L’arcivescovo Tomasi all'Ilo: mantenere l’occupazione e tutelare la dignità dei lavoratori
la via per uscire dalla crisi economica
“L’attuale crisi economica e finanziaria impone misure concrete per indirizzare e
cambiare comportamenti, regole e valutazioni erronee" che l'hanno causata: lo ha sottolineato
l’arcivescovo Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede, presso
l’ONU di Ginevra, intervenuto ieri alla Conferenza annuale dell’Organizzazione internazionale
del lavoro (Ilo), che vede riuniti nella città elvetica, dal 3 al 19 giugno, circa
4 mila delegati di governi e rappresentanti del mondo dell’impreditoria e dei lavoratori,
interpellati dall’impatto della crisi sull’occupazione. Il pensiero di mons. Tomasi
al microfono di Emer McCarthy, della redazione inglese della nostra emittente:
R.
- Mi è parso utile ricordare, prima di tutto, che la crisi non è semplicemente il
risultato di qualche ingranaggio del meccanismo economico che non ha funzionato bene,
ma che c’è stata una mancanza di valori etici alla radice della crisi. L’ingordigia
e la cupidigia di alcuni manager che hanno costruito un’economia non basata su una
produttività reale, ma su una specie di economia digitale che accumulava denaro ma
non dava un servizio sociale o materiale, secondo le esigenze delle persone e del
bene comune. Poi, bisogna ricordare la solidarietà in questo momento difficile, perché
attraverso la solidarietà si aggiunge un elemento importante per uscire dalla crisi.
Ma, soprattutto, una soluzione al problema con cui ci confrontiamo è quella di mantenere
l’impiego delle persone, di mantenere i posti di lavoro, e questo lo si può fare aiutando
non solo le grandi banche o le grandi compagnie, ma le piccole e medie imprese che
danno lavoro sia nei Paesi sviluppati che in quelli poveri alla grande maggioranza
di persone. Poi, soprattutto, ritornando a un preciso concetto di lavoro, il quale
ha valore perché è il prodotto di una persona che ha capacità creativa e il cui talento
piccolo o grande è messo a servizio del bene comune. Quindi, anche per quelli che
perdono il lavoro rimane questa dignità. Non è il prodotto che fanno che è importante
- anche se necessario, è chiaro - ma è la loro dignità di persone sia quando lavorano
che quando non lavorano. Questo è bene ricordarlo di fronte al rischio che ci possano
essere circa 50 milioni di persone che hanno già perso o che perderanno il lavoro
prima che questa crisi si sblocchi.
D. - Arcivescovo
Tomasi, però il suo intervento ha anche dato un’idea per la ripresa dell’economia
mondiale: puntare sui talenti delle persone perché sono le persone che creano il lavoro
e soprattutto puntare sui giovani…
R. - I giovani
trovano grande difficoltà a entrare nel mercato del lavoro e, quindi, tutta l'energia,
tutta la creatività che essi possiedono non è messa al servizio della comunità e della
produttività reale in modo da poter facilitare la risoluzione della crisi in cui ci
troviamo. Perciò la strada maestra per uscire dalla crisi è riuscire a mantenere la
gente impiegata nel proprio lavoro, con il doppio vantaggio di dare, da un lato, un
contributo attraverso la loro capacità di produzione e, dall'altro, di aiutare a mantenere
una stabilità sociale. Vediamo che quando c’è disperazione e mancanza di fiducia nel
futuro, entriamo in fasi di disordine sociale che alle volte sbocca addirittura nella
violenza.