sulla vivacità della moderna cinematografia israeliana e aggiunge:
 
R. – La vivacità della cinematografia israeliana è direttamente proporzionale alla vivacità della società israeliana; una società complessa, multietnica, piena di contraddizioni, ma anche piena di attenzione per le questioni legate al Medio Oriente e alle questioni sociali, ed il cinema è lo specchio della società israeliana.
 
D. - I diversi registi presenti a Pesaro testimoniano la capacità nell’affrontare, anche con vere e proprie sperimentazioni formali e visive, temi estremamente delicati…
 
R. – Il cinema israeliano affronta, ormai da una decina d’anni, questioni assolutamente centrali nella storia del Medio Oriente e nella storia del Paese. Certamente, i due aspetti più affrontati sono quelli legati al conflitto con il mondo arabo-palestinese, ma anche le questioni sociali interne e gli aspetti contraddittori della vita religiosa sono al centro delle prospettive dei registi israeliani che cercano, con lucidità, di analizzare questioni e problematiche che poi, in Europa e negli Stati Uniti, assumono connotazioni differenti.
 
D. – Secondo lei, il cinema può dare, nella sua prospettiva etica, un contributo, se non alla pacificazione del Medio Oriente, ad una più lucida coscienza dei diritti e dei doveri dei due popoli in guerra?
 
R. – Direi che i cineasti israeliani lavorano con estrema attenzione sulla questione della pace, dei diritti del popolo palestinese. Il cinema israeliano, in tal senso, attraverso l’opera dei suoi registi, è una sorta di grande psicanalisi collettiva, all’interno della quale si analizzano le problematiche comportamentali degli individui ma anche della collettività, in funzione di una prospettiva di pace che, in fin dei conti, nonostante quello che viene fuori anche dagli organi d’informazione, la maggioranza degli israeliani insegue.







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