2009-06-24 13:58:24

Secondo giorno della riunione della Roaco, dedicata alla situazione della Chiesa bulgara. Intervista con mons. Proykov


La realtà della Chiesa cattolica bulgara è al centro del secondo giorno di lavori della riunione della Roaco, il Comitato che riunisce le Opere di aiuto alle Chiese Orientali. Durante l’incontro di questa mattina, è stato sottolineato che venti anni dopo la fine del periodo comunista, la Chiesa della Bulgaria sta lentamente rialzandosi. Sull’attuale situazione della comunità cattolica del Paese est europeo, ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco l’esarca di Sofia e presidente della Conferenza episcopale bulgara, mons. Christo Proykov:RealAudioMP3

R. - La Chiesa, in Bulgaria, è veramente una piccola realtà. Siamo stati sempre l’1% della popolazione, che attualmente conta 8 milioni di persone. Abbiamo tre diocesi, due latine ed una orientale. Grazie a Dio, pian piano, dopo il periodo segnato dal comunismo e dall’ateismo - durato 50 anni - la Chiesa si sta rialzando. E’ un processo molto difficile, perché durante il regime sono stati confiscati tutti i beni. Oggi, è assolutamente necessario promuovere l’educazione alla fede, perché durante il regime tutti i seminari, tutte le scuole cattoliche erano chiusi. Ci sono almeno due generazioni che si sono succedute senza avere questo tipo di istruzione e il catechismo era vietato. Per questo, oggi l’istruzione è la cosa più importante. Grazie a Dio, possono venire anche religiosi, religiose e sacerdoti stranieri che possono aiutarci. In Bulgaria, noi religiosi cattolici siamo in pochi perché non abbiamo avuto nessun seminario durante il regime. Ora, abbiamo delle vocazioni al sacerdozio da parte di giovani bulgari. Quest’anno, per le tre diocesi sono previste sei ordinazioni. Non è questo un avvenimento che si ripete ogni anno, però è significativo. Sono bulgari e questo è importante: la Chiesa locale inizia a crescere.
 
D. - Durante il regime comunista, sono stati imprigionati anche molti sacerdoti. Poi, negli anni Sessanta, quando sono stati liberati, sono usciti e si sono trovati in un carcere più grande che - come lei ha sottolineato nella sua relazione - si chiamava “Bulgaria”. Che tipo di Paese era la Bulgaria in quegli anni?
 
R. - Il regime, negli anni Sessanta, era in auge. I sacerdoti uscivano dal carcere, ma erano molto indeboliti da questa esperienza. Ricordo molto bene che alcuni di loro, dopo mesi o anni, morivano anche a causa di esaurimenti. La vita è stata veramente molto dura per i sacerdoti bulgari in quegli anni e la mia vocazione è avvenuta proprio in quel periodo. Vedevo diversi preti che, quando uscivano dalla prigione, poco dopo morivano. Pensavo, come pensavamo tutti in Bulgaria, che il comunismo sarebbe stato eterno. Pensavo anche che offrendo la mia vita alla Chiesa, avrei potuto essere di aiuto alla Chiesa stessa. In questo contesto è avvenuta la mia vocazione: ho studiato di nascosto, nel 1970-1971 sono diventato sacerdote, con il regime ancora pienamente in vigore. Il mio vescovo, che mi aveva ordinato, venne subito chiamato dalla polizia, incontrando delle difficoltà. Ma era già un esempio per gli altri.  
La situazione dei cristiani in Terra Santa è l’altro tema affrontato dai partecipanti alla riunione della Roaco. Ieri, in particolare, sono state ribadite l’urgenza di sostenere la comunità locale e l’importanza del pellegrinaggio compiuto da Benedetto XVI dall’8 al 15 maggio scorsi in Giordania, Israele e Territori Palestinesi. Padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, ricorda al microfono di Amedeo Lomonaco la missione della Chiesa nei luoghi di Gesù:RealAudioMP3

R. - La Chiesa di Terra Santa ha una missione ed una testimonianza da dare: custodire la memoria dell’incarnazione di Gesù. Questa missione deve proseguire sia durante un periodo di tensione e di conflitto come questo - richiamando ai valori della giustizia - e, speriamo presto, anche in periodo di pace, richiamando a quei valori che sono alla base dell’umanità.
 
D. - Sottolineature e valori bene espressi anche durante il pellegrinaggio del Santo Padre in Terra Santa...
 
R. - Sì, è stato un momento intenso e molto importante soprattutto per la piccola comunità cristiana che si è sentita molto incoraggiata. I cristiani di Terra Santa hanno acquisito una grande visibilità in tutto il Medio Oriente.
 
D. - Quali sono i modi per aiutare, oggi, la Terra di Gesù?
 
R. - I modi sono diversi. Il primo è naturalmente quello di pregare. La preghiera deve poi diventare un qualcosa di concreto. Un modo principale penso sia quello di recarsi in pellegrinaggio in Terra Santa, ma anche di sostenere attraverso varie iniziative e diverse agenzie, come quelle della Roaco, tanti piccoli progetti di vita e di carità. Progetti, realizzati in Terra Santa, che sono un esempio concreto della vitalità della Chiesa ed anche della sua testimonianza per cristiani, ebrei e musulmani.
 
D. - Quali sono oggi, in particolare, le sfide prioritarie?
 
R. - La sfida di sempre è quella della formazione, dell’educazione. Sono molto importanti le scuole in Terra Santa e questo richiede investimenti cospicui a livello finanziario, ma soprattutto energie e risorse umane.
 
D. - Qual è un affresco della Terra Santa che custodisce nel suo cuore, un’immagine che secondo lei rappresenta la Terra Santa?
 
R. - Ce ne sono diversi. A me piace molto Cafarnao ed il lago, perché forse è stato meno modificato nel corso dei secoli. Ci richiama un po’ più da vicino a quei bellissimi passaggi del Vangelo, quando si parla dei diversi miracoli di Gesù. Penso a quel quadro di vita che oggi si può ancora percepire molto bene in quei luoghi.
 
D. - Un luogo incontaminato, un richiamo indelebile per tutti i cristiani che si recheranno come pellegrini in Terra Santa…
 
R. - E’ indelebile perché toccare quelle pietre, vedere dove Gesù è passato e leggere a Cafarnao il passo del Vangelo di Marco non è un’esperienza comune.







All the contents on this site are copyrighted ©.