Presentato in Vaticano un docufilm su Matteo Ricci, missionario gesuita in Cina
Presentato ieri sera in Vaticano il docufilm “Matteo Ricci. Un gesuita nel Regno del
Drago”, dedicato alla vita e alle opere del grande missionario del XVI secolo
che fece della Cina la sua terra d’elezione e d’adozione. “In lui ho riconosciuto
una persona di grande carisma capace di far nascere nell’uomo segni di fede e di speranza”,
spiega il regista Gjon Kolndrekaj. Il servizio è di Luca Pellegrini:
Gli sarebbero
bastate “una casetta e una chiesuola” dove stare fino alla morte servendo Dio. Così,
felice in terra e sereno nell’anima, avrebbe compiuto i suoi giorni ricco di pace
e di fede, più che di fama e di ricchezze. La Provvidenza, però, volle assai più per
il gesuita Matteo Ricci, umanista rinascimentale di ampie vedute, uomo illustre di
scienza, missionario illuminato, “il Saggio d’Occidente”: non solo trascorse, dal
1582 al 1610, ventotto fecondi anni nel “Regno del Drago”, la Cina imperiale allora
lontana e misteriosa, ma nel segno dell’armonia e della cultura portò in quelle terre
confuciane e così diverse la Buona Novella del Vangelo. Accolto con rispetto e amicizia,
si fece cinese “ut Christo Sinas lucrifacere”. E in quell’Impero così vasto e da lui
così ammirato e rispettato, vi fu sepolto, “come il chicco di grano nascosto nel seno
della terra per portare frutto abbondante”, scriveva Giovanni Paolo II. Una divina
dinamica della missione che Giovanni XXIII, additando proprio padre Matteo come esempio
missionario nella lettera Princeps pastorum, semplicemente citando il Vangelo di Giovanni
pone sotto la logica, talvolta imperscrutabile, del Buon Dio, poiché “chi semina non
è lo stesso che raccoglie”. E’ una vera avventura umana e spirituale quella di Matteo
Ricci: per il secolo in cui si svolse, i luoghi che l’accolsero, per la modernità
dell’approccio missionario diventato modello di autentica inculturazione del Vangelo,
“apostolato originale e profetico”, come ricorda Benedetto XVI, il cui stile fu improntato
dall’amicizia, dal rispetto e dalla stima reciproca. Fare un docufilm sul gesuita
può essere, per questi motivi, anche una brillante operazione di cinema e il regista
d’origine kossovara Gjon Kolndrekaj ha colto con lungimiranza questi aspetti nel suo
“Matteo Ricci un gesuita nel Regno del Drago”. Forte di una solida consulenza editoriale,
religiosa e storica non ha dimenticato nulla, anzi ha in un certo senso sovrabbondato
nella documentazione dando un ritmo quasi affannato alle citazioni e alle immagini,
come per trasmettere la probabile ansia missionaria della quale Matteo fu investito.
Si coglie, però, anche una limitazione, forse di natura economica, che deve avergli
imposto di fare “di necessità, virtù”, mentre oggi i mezzi della tecnologia e del
cinema possono, nel loro ambito, fare meraviglie. Basta seguire alcuni splendidi documentari
inglesi e americani: imprimono, incastrando il passato ricostruito da validi addetti
al presente raccontato da illustri ospiti, una perfetta sintonia tra tempi e informazioni.
Aiuterà molto il libro, nell’ottica prevalentemente didattica di questa realizzazione,
che sarà stampato a corredo del DVD: insieme saranno un’operazione più che benemerita
in preparazione ai grandi festeggiamenti del prossimo anno in occasione del quarto
centenario della morte di Padre Matteo, così caro alla Chiesa e a tutta la cultura
cattolica.