Secondo giorno della riunione della Roaco, dedicata alla situazione della Chiesa bulgara.
Intervista con mons. Proykov
La realtà della Chiesa cattolica bulgara è al centro del secondo giorno di lavori
della riunione della Roaco, il Comitato che riunisce le Opere di aiuto alle Chiese
Orientali. Durante l’incontro di questa mattina, è stato sottolineato che venti anni
dopo la fine del periodo comunista, la Chiesa della Bulgaria sta lentamente rialzandosi.
Sull’attuale situazione della comunità cattolica del Paese est europeo, ascoltiamo
al microfono di Amedeo Lomonaco l’esarca di Sofia e presidente della Conferenza
episcopale bulgara, mons. Christo Proykov:
R. - La Chiesa,
in Bulgaria, è veramente una piccola realtà. Siamo stati sempre l’1% della popolazione,
che attualmente conta 8 milioni di persone. Abbiamo tre diocesi, due latine ed una
orientale. Grazie a Dio, pian piano, dopo il periodo segnato dal comunismo e dall’ateismo
- durato 50 anni - la Chiesa si sta rialzando. E’ un processo molto difficile, perché
durante il regime sono stati confiscati tutti i beni. Oggi, è assolutamente necessario
promuovere l’educazione alla fede, perché durante il regime tutti i seminari, tutte
le scuole cattoliche erano chiusi. Ci sono almeno due generazioni che si sono succedute
senza avere questo tipo di istruzione e il catechismo era vietato. Per questo, oggi
l’istruzione è la cosa più importante. Grazie a Dio, possono venire anche religiosi,
religiose e sacerdoti stranieri che possono aiutarci. In Bulgaria, noi religiosi cattolici
siamo in pochi perché non abbiamo avuto nessun seminario durante il regime. Ora, abbiamo
delle vocazioni al sacerdozio da parte di giovani bulgari. Quest’anno, per le tre
diocesi sono previste sei ordinazioni. Non è questo un avvenimento che si ripete ogni
anno, però è significativo. Sono bulgari e questo è importante: la Chiesa locale
inizia a crescere. D. - Durante il regime comunista, sono stati
imprigionati anche molti sacerdoti. Poi, negli anni Sessanta, quando sono stati liberati,
sono usciti e si sono trovati in un carcere più grande che - come lei ha sottolineato
nella sua relazione - si chiamava “Bulgaria”. Che tipo di Paese era la Bulgaria in
quegli anni? R. - Il regime, negli anni Sessanta, era in auge.
I sacerdoti uscivano dal carcere, ma erano molto indeboliti da questa esperienza.
Ricordo molto bene che alcuni di loro, dopo mesi o anni, morivano anche a causa di
esaurimenti. La vita è stata veramente molto dura per i sacerdoti bulgari in quegli
anni e la mia vocazione è avvenuta proprio in quel periodo. Vedevo diversi preti che,
quando uscivano dalla prigione, poco dopo morivano. Pensavo, come pensavamo tutti
in Bulgaria, che il comunismo sarebbe stato eterno. Pensavo anche che offrendo la
mia vita alla Chiesa, avrei potuto essere di aiuto alla Chiesa stessa. In questo contesto
è avvenuta la mia vocazione: ho studiato di nascosto, nel 1970-1971 sono diventato
sacerdote, con il regime ancora pienamente in vigore. Il mio vescovo, che mi aveva
ordinato, venne subito chiamato dalla polizia, incontrando delle difficoltà. Ma era
già un esempio per gli altri. La situazione dei cristiani in Terra Santa
è l’altro tema affrontato dai partecipanti alla riunione della Roaco. Ieri, in particolare,
sono state ribadite l’urgenza di sostenere la comunità locale e l’importanza del pellegrinaggio
compiuto da Benedetto XVI dall’8 al 15 maggio scorsi in Giordania, Israele e Territori
Palestinesi. Padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, ricorda
al microfono di Amedeo Lomonaco la missione della Chiesa nei luoghi di Gesù:
R. - La Chiesa
di Terra Santa ha una missione ed una testimonianza da dare: custodire la memoria
dell’incarnazione di Gesù. Questa missione deve proseguire sia durante un periodo
di tensione e di conflitto come questo - richiamando ai valori della giustizia - e,
speriamo presto, anche in periodo di pace, richiamando a quei valori che sono alla
base dell’umanità. D. - Sottolineature e valori bene espressi
anche durante il pellegrinaggio del Santo Padre in Terra Santa... R.
- Sì, è stato un momento intenso e molto importante soprattutto per la piccola comunità
cristiana che si è sentita molto incoraggiata. I cristiani di Terra Santa hanno acquisito
una grande visibilità in tutto il Medio Oriente. D. - Quali
sono i modi per aiutare, oggi, la Terra di Gesù? R. - I modi
sono diversi. Il primo è naturalmente quello di pregare. La preghiera deve poi diventare
un qualcosa di concreto. Un modo principale penso sia quello di recarsi in pellegrinaggio
in Terra Santa, ma anche di sostenere attraverso varie iniziative e diverse agenzie,
come quelle della Roaco, tanti piccoli progetti di vita e di carità. Progetti, realizzati
in Terra Santa, che sono un esempio concreto della vitalità della Chiesa ed anche
della sua testimonianza per cristiani, ebrei e musulmani. D.
- Quali sono oggi, in particolare, le sfide prioritarie? R.
- La sfida di sempre è quella della formazione, dell’educazione. Sono molto importanti
le scuole in Terra Santa e questo richiede investimenti cospicui a livello finanziario,
ma soprattutto energie e risorse umane. D. - Qual è un affresco
della Terra Santa che custodisce nel suo cuore, un’immagine che secondo lei rappresenta
la Terra Santa? R. - Ce ne sono diversi. A me piace molto Cafarnao
ed il lago, perché forse è stato meno modificato nel corso dei secoli. Ci richiama
un po’ più da vicino a quei bellissimi passaggi del Vangelo, quando si parla dei diversi
miracoli di Gesù. Penso a quel quadro di vita che oggi si può ancora percepire molto
bene in quei luoghi. D. - Un luogo incontaminato, un richiamo
indelebile per tutti i cristiani che si recheranno come pellegrini in Terra Santa… R.
- E’ indelebile perché toccare quelle pietre, vedere dove Gesù è passato e leggere
a Cafarnao il passo del Vangelo di Marco non è un’esperienza comune.