In Iran, dopo tre giorni dalla chiusura delle urne l’autorità suprema Khamenei ha
detto di avere dato personalmente istruzioni al Consiglio dei guardiani "perchè esamini
con precisione i reclami dell’opposizione sui risultati del voto”. Intanto, proseguono
le agitazioni a Teheran nonostante il governo abbia vietato nuove manifestazioni contro
la vittoria di Ahmadinejad. Il servizio di Marco Guerra:
Dopo due
giorni di agitazioni promosse dai sostenitori del leader riformista, Mussavi, che
contestano la vittoria elettorale di Ahmadinejad, denunciando massicci brogli, in
Iran si fa sentire la mediazione dell’autorità suprema, l’ayatollah Ali Khamenei.
Il leader religioso, cui spetta l'ultima parola su ogni questione, ha esortato in
un colloquio con il candidato sconfitto alle presidenziali a ricorrere a mezzi legali
per contestare l'esito del voto. Khamenei ha anche ordinato al Consiglio dei guardiani
- competente per eventuali violazioni elettorali - di esaminare con attenzione il
ricorso presentato da Mussavi. Da parte sua, l’organismo ha detto che darà una risposta
“da 7 a 10 giorni dopo aver ricevuto i risultati ufficiali” del voto. A Mussavi è
stato concesso intanto di prendere parte alla marcia di protesta che ha preso il via
nella capitale, ma solo per invitare alla calma i suoi sostenitori. Secondo la stampa
internazionale, prosegue però la repressione della polizia, che nella notte avrebbe
lanciato un raid fra i feriti delle sommosse ricoverati in un ospedale di Teheran.
L’ultimo bollettino diffuso dalla polizia parla di 170 arresti in 48 ore di disordini.
E dopo la riconferma delle principali linee politiche, fra cui il programma nucleare,
anche Ahmadinejad sembra aver accusato qualche ripercussione dalle proteste. Il presidente
iraniano ha infatti rinviato la visita a Mosca in programma per oggi. Per un'analisi
sull’attuale situazione politica iraniana, abbiamo sentito il giornalista
iraniano della rivista geopolitica Limes, Bijan Zarmandili:
R.
- La chiave, in realtà, della vittoria elettorale di Ahmadinejad si trova in un lavoro
molto ampio che è stato fatto precedentemente attraverso questo partito invisibile
nel Paese, cioè il partito del Pasdaran, il partito dei basiji, dei volontari. Questo,
probabilmente, significa anche l’esistenza di una base elettorale, di una base sociale
per la politica di Ahmadinejad, ma certamente anche un segnale di una forte frattura
all’interno della società iraniana, con grandi manifestazioni nelle città iraniane,
con morti e feriti a Teheran. L’Iran, a questo punto, è un Paese lacerato.
D.
- C’è, comunque, molto fermento politico e intellettuale nella società iraniana...
R.
- Effettivamente, come stiamo vedendo, esiste nel Paese una grande potenzialità di
cambiamento cui partecipano i giovani, le donne, la società civile, gli artisti, gli
intellettuali ma anche la classe media riformista. Il problema è un altro: manca una
leadership capace di guidare questa grande forza e bisogna domandarsi se Mussavi sia
in grado di farlo. I conservatori, Ahmadinejad, gli ultraconservatori hanno un progetto
politico, hanno una strategia, hanno in mano gli apparati dello Stato. Dall’altra
parte, c’è una grande potenzialità nel Paese alla quale manca però un progetto politico
attuabile.
D. - Quindi, per ora non bisogna aspettarsi
alcun cambiamento?
R. - E’ già cambiato qualche cosa.
Il fatto stesso che non venga accettata una qualsiasi forma di soluzione imposta dall’alto,
il fatto che vi sia stato oltre l’85 per cento di affluenza alle urne, il fatto che
sia sia notato un grande movimento di giovani, di donne, precedentemente al giorno
del voto, in tutte le città iraniane, vuol dire che esiste una potenzialità nel Paese
con la quale chiunque deve fare i conti, compreso un uomo come Ahmadinejad.
D.
- Quali saranno le ripercussioni sullo scacchiere internazionale?
R.
- Ahmadinejad pensa di aver vinto non solo le presidenziali iraniane, ma di aver comunque
influenzato gli Hezbollah libanesi, e in qualche modo di aver conquistato un buon
posto all’interno del Movimento palestinese. Pensa di poter svolgere attraverso la
politica nucleare un posto anche a livello della potenza regionale. Tutto questo lo
rende più forte.