Trenta morti in Iraq, mentre sale il bilancio delle vittime dell’attentato di ieri
in Pakistan: uccisi anche due dipendenti ONU
E' salito a 30 morti e 70 feriti il bilancio di un attentato in un affollato mercato
della cittadina al Batha, vicino Nassiriya, secondo fonti locali. Dopo l'esplosione,
la polizia ha dovuto sparare in aria per contenere un moto di collera delle persone
presenti e di parenti delle vittime accorsi sul posto: una persona è stata ferita
e alcune altre sono state arrestate dalla polizia. Il rappresentante a Nassiriya del
grande ayatollah Ali Sistani, massima autorità sciita irachena, lo sheikh Mohammed
al Nasri, ha lanciato un appello attraverso un’emittente radio locale affinché gli
abitanti della zona vadano in ospedale a donare il sangue per aiutare i feriti. La
regione di Nassiriya, capoluogo della provincia a stragrande maggioranza sciita di
Dhi Qar, è relativamente tranquilla ormai da almeno un paio di anni, così come gran
parte del Sud del Paese.
Sale a 18 morti il bilancio dell’attentato di ieri
dell’hotel di Peshawar È arrivata anche la condanna del segretario generale
dell’Onu, Ban Ki-moon, per l’attentato di ieri a Peshawar, in Pakistan, quando l’esplosione
di un’autobomba ha investito il lussuoso Hotel Pearl Continental. Almeno 18 le vittime,
tra questi due dipendenti delle Nazioni Unite, una settantina i feriti. Si intensificano
intanto le operazioni antitalebani delle truppe governative sia nella valle di Swat,
sia nelle aree tribali del sud Waziristan. E si aggrava la preoccupante crisi umanitaria
che coinvolge ormai quasi tre milioni di profughi in fuga dalle zone dei combattimenti.
Per un’analisi della crisi pakistana, Stefano Leszczynski ha intervistato Margherita
Paolini, coordinatrice scientifica della rivista di geopolitica "Limes".
R. - Tutte
queste aree di frontiera, sia quella più a nord che quella del Waziristan, premettono
ai talebani - sia del lato afghano che di quello pakistano - di ruotare in qualche
modo, cioè di passare da una postazione all’altra e di mettere in difficoltà, su un
fronte e sull’altro, rispettivamente, sia le forze armate pakistane che quelle americane
che si trovano nel nordest dell’Afghanistan. C’è un aspetto che riguarda piuttosto
il boicottaggio dei rifornimenti Nato in Afghanistan, e l’attentato di Peshawar dimostra,
appunto, che c’è un controllo sulla zona dalla quale passano i rifornimenti più vitali
per la Nato.
D. - L’obiettivo di ieri sembrava diretto
a voler colpire la presenza internazionale in Pakistan, in particolare le Nazioni
Unite. Come mai, considerato che c’è un’emergenza umanitaria della quale le Nazioni
Unite cercano di farsi carico?
R. - Gli autori di
questo attentato non hanno scrupoli nei confronti delle Nazioni Unite, né si preoccupano
degli aiuti umanitari. Per loro è importante fare un’azione di vendetta nei confronti
di quella che viene definita una persecuzione dei militari pakistani contro il popolo
pashtun. Non dimentichiamoci che questa popolazione pashtun - che vive
al di qua e al di là di una frontiera virtuale, che è la “linea Durand” - si è sempre
sentita un unico popolo ma si trova contemporaneamente vessata, sia dal lato afghano
che da quello pakistano, e questo raddoppia le schiere dei militanti. Non è che tutti
i pasthun siano talebani, però si crea poi un sentimento di unità che alimenta
un "brodo" nel quale il terrorismo trova spazio e viene difeso. Nel caso, invece,
delle popolazioni che vivono nel nord della frontiera pakistana con l’Afghanistan
si tratta di popolazioni che si trovano tra l’incudine e il martello, cioè tra gli
attentati talebani e la repressione militare dei pakistani.
Ucciso
un comandante talebano in Afghanistan La coalizione a guida Usa in Afghanistan
ha annunciato oggi di aver ucciso un comandante talebano, legato ai Pasdaran iraniani,
e 16 dei suoi uomini, in un bombardamento aereo nell'ovest del Paese. Il capo dei
talebani, mullah Mustafa, era alla guida di un centinaio di uomini nella provincia
di Ghor e, secondo i militari, aveva “incontrato recentemente gli alti responsabili
talebani e aveva legami con il Quds”, un'ala del corpo delle Guardie rivoluzionarie
incaricata delle operazioni clandestine.
Iran Nella sempre più infiammata
campagna per le presidenziali del 12 giugno in Iran, l'influente ex presidente, Akhbar
Hashemi Rafsanjani, si appella alla Guida suprema della Repubblica islamica, Ali Khamenei,
dopo aver subito pesanti attacchi da parte del presidente uscente, Mahmud Ahmadinejad,
che corre per un secondo mandato. Ahmadinejad, il 3 giugno, durante un dibattito con
il candidato moderato, Mir Hossein Mussavi, ha accusato il suo rivale di essere sostenuto
da personaggi, quali lo stesso Rafsanjani, che si sarebbero arricchiti grazie alla
loro posizione all'interno del regime islamico. Rafsanjani ha quindi reagito e a Khamenei
ha inviato una lettera, pubblicata dall'agenzia semiufficiale Mehr, chiedendogli di
adoperarsi perché si abbassino i toni e perché ci sia una campagna elettorale “pulita”.
