Il candidato sconfitto alle elezioni presidenziali iraniane, Mir Hossein Mussavi,
ribadisce, sul suo sito web, la richiesta di annullamento del voto del 12 giugno e
di una nuova consultazione. E l’opposizione in Iran si dà appuntamento oggi pomeriggio
di nuovo in piazza, mentre continuano gli arresti di esponenti riformisti e censure.
Dal canto suo, il presidente rieletto, Mahmud Ahmadinejad, afferma che “la causa rivoluzionaria
ha vinto” nelle presidenziali. Intanto, il mondo riflette sulle parole di Obama:
“c'è poca differenza tra le politiche del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad
e del suo rivale alle elezioni Mir Hossein Mussavi”. Il servizio di Fausta Speranza:
L'appuntamento
è per le 17, di nuovo in piazza nel centro di Teheran, mentre si viene a sapere di
manifestazioni con incidenti avvenute negli ultimi giorni anche in altre città. Per
domani il riformista Mussavi chiede una giornata di lutto per le vittime con marce
e raduni. Da parte sua il parlamento annuncia un’inchiesta sull’assalto notturno a
un dormitorio per studenti. Intanto, il governo cancella gli accrediti degli inviati
stranieri, proibisce di seguire le manifestazioni e accusa alcuni media stranieri
di farsi ''portavoce'' dei ''rivoltosi'': il Ministero degli Esteri iraniano avverte
che a questi ''nemici'' sarà inflitto ''uno scacco matto''. D’altra parte, il giro
di vite sull’informazione si stringe anche per il web: i pasdaran, nel loro primo
intervento pubblico dalla fine delle elezioni, minacciano di intervenire se non verranno
rimosse da siti web e blog notizie che "diffondano tensione". Ma non è solo censura
mediatica: proseguono fermi e arresti. In mattinata è toccato a un noto professore
universitario di sociologia, Hamid Reza Jalaipur, e al direttore del giornale economico
Sarmayeh (l'economista e analista politico Said Laylaz). Intanto la stampa estera
riporta le parole di Obama: il presidente degli Stati Uniti che aveva lanciato inviti
al dialogo all’Iran, ribadisce, in un’intervista alla Cnbc, la profonda preoccupazione
per le incertezze e le violenze post elettorali citando per la prima volta in questi
ultimi giorni i nomi dei due protagonisti. Spiega che in entrambi i casi si tratta
di politiche all’interno di un regime ostile agli Stati Uniti che hanno a cuore che
il regime non abbia un'arma nucleare e non fomenti il terrorismo. Obama in ogni caso
ribadisce con forza il principio universale in base al quale "le voci devono essere
ascoltate e non soppresse''.
Ad Ahmad Rafat,
giornalista iraniano, Stefano Leszczynski, ha chiesto quali siano le differenze
tra i due schieramenti che si fronteggiano in Iran in questi giorni:
R. – Visto
che nell’ultimo anno la crisi economica in Iran è stata molto forte, con un’inflazione
sopra il 25 per cento, credo che le questioni economiche siano uno dei motivi principali
del perché la gente in Iran abbia votato Mussavi. Nella politica estera - alla quale
credo si riferisca il presidente Obama - io non ho dubbi che, per esempio, su una
questione cruciale come il nucleare, Mussavi, Ahmadinejad e chiunque altro venga eletto
presidente in Iran, nella fase attuale, porterebbe avanti la stessa politica.
D.
– Quindi, quando si parla di un esponente della corrente moderata per Mussavi, in
sostanza, ci si riferisce alla capacità di comunicare e di dialogare in maniera politica
senza esasperare più di tanto le tensioni?
R. - Devo
precisare che Mussavi si autodefinisce un conservatore moderato. Non si è mai definito
riformatore nel senso di appartenere a quell’ala che fa riferimento a Khatami ma si
è spostato dall’altra parte per salvare il Paese dalla grave crisi economica.
D.
– Tuttavia, quello che sta facendo in questi giorni in Iran appare, almeno agli occhi
dell’Occidente e del resto del mondo, piuttosto rivoluzionario…
R.
- C’è stata una rottura nell'“establishment” e questa spaccatura esiste e diventa
ogni giorno più profonda. Adesso dipende da come i riformatori, chi vuole veramente
cambiare, possano utilizzare questo. Quello che Mussavi ha fatto e sta facendo in
questi giorni nelle piazze di Teheran è esattamente quello che conservatori come lui
hanno fatto trent’anni fa durante il regime dello Shah prima del ritorno di Khomeini.
D. - Questa crisi potrebbe sfuggire di mano ai suoi
leader e trasformarsi in qualcosa di diverso?
R.
– Ci sono tutte le condizioni perché succeda. Io credo che il prossimo venerdì sia
una giornata decisiva, sempre seguendo il calendario religioso. Se in massa si contesterà
Khamenei durante la preghiera, se la gente farà sentire la sua voce anche a lui, la
risposta che lui darà può essere decisiva per quello che potrà succedere. O vinceranno
le trattative e i manifestanti dovranno rientrare in casa perché perderanno una guida
oppure da venerdì in poi la faccenda si farà molto più seria.