Trent'anni fa, il memorabile ritorno in patria di Karol Wojtyla nelle vesti di Pontefice.
Il ricordo di padre Andrzej Koprowski
Per otto giorni, dal 2 al 10 giugno 1979, la Polonia visse un momento indimenticabile.
I milioni di cattolici nel Paese, oppressi dal regime comunista di allora, videro
venire verso di loro a braccia spalancate un connazionale che - dopo aver affrontato
per anni a schiena diritta le vessazioni del totalitarismo filosovietico - tornava
ora con l’abito bianco di Pastore universale della Chiesa. Trent’anni dopo resta memorabile
quel primo viaggio in Patria di Giovanni Paolo II, quel suo “Non abbiate paura” che
cambiò per sempre la storia del blocco dell’est europeo. Il nostro direttore dei Programmi,
il gesuita polacco padre Andrzej Koprowski, rievoca i sentimenti e ciò che
produsse quel viaggio apostolico, al microfono di Alessandro De Carolis:
R. - Il primo
pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in Polonia ebbe un significato speciale. Fece
seguito al viaggio in Messico - più precisamente in Repubblica Dominicana, Messico
e Bahamas - e allo storico incontro con la terza Conferenza generale dell'episcopato
latinoamericano. Non fu solo un ritorno del Papa polacco in patria, ma un viaggio
apostolico del successore di Pietro oltre la Cortina di ferro, in un Paese del blocco
sovietico. Il cardinale Roberto Tucci ricorda che per l'ambiente vaticano e i collaboratori
di Papa Wojtyla fu un'occasione per comprendere meglio lo specifico del Pontificato,
il modo di vedere insieme il messaggio teologico inserito nella realtà culturale e
sociale delle persone e della società civile. Un'occasione per vedere il cristianesimo
come un lievito indispensabile per dare un senso umano ai sistemi culturali, sociali
e politici. Il contrasto con l'ideologia atea del blocco sovietico e con la situazione
delle popolazioni destinate dal trattato di Yalta al socialismo reale era evidente. D.
- Quali furono le tematiche che il giovane Papa affrontò in quel suo primo e memorabile
ritorno in Patria nelle vesti di Successore di Pietro?
R.
- Durante il primo viaggio polacco, Giovanni Paolo II toccò tutti i fondamenti teologici
come base non solo della vita personale, ma anche comunitaria, sociale, culturale,
per organizzare la vita pubblica, economica, politica. "Cercare - disse il Papa a
Balice il 10 giugno - tutto quello che è necessario al bene dell'uomo, il quale deve
trovare dappertutto la coscienza e la certezza della sua autentica cittadinanza in
qualunque sistema di relazioni e di forze". A Varsavia, Giovanni Paolo II aveva subito
sottolineato che "la Chiesa ha portato alla Polonia Cristo, cioè la chiave per la
comprensione di quella grande e fondamentale realtà che è l'uomo". La visita si svolse
in un clima straordinario, ma anche carico di tensioni politiche, soprattutto durante
gli incontri con i giovani e con il mondo del lavoro a Jasna Góra e a Nowa Huta. "Il
cristianesimo e la Chiesa - disse Papa Wojtyla - non hanno paura del mondo del lavoro.
Non hanno paura del sistema basato sul lavoro. Il Papa non ha paura degli uomini del
lavoro (...) Attraverso le proprie esperienze di lavoro, oso dire, il Papa ha imparato
nuovamente il Vangelo. Si è accorto e si è convinto, quanto profondamente nel Vangelo
sia incisa la problematica contemporanea del lavoro umano. Come sia impossibile risolverla
fino in fondo senza il Vangelo".
D. - Le rievocazioni
di quel viaggio dedicano sempre un capitolo alle reazioni preoccupate dei leader comunisti
di Varsavia di fronte a quel figlio della Polonia divenuto capo della Chiesa universale…
R.
- Sì, il regime, il governo e i capi del partito ebbero paura del viaggio. Temevano
che la visita del Papa provocasse manifestazioni e disordini. In realtà, furono giorni
pieni di gioia e di serenità. Per la prima volta da decenni credenti e non credenti
si trovarono insieme, in comunione, liberi. Riscoprirono la propria dignità. Non furono
contro il regime. Semplicemente, il regime sparì dalla prospettiva, come la sporcizia
sul vetro di una macchina tolta dal tergicristallo. L'elezione del cardinale di Cracovia
come successore di Pietro il 16 ottobre 1978 e il suo primo viaggio in Polonia diedero
impulso al profondo processo di trasformazione della società polacca. Un processo
mentale, ma anche culturale e sociale che portò fino al movimento di Solidarnosc,
fino a un rinnovarsi della speranza che si può vivere in modo più degno, più umano,
più libero, che si devono cambiare le strutture oppressive ed economicamente e socialmente
inefficaci. Giovanni paolo II ha aperto questa prospettiva del cristianesimo, della
Chiesa, del mistero salvifico di Cristo a tutti e non solo ai cattolici: non solo
a quelli che si sono radunati nelle chiese, ma anche a quelli che erano almeno apparentemente
contrari. Perché Cristo è venuto per tutti. E questo ha toccato molto.
D.
- Dunque, la visita di Giovanni Paolo II innescò la prima scintilla di quel profondo
cambiamento che segnerà nei decenni successivi tutta l’Europa dell’est. Quel è la
sua valutazione di quel fenomeno?
R. - Il processo
di maturazione non riguardò solo la Polonia. Già nel secondo giorno della visita,
a Gniezno - prima sede vescovile del Paese - Giovanni Paolo II ricordò che la Chiesa
ha cominciato il suo cammino missionario e la sua vita dal Cenacolo della Pentecoste.
Il Papa salutò i pellegrini provenienti dalle diverse parti del blocco sovietico,
menzionò i lituani, i cechi, gli slovacchi, i croati, gli sloveni, i moldavi, i russi,
i bulgari, gli ucraini, i serbi lusaziani. Il trentesimo anniversario del primo pellegrinaggio
di Giovanni Paolo ii in Polonia ha un significato non solo per la Chiesa polacca.
La rinascita della Chiesa nei diversi Paesi dell'Europa dell'Est, i cambiamenti di
mentalità e di situazione politica che hanno portato alla caduta del Muro di Berlino,
il processo di allargamento dell'Unione Europea con tutte le sue difficoltà e debolezze
- delle quali abbiamo avuto una chiara espressione in questi giorni nella scarsa partecipazione
alle elezioni - segnano le tappe di un cammino che ha le sue radici in quel viaggio
pastorale.