Ban Ki-moon: tortura tollerata e praticata in numerosi Stati
“Nonostante l’esistenza di un esauriente quadro giuridico e istituzionale per la prevenzione
della la tortura, questa è ancora largamente tollerata o addirittura praticata dai
governi e l’impunità dei responsabili continua a persistere”. A denunciarlo è il segretario
generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, nel suo messaggio in occasione della Giornata
internazionale a sostegno delle vittime della tortura che si celebra oggi. “La tortura
– ribadisce il segretario Onu - non ha alcuna giustificazione in nessun luogo e in
nessuna circostanza”. Da qui l’esortazione a “tutti gli Stati membri delle Nazioni
Unite che non hanno ancora provveduto, a ratificare e applicare la Convenzione Onu
contro la tortura e le disposizioni del Protocollo Facoltativo”. E di tortura si è
discusso anche stamani, presso la sede del Centro Astalli, a Roma, nel convegno “Accogliere
le vulnerabilità”. Padre Giovanni La Manna, presidente del Centro di accoglienza,
spiega al microfono di Alessio Orlandi chi sono le vittime di questi trattamenti
inumani e degradanti. R. – Sono persone
che non decidono di venire in Italia, in Europa. Sono in prevalenza donne con bambini
e ragazzi giovani che scappano dal loro Paese, avendo fatto esperienza del carcere
e della tortura. D. – Che cosa subiscono queste persone nei
loro Paesi? R. – Subiscono una violazione, che è quella di non
vedersi riconosciuti nella propria dignità di persona. La propria umanità viene offesa,
svilita. I sistemi di tortura sono tanti e sono fatti anche in maniera scientifica,
in modo da non lasciare tracce evidenti. Noi abbiamo l’idea che per integrare una
persona basta dargli una casa e un lavoro. Con la maggior parte di queste persone,
che fanno esperienza di tortura, c’è tutto un lavoro per riportarli alla loro dignità
di persona, che hanno visto fortemente provata e, in alcuni casi, annullata. D.
– Cosa cercano in Italia, cosa sperano di trovare? R. – La speranza
è quella di trovare un luogo dove vivere in pace, dove non avere il terrore di ripetere
l’esperienza vissuta, un luogo del quale potersi fidare di nuovo, quindi stabilire
delle relazioni, potendo esprimere e vivere in pace la propria cultura, la propria
religione. Il nostro servizio è proprio questo: riconoscerli nella loro dignità di
persone e accettare la relazione per restituirgli dignità. D.
– Quali sono le conseguenze psicofisiche che queste persone si portano addosso? R.
– Gli effetti quotidiani che noi riscontriamo sono la fatica nel dormire, la fatica
di fidarsi. Le persone possono piangere alla vista dell’effetto di un flash o alla
vista di un macchinario che fa l’elettrocardiogramma, perché quel macchinario gli
ricorda qualche altra macchina, servita per torturare.