Nel pomeriggio l'incontro del Papa con gli ammalati, nella Casa Sollievo della Sofferenza,
poi il saluto al clero e ai giovani
Il primo degli appuntamenti pomeridiani a S. Giovanni Rotondo porterà Benedetto XVI
in visita alla “Casa Sollievo della Sofferenza”, conosciuto in tutto il mondo come
l’“Ospedale di Padre Pio”. Alle 16.45 inizierà l’incontro del Papa con gli ammalati
e il personale sanitario del nosocomio, inaugurato dal Frate di Pietrelcina il 5 maggio
del 1956. Quello del Pontefice sarà un affettuoso abbraccio di solidarietà agli ammalati
e c’è chi aspetta questo momento con particolare intensità. La signora Rosemary,
30 anni - accanto al figlio ricoverato nel reparto di Oncologia pediatrica - rivolge
al Papa questa preghiera, al microfono della nostra inviata Debora Donnini:
R. - Che dia
una benedizione a questi bambini, perché se lo meritano, sono molto bravi. Sono molto
più maturi di noi, sanno sopportare le sofferenze, le affrontano con dignità. Sono
loro che ci danno la forza. Il Papa deve stare vicino a tutti loro, deve pregare per
loro, perché forse noi mamme in questi momenti siano talmente fragili che non riusciamo
a farlo e allora chiediamo a lui di farlo per noi. Siamo fiduciose, ce la dobbiamo
fare tutte quante. D. - In questo ospedale penso che abbiate
un aiuto nella fede. La vostra sofferenza è sostenuta dalla preghiera, anche verso
i bambini. Lei lo avverte questo aiuto spirituale? R. - Molto,
molto. Qui si respira un’altra aria. Qui veramente la fede è tanta. Forse è un caso,
ma mio figlio è nato lo stesso giorno di Giovanni Paolo II, l’ho chiamato Karol, è
stato battezzato il giorno di Pasqua… Siamo legati a tutta una serie di circostanze
che mi fanno dire: ci credo. Bisogna che ci crediamo tutti, è una cosa fondamentale,
se no non si va avanti. D. - Voi fate esperienza di questo sostegno da
parte di chi presta servizio nell'Ospedale? R. - Assolutamente
sì. E’ magnifico da parte di tutti. Ho un bel legame con tutti, con le infermiere,
le dottoresse, i dottori. C’è soprattutto una dottoressa, la dottoressa Miglionico,
che è veramente magnifica. Quando sono arrivata qui non avevo più voglia di pregare
- era la seconda volta mio figlio accusava il male - però la dottoressa mi da la forza
di andare avanti. Io molte volte dico non ce la faccio e lei mi dice: prego io per
tuo figlio, prego io per te, devi farcela, ce la dobbiamo fare insieme. Questa è una
cosa bellissima, qui dentro c’è tanto amore. In sintonia con l’intuizione
del suo fondatore - che già mezzo secolo fa aveva ritenuto l’indagine medico-scientifica
un’attività da sviluppare al pari di quella sanitaria - la “Casa Sollievo della Sofferenza”
è considerato oggi uno dei maggiori Policlinici d’Italia, con più di 1000 posti letto.
Oltre a svolgere attività di ricovero e cura, l’Ospedale si occupa anche di ricerca
clinica, in particolare nel settore della genetica e delle malattie familiari di tipo
ereditario. Isabella Piro ha affrontato questo aspetto con il prof. Bruno
Dallapiccola, docente di Genetica medica presso l'Università "La Sapienza" di
Roma e direttore scientifico dell’Istituto di cura di San Giovanni Rotondo: R. - Diciamo che
la genetica per definizione si aggrappa a delle patologie che spesso sono rare e quindi
le malattie geniche, noi siamo anche il riferimento nazionale per il più importante
database che gestisce queste malattie rare e che si chiama "Orphanet", un progetto
europeo che coinvolge oggi 37 Paesi, anche al di fuori dell’Europa. Oltre al problema
delle malattie rare, ci sono settori che sono specificatamente complesse, come ad
esempio il diabete. Siamo coinvolti poi nello studio di difetti congeniti, ad esempio
le cardiopatie congenite,abbiamo un gruppo che lavora nell’ambito delle basi genetiche
dell’invecchiamento e c’è anche un settore che fa una ricerca oncologica rivolta soprattutto
ai tumori dell’intestino e a quelli della mammella. D. - Si
sente parlare spesso di deriva genetica, ma etica e ricerca non sono incompatibili? R.
– No, assolutamente no. Io penso che il medico dovrebbe essere, proprio per la caratteristica
della sua professione, l’emblema di un comportamento giusto e leale, corretto, nei
confronti del paziente. Certo, quando si incomincia a minare la vita fin dalle su
origini, quando si incomincia a pensare che la persona anziana possa essere eliminata
perché non è più adatta a prestazioni che vent’anni prima poteva fare, penso che questa
non sia la medicina che noi vogliamo, che il medico non dovrebbe volere. Purtroppo,
c’è una caduta straordinaria dei valori: l’abbiamo vista dal momento in cui la disponibilità
di certe diagnostiche che si possono fare nella vita fetale stanno cercando di creare
nelle famiglie il mito del nascere bello e perfetto. Oggi ho la sensazione che molto
spesso la formazione nella Facoltà di medicina sia lontana dal riconoscere quelli
che sono i valori fondamentali per l’uomo, quindi sicuramente, la ricerca che noi
facciamo la trasferiamo al letto del paziente, ma un paziente che noi intendiamo in
questa maniera: nel rispetto della persona in tutte le sue manifestazioni e in tutti
i suoi momenti della vita. D. - Come fare allora per dare un
nuovo slancio al giusto rapporto tra scienza e fede dimostrando che non sono nemiche
ma anzi sono complementari? R. - Noi abbiamo bisogno di riformare
la formazione dei nostri giovani. Nessuna università insegna l’etica, la deontologia
non viene insegnata. Oltre a questo, certamente abbiamo bisogno di recuperare i valori
fondamentali all’interno della famiglia, perché molto dei problemi della formazione
nascono dal non riconoscimento dei valori fondamentali all’interno della famiglia.
Inoltre, molto di ciò che grava oggi attorno la medicina è molto viziata dalle ideologie
e dal "mercato" della salute. D. - Quindi, il ricercatore per
essere veramente degno di questo nome quali qualità deve avere? R.
– Direi che il ricercatore deve essere fondamentalmente una persona onesta, una persona
non condizionata da principi ideologici, un ricercatore libero ma nel momento in cui
si avvicina alla vita nascente e ai valori fondamentali della vita, la sua libertà
deve essere vigilata. Il principio per il quale noi diciamo "no" alla ricerca sulle
cellule staminali embrionali è perché noi sappiamo che essa attaccherebbe, l’uomo,
la vita dell’uomo, e non possiamo permettere che ciò avvenga. E lo stesso "no" poniamo
all’eutanasia, perché noi abbiamo il rispetto della persona anziana, della persona
che ha delle disabilità, della persona che non è più in grado di fare quello che faceva
qualche tempo prima. D. - Cosa significa per lei e per la Casa
Sollievo della Sofferenza la visita del Santo Padre? R. - Io ho
avuto la fortuna di incontrare in altre circostanze il Santo Padre e riporto ancora
nel cuore, a distanza di molto tempo, l'emozione fortissima di incontrare questa persona
straordinaria: è stato un qualcosa di indescrivibile. Io penso sia un’occasione per
ritornare a riscoprire e a riflettere su quanto ci ha insegnato Padre Pio che ci stiamo
forse dimenticando.