L'ex presidente afferma che contro di lui Ahmadinejad ha usato “menzogne e falsita”'
nell'accusarlo di corruzione. E c’è la presa di posizione di cinquanta esponenti
religiosi iraniani della città santa sciita di Qom: “Pur non schierandoci per nessuna
delle parti - scrivono - esprimiamo preoccupazione e disappunto per quello che è avvenuto
in questi giorni, specialmente nei dibattiti televisivi… porta solo delusione fra
il popolo e felicità per i nemici dell'Islam e del sistema islamico”. “Accusare chi
non è presente e non può difendersi, e senza provare le proprie affermazioni in una
Corte di giustizia, - aggiungono - è contro la legge islamica".
Medio Oriente Il
capo del movimento integralista palestinese Hamas - finora definito “terrorista” negli
Stati Uniti - Khaled Meshaal, ha espresso oggi apprezzamento in una conferenza stampa
al Cairo per “il nuovo linguaggio del presidente americano Barack Obama”, nel suo
discorso del 4 giugno scorso al mondo islamico. “Ma non basta cambiare linguaggio
- sottolinea - si devono anche cambiare le politiche” della Casa Bianca verso il Medio
Oriente. Duro dunque l’attacco che fa contro Israele, contro i governi che lo criminalizzano,
contro i palestinesi di Al Fatah. In ogni caso, è la prima volta, dopo mesi, che Meshaal
abbandona il suo esilio di Damasco e arriva al Cairo per parlare con i dirigenti egiziani
- in particolare con l'attivissimo capo dei servizi segreti, Omar Suleiman - della
possibilità di riconciliarsi con i rivali palestinesi dopo che il suo movimento, nel
luglio 200,7 li ha cacciati con la forza dalla Striscia di Gaza per prendere quel
potere che riteneva suo dopo le elezioni di gennaio 2006.
Il leader libico
Gheddafi è arrivato a Roma “E' una visita storica, vogliamo trattarla come
tale”. Così il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, ha commentato l'arrivo
in mattinata del leader libico Muhammar Gheddafi a Roma. Ad accoglierlo allo scalo
di Ciampino è stato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Il leader libico
parlerà in aula al Senato, giovedì mattina, nella veste di presidente di turno dell'Organizzazione
dei Paesi africani. Sempre gioveì, è prevista la sua presenza all’Università La Sapienza.
Il leader libico, che resterà a Roma tre giorni, ha voluto risiedere in una tenda
beduina che è stata allestita a Villa Pamphili, tra massime misure di sicurezza. Tra
queste, il divieto di sorvolare la capitale durante tutta la durata della visita.
Il
Libano del dopo voto: sembra profilarsi un governo di unità nazionale “Vogliamo
un governo con tutti i partiti politici”, ma non un “governo che non può lavorare".
E’ quanto ha affermato Saad Hariri, leader sunnita della coalizione filooccidentale
libanese, che ha vinto le elezioni parlamentari di domenica scorsa. Una frase che
suona come un’apertura verso gli sconfitti in vista di un governo di unità nazionale.
Tuttavia, molto resta da capire sugli effettivi equilibri di potere prodotti dall’ultima
tornata elettorale, come sostiene il prof. Vittorio Emanuele Parsi,
docente di Relazioni internazionali nell'Università Cattolica del Sacro Cuore, intervistato
da Federico Piana:
R. - La realtà
è che date le condizioni delle leggi elettorali, data la situazione di partenza, questo
risultato dice, secondo me, che c’è e come un vincitore netto Giustamente però, bisogna
immediatamente iniziare a dissimulare questa vittoria, perchè il punto vero è che
il vincitore delle elezioni non è che porti a casa qualcosa se non trova la soluzione
politica. Il problema è che Hezbollah in qualche modo si è mosso dal 2005, dall’omicidio
di Hariri, progressivamente, per occupare più spazio politico. Per molti aspetti,
la cacciata formale della Siria dal Libano ha lasciato uno spazio aperto che è stato
occupato da Hezbollah, che ha dovuto muoversi più in prima persona, e che ha raccolto
questa coalizione dell’8 marzo, in risposta a quella antisiriana. E quindi, facendo
questo, in qualche modo - pur con il ricorso alle armi quando le cose non erano abbastanza
chiare, con nel mezzo la guerra del 2006 e così via - in qualche modo Hezbollah ha
tentato e si è mosso per essere sempre più un soggetto politico libanese e non solo
una milizia o una "lunga mano" di Teheran e Damasco nel Paese. Questo processo va
incoraggiato e va tenuto vivo, perchè non c’è dubbio che l’auspicio finale è che Hezbollah
capisca che questa volta ciò che gli ha giocato contro è stato proprio per paradosso
l’esercito, la presenza di una milizia così fortemente armata, che ha reso gli elettori
timorosi di dare anche un successo elettorale a quella coalizione. E allora questo
credo sia il punto: far capire ad Hezbollah che la sua normalizzazione, nel lungo
periodo, è la condizione per consentire un giorno un’eventuale vittoria anche di una
sua coalizione e non un elemento di debolezza.
