2009-06-21 14:22:13

Nel pomeriggio l'incontro del Papa con gli ammalati, nella Casa Sollievo della Sofferenza, poi il saluto al clero e ai giovani


Il primo degli appuntamenti pomeridiani a S. Giovanni Rotondo porterà Benedetto XVI in visita alla “Casa Sollievo della Sofferenza”, conosciuto in tutto il mondo come l’“Ospedale di Padre Pio”. Alle 16.45 inizierà l’incontro del Papa con gli ammalati e il personale sanitario del nosocomio, inaugurato dal Frate di Pietrelcina il 5 maggio del 1956. Quello del Pontefice sarà un affettuoso abbraccio di solidarietà agli ammalati e c’è chi aspetta questo momento con particolare intensità. La signora Rosemary, 30 anni - accanto al figlio ricoverato nel reparto di Oncologia pediatrica - rivolge al Papa questa preghiera, al microfono della nostra inviata Debora Donnini:

R. - Che dia una benedizione a questi bambini, perché se lo meritano, sono molto bravi. Sono molto più maturi di noi, sanno sopportare le sofferenze, le affrontano con dignità. Sono loro che ci danno la forza. Il Papa deve stare vicino a tutti loro, deve pregare per loro, perché forse noi mamme in questi momenti siano talmente fragili che non riusciamo a farlo e allora chiediamo a lui di farlo per noi. Siamo fiduciose, ce la dobbiamo fare tutte quante.

 

D. - In questo ospedale penso che abbiate un aiuto nella fede. La vostra sofferenza è sostenuta dalla preghiera, anche verso i bambini. Lei lo avverte questo aiuto spirituale?

 

R. - Molto, molto. Qui si respira un’altra aria. Qui veramente la fede è tanta. Forse è un caso, ma mio figlio è nato lo stesso giorno di Giovanni Paolo II, l’ho chiamato Karol, è stato battezzato il giorno di Pasqua… Siamo legati a tutta una serie di circostanze che mi fanno dire: ci credo. Bisogna che ci crediamo tutti, è una cosa fondamentale, se no non si va avanti.

D. - Voi fate esperienza di questo sostegno da parte di chi presta servizio nell'Ospedale?

 

R. - Assolutamente sì. E’ magnifico da parte di tutti. Ho un bel legame con tutti, con le infermiere, le dottoresse, i dottori. C’è soprattutto una dottoressa, la dottoressa Miglionico, che è veramente magnifica. Quando sono arrivata qui non avevo più voglia di pregare - era la seconda volta mio figlio accusava il male - però la dottoressa mi da la forza di andare avanti. Io molte volte dico non ce la faccio e lei mi dice: prego io per tuo figlio, prego io per te, devi farcela, ce la dobbiamo fare insieme. Questa è una cosa bellissima, qui dentro c’è tanto amore.

 

 

  

In sintonia con l’intuizione del suo fondatore - che già mezzo secolo fa aveva ritenuto l’indagine medico-scientifica un’attività da sviluppare al pari di quella sanitaria - la “Casa Sollievo della Sofferenza” è considerato oggi uno dei maggiori Policlinici d’Italia, con più di 1000 posti letto. Oltre a svolgere attività di ricovero e cura, l’Ospedale si occupa anche di ricerca clinica, in particolare nel settore della genetica e delle malattie familiari di tipo ereditario. Isabella Piro ha affrontato questo aspetto con il prof. Bruno Dallapiccola, docente di Genetica medica presso l'Università "La Sapienza" di Roma e direttore scientifico dell’Istituto di cura di San Giovanni Rotondo:




 R. - Diciamo che la genetica per definizione si aggrappa a delle patologie che spesso sono rare e quindi le malattie geniche. Noi siamo anche il riferimento nazionale per il più importante database che gestisce queste malattie rare e che si chiama "Orphanet", un progetto europeo che coinvolge oggi 37 Paesi, anche al di fuori dell’Europa. Oltre al problema delle malattie rare, ci sono settori che sono specificatamente complesse, come ad esempio il diabete. Siamo coinvolti poi nello studio di difetti congeniti, ad esempio le cardiopatie congenite. Abbiamo un gruppo che lavora nell’ambito delle basi genetiche dell’invecchiamento. C’è anche un settore che fa una ricerca oncologica rivolta soprattutto ai tumori dell’intestino e ai tumori della mammella.

 

D. - Si sente parlare spesso di deriva genetica, ma etica e ricerca non sono incompatibili?

 

R. – No, assolutamente no. Io penso che il medico dovrebbe essere proprio, per la sua caratteristica, per la sua professione, l’emblema di un comportamento giusto e leale, corretto, nei confronti del paziente. Certo, quando si incomincia a minare la vita fin dalle su origini, quando si incomincia a pensare che la persona anziana possa essere eliminata perché non è più adatta a prestazioni che vent’anni prima poteva permettersi, penso che questo non sia la medicina che noi vogliamo, che il medico non dovrebbe volere. Purtroppo, c’è una caduta straordinaria dei valori: l’abbiamo vista dal momento in cui la disponibilità di certe diagnostiche nella vita fetale hanno creato. nelle famiglie. il mito del nascere bello e perfetto. Oggi ho la sensazione che molto spesso la formazione della Facoltà di medicina sia lontana dal riconoscere quelli che sono i valori fondamentali per l’uomo. La ricerca che noi facciamo la trasferiamo nel letto del paziente, ma a un paziente che noi intendiamo in questa maniera: nel rispetto della persona in tutte le sue manifestazioni e in tutti i suoi momenti della vita.

 

D. - Come fare allora per dare un nuovo slancio al giusto rapporto tra scienza e fede dimostrando che non sono nemiche ma anzi sono complementari?

 

R. - Noi abbiamo bisogno di ripensare la formazione dei nostri giovani. Nessuna università insegna l’etica, la deontologia non viene insegnata. Oltre a questo, certamente abbiamo bisogno di recuperare i valori fondamentali all’interno della famiglia, perché molto dei problemi della formazione nascono dal non riconoscimento dei valori fondamentali all’interno della famiglia. Inoltre, molto di ciò che grava oggi attorno la medicina è viziato dalle ideologie e dal "mercato" della salute.

 

D. - Quindi, il ricercatore per essere veramente degno di questo nome quali qualità deve avere?

 

R. – Direi che il ricercatore deve essere fondamentalmente una persona onesta, una persona non condizionata dai principi ideologici. Un ricercatore libero ma la cui libertà - nel momento in cui si avvicina alla vita nascente e ai valori fondamentali della vita - sia vigilata. Il principio per il quale noi diciamo "no" alla ricerca sulle cellule staminali embrionali è perché noi sappiamo che essa attaccherebbe, l’uomo, la vita dell’uomo, e non possiamo permettere che ciò avvenga. E lo stesso "no" poniamo all’eutanasia, perché noi abbiamo il rispetto della persona anziana, della persona che ha delle disabilità, della persona che non è più in grado di fare quello che faceva qualche tempo prima.

 

D. - Cosa significa per lei e per la Casa Sollievo della Sofferenza la visita del Santo Padre?

 

R. - Io ho avuto la fortuna di incontrare in altre circostanze il Santo Padre e riporto ancora nel cuore, a distanza di molto tempo, l'emozione fortissima di questa persona straordinaria: è stato un qualcosa di indescrivibile. Io penso sia un’occasione per ritornare a riscoprire e a riflettere su quanto ci ha insegnato Padre Pio che ci stiamo forse dimenticando.

 










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