Oggi, mentre il presidente Ahmadinejad spiegava come il risultato elettorale abbia
confermato la fiducia nel governo, l’opposizione annunciava nuove proteste fin quando
non ci sarà un nuovo voto. Nel pomeriggio due le manifestazione, una ei sostenitori
di Mussavi e l’altra pro-Ahmadinejad. Francesca Sabatinelli:
Ad Ahmad Rafat,
giornalista iraniano, Stefano Leszczynski, ha chiesto quali siano le differenze
tra i due schieramenti che si fronteggiano in Iran in questi giorni: R.
– Visto che nell’ultimo anno la crisi economica in Iran è stata molto forte, con un’inflazione
sopra il 25 per cento, credo che le questioni economiche siano uno dei motivi principali
del perché la gente in Iran abbia votato Mussavi. Nella politica estera - alla quale
credo si riferisca il presidente Obama - io non ho dubbi che, per esempio, su una
questione cruciale come il nucleare, Mussavi, Ahmadinejad e chiunque altro venga eletto
presidente in Iran, nella fase attuale, porterebbe avanti la stessa politica.
D.
– Quindi, quando si parla di un esponente della corrente moderata per Mussavi, in
sostanza, ci si riferisce alla capacità di comunicare e di dialogare in maniera politica
senza esasperare più di tanto le tensioni?
R. - Devo
precisare che Mussavi si autodefinisce un conservatore moderato. Non si è mai definito
riformatore nel senso di appartenere a quell’ala che fa riferimento a Khatami ma si
è spostato dall’altra parte per salvare il Paese dalla grave crisi economica.
D.
– Tuttavia, quello che sta facendo in questi giorni in Iran appare, almeno agli occhi
dell’Occidente e del resto del mondo, piuttosto rivoluzionario…
R.
- C’è stata una rottura nell'“establishment” e questa spaccatura esiste e diventa
ogni giorno più profonda. Adesso dipende da come i riformatori, chi vuole veramente
cambiare, possano utilizzare questo. Quello che Mussavi ha fatto e sta facendo in
questi giorni nelle piazze di Teheran è esattamente quello che conservatori come lui
hanno fatto trent’anni fa durante il regime dello Shah prima del ritorno di Khomeini.
D. - Questa crisi potrebbe sfuggire di mano ai suoi
leader e trasformarsi in qualcosa di diverso?
R.
– Ci sono tutte le condizioni perché succeda. Io credo che il prossimo venerdì sia
una giornata decisiva, sempre seguendo il calendario religioso. Se in massa si contesterà
Khamenei durante la preghiera, se la gente farà sentire la sua voce anche a lui, la
risposta che lui darà può essere decisiva per quello che potrà succedere. O vinceranno
le trattative e i manifestanti dovranno rientrare in casa perché perderanno una guida
oppure da venerdì in poi la faccenda si farà molto più seria.