Wto Russia,
Bielorussia e Kazakhstan hanno annunciato oggi l'intenzione di aderire all'Organizzazione
mondiale del commercio (Wto) come una entità doganale unica. Lo ha detto a Mosca
il premier russo Vladimir Putin al termine di una riunione con i colleghi bielorusso
e kazakho. Mosca, Minsk e Astana informeranno il Wto della fine del processo di adesione
individuale dei tre Paesi all'Organizzazione. Il ministro delle Finanze russo, Aleksiei
Kudrin, ha detto che il processo negoziale formale per l'ingresso nel Wto dei tre
Paesi dell'unione doganale russo-kazakho-bielorussa comincerà subito dopo il primo
gennaio 2010. La Russia è l'unica potenza economica mondiale a non far parte del Wto
e del sistema commerciale multilaterale. Dopo lunghi negoziati, che vanno avanti da
15 anni, la prospettiva di adesione di Mosca era stata rimessa in discussione dopo
il conflitto armato con la Georgia della scorsa estate. Russia, ancora violenza
in Caucaso: uccisa la vice capo della Corte suprema Aumenta la spirale di violenza
in Caucaso settentrionale: stamani, nella Repubblica di Inguscenzia al confine con
la Cecenia, è stata uccisa la vicepresidente della Corte suprema, Aza Gazgereeva.
Fonti di agenzie riferiscono che, nella capitale Nazran, sconosciuti hanno aperto
il fuoco con armi automatiche contro l'auto nella quale viaggiava il giudice. La donna
è morta poco dopo in ospedale. Insieme con lei, altre cinque persone, compreso l'autista,
sono rimaste ferite nell’agguato. Sempre oggi c’è stata la rivendicazione dai guerriglieri
integralisti islamici dell’uccisione, avvenuta il 5 giugno scorso, del ministro dell’Interno
repubblicano, Adilgherei Magomedtaghirov, del Daghestan, Repubblica del Caucaso russo
al confine con la Cecenia. La rivendicazione giunge all'indomani di una visita a sorpresa
in Daghestan del presidente russo, Medvedev, che ieri aveva conferito post mortem
a Magomedtaghirov il titolo di "Eroe della Russia". Ucraina: saliti a nove
i minatori morti a Donetsk Sono saliti a nove i morti causati dall’incidente,
avvenuto l’8 giugno scorso, nella miniera di carbone nella regione di Donetsk nell’est
dell’Ucraina. Sono stati tratti in salvo 36 minatori, tutti ricoverati in ospedale
per le ferite riportate di varia natura, mentre altri quattro operai risultano ancora
dispersi. Al momento del fatto, si trovavano nella miniera 53 persone. Sembrano ancora
incerte le cause che hanno provocato l’incidente: un crollo sotterraneo o un’esplosione.
India:
uccisi almeno 11 militari indiani Sono rimasti uccisi almeno undici militari
indiani per lo scoppio di una mina al passaggio del loro veicolo. E’ accaduto vicino
al villaggio di Tithir, nello Stato dello Jharkhaland (India centro-orientale). L’imboscata
è stata tesa, riferiscono fonti locali, da un gruppo maoista che ha fatto saltare
l’ordigno con un comando a distanza. Dopo l’esplosione, il commando ha infierito contro
la pattuglia militare a colpi di armi automatiche. Inutili i tentativi dei militari
indiani di difendersi. Il movimento maoista Naxalita, che indicano come l’autore dell’attentato,
è attivo, oltre che in Jharkhaland, anche negli Stati di Bihar e West Bengala. India:
scomparso aereo militare indiano E’ da ieri pomeriggio che si sono perse le
tracce di un aereo militare indiano. Si trovava in volo fra le montagne dello Stato
dell'Arunachal Pradesh con 13 militari a bordo. Il velivolo, un AN 32, è decollato
da Mechuka e sarebbe dovuto atterrare nella località di Jorhat, dove non è mai arrivato.
Salgono a cinque i velivoli persi dall’aeronautica militare indiana, dal gennaio scorso,
per incidenti di vario genere.
Nigeria I guerriglieri del Mend, il
movimento contro lo sfruttamento petrolifero del Delta del Niger, ha annunciato di
aver portato un dirompente attacco ad un impianto del gruppo americano Chevron in
Nigeria. Il Mend, in una nota, sostiene di aver prodotto “effetti devastanti” nell'impianto
petrolifero “pesantemente fortificato” di “Chevron Otunana”. (Panoramica internazionale
a cura di Fausta Speranza e Anna Villani)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 161
E' possibile
ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino
del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.org/italiano.