2009-06-25 15:28:05

Caritas. I poveri sono sempre più dimenticati


“L'Italia ha diminuito del 56% il suo aiuto per Paesi poveri. La percentuale più bassa da 20 anni”. Così, il cardinale arcivescovo di Tegucigalpa, Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, presidente di Caritas Internationalis a conclusione, oggi, del Convegno nazionale delle Caritas diocesane a Torino. Il porporato ricordando che l’impegno preso dai Paesi ricchi di destinare lo 0,7% del reddito nazionale per aiutare chi più svantaggiato, viene spesso ignorato, ha invitato a cambiare rotta anche in vista del prossimo G8. E l’aggravarsi della crisi economica secondo la Caritas italiana impone subito scelte politiche serie. Massimiliano Menichetti ha intervistato mons. Vittorio Nozza, direttore nazionale della Caritas italiana:RealAudioMP3



R. - Il lavoro che si è sviluppato in questi giorni è stato teso ad intravedere la crisi economico–finanziaria attualmente in atto. Alcune azioni importanti, per quanto riguarda il mondo ecclesiastico, e soprattutto per quanto riguarda la Caritas, sono quelle tese a rafforzare maggiormente l’ascolto, l’osservazione, l’accompagnamento, perché ci sembra questo il modo più capace di captare, di cogliere quelli che sono i bisogni da vicino. L’altra grande azione sta in tutta quella serie d’iniziative che le Chiese in Italia hanno saputo mettere in atto in questi mesi, alcune delle quali erano già presenti negli anni precedenti e che si stanno rafforzando proprio in riferimento, più che a una situazione di povertà, a una situazione di precarietà e di fragilità per quelle persone, per quelle famiglie, che perdendo il posto di lavoro, passano da una vita vivibile a una vita molto precaria.

 

D. – Lei ribadisce: “Non possiamo svolgere solo noi un ruolo di delega”...

 

R. – Sì, la Chiesa ha nel suo Dna, nella sua storia, nel suo esserci - diremmo così – una prossimità, proprio come suo modo di essere dentro la storia, dentro il mondo. Però, nello stesso tempo, questa non può essere ritenuta come l’unica possibile risposta ad un’emergenza, ad una situazione di gravità oppure a una situazione di povertà, di disagio ordinario che tanta gente incontra.

 

D. - Per quanto riguarda l’impegno di Caritas, parliamo di 120 iniziative contro la crisi a livello diocesano, del prestito di solidarietà della Cei, dei servizi di Caritas radicati su tutto il territorio e anche dei fondi dell’otto per mille. Eppure, nonostante questo, si fa fatica a rispondere alle tante domande...



R. – Questo non può bastare. Se non ci sono risposte concrete e strutturali, date dalle istituzioni alle realtà in situazioni di difficoltà, c’è il rischio che si assottiglino anche le risorse a disposizione, per interventi pensati su un’abbondante presenza di poveri.

 

D. – Lei ha ribadito: “Adesso alcune nostre azioni vengono percepite addirittura come non opportune e fastidiose”, questo in riferimento all’immigrato...

 

R. – Probabilmente percependosi gli stessi cittadini italiani, le stesse fasce di cittadini italiani, in una situazione di precarietà, c’è il rischio che ne nasca una "guerra tra poveri", cioè tra persone che percepiscono la precarietà o vivono dentro la precarietà. Dà fastidio e si sentono infastidite dal fatto che qualcuno continui ad avere attenzione nei confronti di chi è meno dotato di risorse, per chi sta già sul nostro territorio o da chi su questo territorio viene a collocare la propria vita per il futuro.

 

D. – E come si supera questo punto?

 

R. – Secondo me, si supera innanzitutto serenamente, continuando ad operare in questo modo, perché se un territorio viene arricchito, viene costantemente mantenuto ricco di solidarietà e ci stiamo meglio tutti. Se invece - diremmo così – si impoverisce, questa solidarietà si esprime meno: ci troviamo tutti dentro una grande situazione d’insicurezza, di fragilità, senza punti di riferimento per tutti.

 

D. – Quindi, in sostanza, lei sta ribadendo che è necessario alimentare le ragioni del cuore...

 

R. – E’ necessario alimentare l’impasto delle ragioni della testa e del cuore. Quello che a me preoccupa è questa disgiunzione, questa distanza che pian piano si sta realizzando tra testa e cuore. La testa ci aiuta a guardare con chiarezza, a valutare con chiarezza le situazioni, a considerarle con molta criticità, a valutarle nei loro aspetti positivi e negativi. Ma, dall’altra parte, ci vuole anche un cuore capace – diremmo così – di far scattare, nel limite del possibile, tutte quelle attenzioni, quelle opportunità, che servono in maniera critica, bella, valutativa, responsabilizzante per andare a porre sentimenti, gesti, parole, azioni, progettualità, stimoli alle istituzioni, che siano nella direzione della dignità, del sostegno, dello sviluppo, della dignità della persona.








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