I ministri del G8 chiedono la fine delle violenze in Iran
L’Iran è ancora in primo piano anche nella seconda giornata del vertice G8 dei ministri
degli Esteri in corso a Trieste. Nella dichiarazione comune dei capi delle diplomazie
delle otto economie più importanti del mondo, viene rivolto un “forte invito” alle
autorità di Teheran a cercare soluzioni pacifiche alla crisi in atto. Mano tesa poi
per riaprire il dialogo sul programma nucleare. Il servizio di Marco Guerra:
Il tema principale
in agenda dell’odierna giornata del vertice di Triste è la stabilizzazione dell’Afghanistan
e del Pakistan, ma la mattinata ha visto di nuovo un intenso confronto sulle vicende
postelettorali in Iran. In una dichiarazione congiunta i ministri degli Esteri del
G8 hanno chiesto che ''le violenze cessino immediatamente'', esprimendo grande preoccupazione
e una ferma condanna per le vittime di questi giorni, senza però entrare nel merito
del risultato del voto. Il canale diplomatico resta tuttavia aperto per la soluzione
del programma nucleare di Teheran, ma gli otto grandi assicurano che nei prossimi
mesi verificheranno se ''la mano tesa verrà raccolta oppure no''. Non meno importante
è poi l’appello lanciato a israeliani e palestinesi per il blocco degli insediamenti
in Cisgiordania e la fine delle violenze e del terrorismo, e la condanna, fortemente
voluta dal Giappone, dei test nucleari della Corea del Nord. Al momento, su tutti
questi dossier si è registrata una posizione comune, sebbene si tema più prudenza
da parte di Mosca nei confronti del documento finale che potrebbe essere adottato
oggi. Ad ogni modo, nel pomeriggio si entrerà nel vivo dei lavori della seconda giornata,
con riunioni allargate ai ministri di Afghanistan e Pakistan, dei Paesi confinanti
e di quelli contributori. A margine di questi incontri, si terrà inoltre una riunione
del Quartetto per il Medio Oriente (Usa, Ue, Russia e Onu).
Intanto il
Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione, incaricato di decidere la legittimità dei
risultati nelle contestate elezioni presidenziali, ha ribadito che non è stato commesso
alcun broglio nella tornata elettorale che ha visto la vittoria di Mamoud Ahmadinejad.
Intanto, a Teheran non si ferma la protesta dei manifestanti vicini a Mir Hossein
Moussavi e all'altro leader dell'area riformista, Mehdi Karroubi. Dal canto loro,
50 religiosi sciiti hanno esortato la guida spirituale iraniana, Alì Khamenei, a rivedere
il suo appoggio incondizionato ad Ahmadinejad. Sulle forti tensioni si è espresso
ieri anche il Sir, l'agenzia della Conferenza episcopale italiana, che, in una nota,
esorta l’Onu e l’Unione Europea a fare di tutto, affinché l’Iran ritrovi la via verso
la riconciliazione. Che cosa, dunque, può fare la comunità internazionale? Giancarlo
La Vella lo ha chiesto ad Antonio Ferrari, inviato speciale ed analista
del "Corriere della Sera":
R. – Innanzitutto,
mantenere un atteggiamento molto fermo, perché quello che sta accadendo in Iran non
si può nascondere. E’ vero che non ci sono più i giornalisti stranieri a documentare,
però ci sono i blogger, c’è il web che ci porta immagini sempre più drammatiche. Ora,
di fronte a questa repressione, non si può tacere e bisogna continuare a fare tutte
le possibili pressioni. Questo non significa interferire con gli affari interni iraniani,
ma significa che in quel Paese non si stanno rispettando i diritti umani più elementari
e a questo punto credo che l’Onu e le nazioni del mondo abbiano il dovere di far sentire
la loro voce. Credo anche che molto dipenderà da quello che potrà ancora accadere
in Iran: penso a proteste non violente, penso a uno sciopero generale, penso a tutte
quelle iniziative che possono dare l’idea che quanto sta avvenendo è destinato a continuare,
e si vuole che continui. Non si vuole permettere che scenda il silenzio su un risultato
elettorale che a molti osservatori ormai pare decisamente falsato. E, in fondo, se
l’Iran vuol stare nel consesso internazionale deve rispondere a queste pressioni.
Io credo che questo sia il desiderio anche della maggioranza del popolo iraniano.
Ecco perché la comunità internazionale non può rimanere silenziosa. D.
- Quello che sta avvenendo in Iran è soltanto una lotta per la guida del Paese o dietro
c’è qualcosa di più? R. - Probabilmente c’è anche dell’altro.
La determinazione del regime a fronteggiare queste manifestazioni ci dice che il timore
di veder crollare l’establishment di Ahmadinejad è altissimo, forse per ragioni economiche,
e io credo anche per ragioni di equilibri e di alleanze internazionali. Non escluderei
che qualcuno abbia tutto l’interesse a vedere crescere, anche come potenza egemone,
il ruolo dell’Iran nella regione non soltanto come minaccia a Israele ma anche in
funzione antisunnita, visto che i sunniti tutto sommato sono ancora la maggioranza.
Quindi, in fondo, si utilizza Ahmadinejad, perché è quello che più decisamente si
è eretto a portabandiera della nuova grande potenza nucleare iraniana nella regione.
Ahmadinejad per certe forze deve restare al suo posto e forse si tratta anche di forze
internazionali.