Violenze e morti in Iran, il mondo chiede soluzione pacifica
Continua l’ondata di disordini in Iran, dove il popolo contesta la riconferma del
presidente Mahmud Ahmadinejad alla guida del Paese. Da ieri, violenti scontri hanno
preso il posto delle manifestazioni pacifiche del dopo voto, e mentre resta incerta
la prospettiva dell’annullamento delle elezioni, la comunità internazionale si interroga
sul futuro dei rapporti con l’Iran. La censura imposta all’informazione causa l’espulsione
di giornalisti e operatori: l’ultima contro un corrispondente della BBC accusato di
diffondere “informazione falsa e non obiettiva”. La cronaca nel servizio di Claudia
Di Lorenzi:
"I brogli
erano pianificati da mesi: le elezioni andrebbero annullate". L’ex candidato moderato
alle presidenziali, Mir Hossein Moussavi, in una lettera al Consiglio dei Guardiani
torna a chiedere l’annullamento del voto che il 12 giugno scorso ha riconfermato il
presidente Ahmadinejad alla guida dell’Iran. Sceso in piazza fra i manifestanti, Moussavi
si è detto "pronto a morire" e ha invitato allo sciopero nel caso fosse arrestato.
Lapidaria la risposta del ministro degli Esteri iraniano, Mottaki, che respinge le
denunce di irregolarità e annuncia un'inchiesta sulle denunce di frodi. Mottaki ha
poi accusato la Gran Bretagna d’interferenza nelle elezioni presidenziali, e di aver
ordito il sabotaggio del voto e manovrato le proteste contro il regime, e critiche
il ministro degli Esteri iraniano ha rivolto anche a Francia e Germania. Sulla stessa
linea anche le forze di polizia del Paese, che in comunicato ufficiale hanno annunciato
l’uso della forza per contrastare lo scoppio di nuovi focolai e ripristinare ordine
e sicurezza. Resta incerto intanto il bilancio dell’incendio avvenuto ieri nella moschea
di Lolagar: la tv di Stato si corregge e dopo l’annuncio di una decina di morti, segue
la smentita: nessun decesso ma un centinaio di feriti. Fra i manifestanti, secondo
un’altra emittente, anche una decina di terroristi. Di fronte all’escalation
di violenza, arriva dagli Usa il monito del presidente, Barak Obama: si metta fine
a "tutte le azioni ingiuste e violente. Per guadagnarsi il rispetto globale l'Iran
deve "governare attraverso il consenso" e non col ricorso "alla coercizione". In linea
anche l’intervento della cancelliera tedesca, Angela Merkel, che ha sollecitato le
autorità iraniane ad astenersi dall'uso della violenza e ha chiesto un riconteggio
dei voti. Ed un appello per una “composizione pacifica” della crisi è giunto anche
dall’Italia, dove il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha ribadito che “Il diritto
alla salvaguardia delle vite umane viene prima di ogni altra cosa”. Subitanea la replica
di Ahmadinejad all’Occidente: riconsiderate le vostre affermazioni o non sarete più
considerati amici dell’Iran. E per un aggiornamento sullo stato
dei disordini ascoltiamo la testimonianza del giornalista iraniano, Ahmad Ràfat:
R. - In Iran
quello che sta succedendo sono proteste continue che vanno crescendo, sia per le richieste
che vengono avanzate dalla popolazione, sia per il numero delle città che aderiscono
a questo movimento di protesta, per rivendicare il diritto a poter scegliere chi deve
governare il Paese. D. - E’ verosimile l’ipotesi che la protesta possa
venire strumentalizzata da gruppi estranei al movimento per la democrazia?
R.
- Sicuramente questo rischio c’è. L’attentato contro il mausoleo di Khomeini non è
opera di questo movimento. I giovani iraniani - li ha visti tutto il mondo - sono
in piazza armati dei loro slogan e nemmeno si difendono dai duri attacchi delle varie
milizie e delle forze di sicurezza. Pertanto, ogni accusa di terrorismo ad un movimento
così è fuori luogo. D. - Moussavi si è detto disposto al martirio. Come
è stata accolta dal popolo questa dichiarazione? R. - Molti giovani gridavano
in piazza prima che arrivasse Moussavi: “Siamo venuti qua per morire". Oppure: "Gli
studenti muoiono ma non accettano umiliazioni". Effettivamente, un canale televisivo
americano parlava di 150 morti, pertanto è comprensibile il discorso di Moussavi in
piazza ieri: voleva rassicurare la gente che lui non scenderà a compromessi al vertice
e non abbandonerà questo movimento di massa. D. - Il ministro degli Esteri
respinge le accuse di irregolarità e frodi elettorali. Quali percorsi non violenti
possono risolvere la crisi?
R. - Negli ultimi giorni la gente non chiede
più l’annullamento del voto o la riconta ma elezioni libere, pertanto qualsiasi tentativo
di scendere a compromesso ricontando il 10 % dei voti, come ha detto il Consiglio
dei guardiani, già è stato ampiamente respinto non solo dalla piazza ma anche dai
candidati che hanno denunciato la frode. D. - E’ possibile
fare previsioni sul futuro del Paese? R. - Io prevedo alcuni
scenari. O un compromesso tra i candidati bocciati e l'establishment - che ritengo
però molto difficile a questo punto - per poi reprimere le manifestazioni popolari,
oppure che la piazza riesca ad imporre la propria volontà e la Repubblica islamica
volti pagina.