Caritas Internationalis rilancia l’impegno per la martoriata regione sudanese del
Darfur
Mettere a punto nuove strategie per superare in modo definitivo lo stato di permanente
crisi umanitaria che attanaglia il Darfur e il sud del Sudan. Questo l’intento del
Forum internazionale convocato a Roma da Caritas Internationalis, che si è concluso
ieri. L’organizzazione cattolica è infatti in prima linea per migliorare l’assistenza
e favorire lo sviluppo in Sudan. Provvede a 297 mila persone con cibo, rifugi e ripari,
acqua potabile, medicine e cure mediche, supporto per educazione e consulenze. Tuttavia,
nonostante gli sforzi, dopo decenni di guerra civile, i numeri nella regione sudanese
del Darfur sono drammatici: nove persone su dieci vivono con meno di 1 dollaro al
giorno, 300 mila persone ammazzate, 2,7 milioni sradicati dalle proprie case, 290
mila ulteriori rifugiati solo nel 2008, la più alta mortalità materna del mondo, con
2030 donne morte ogni 100.000 nascite, 16% di malnutriti. “La cosa più urgente – ha
esordito il segretario generale di Caritas, Lesley-Anne Knight – è lavorare insieme,
Caritas, Ong, associazioni, istituzioni internazionali, per ricostruire la fiducia
e un ambiente operativo tra la gente. L’unità è fondamentale, poiché dà forza”. “Abbiamo
bisogno – ha poi aggiunto Knight citato dalla Fides – di leader che siano capaci di
vivere e portare nelle loro decisioni politiche i valori, come il rispetto per la
dignità umana, i diritti umani, e l’ambiente”. Numerosi gli ospiti, soprattutto provenienti
dalla regione colpite dal dramma. “Abbiamo bisogno di aiutare nelle cose più elementari
e fondamentali – ha detto mons. Daniel Adwok Marco Kur, vescovo ausiliare di Khartoum
– soprattutto da quando sono state espulse 16 organizzazioni umanitarie”. Mons. Antonio
Menegazzo, missionario in Sudan dal 1957 e vescovo di El Obeid, che comprende il Darfur,
ha sottolineato le difficoltà a vivere la fede cristiana e l’impegno per i profughi:
“Noi aiutiamo attraverso le organizzazioni internazionali che operano dentro i campi
profughi e all’interno di accordi internazionali, ma non tutti i rifugiati sono lì.
Molti cercano ospitalità da amici e parenti; così solo noi e le associazioni possiamo
operare, perché in qualche modo più liberi e meno burocratizzati”. (M.G.)