L'appello dei vescovi europei ai governi del continente: tutelare i più poveri dalla
crisi. Intervista con il cardinale Péter Erdő e il prof. Antonio Baggio
La crisi economica mondiale chiede realismo e fiducia. E’ la convinzione dei vescovi
europei espressa nel comunicato diffuso oggi dal Consiglio delle Conferenze episcopali
europee (Ccee), a conclusione dell’incontro dei presuli responsabili per le questioni
sociali, svoltosi a Zagabria, in Croazia. I presuli hanno invocato, tra l’altro, attenzione
per i poveri e il mantenimento degli impegni presi a favore dei finanziamenti per
lo sviluppo, disattesi da molti Stati. Tra i relatori intervenuti a Zagabria, c’era
anche il cardinale arcivescovo di Esztergom-Budapest, Péter Erdő, presidente
del Ccee. Al microfono di Marta Vertse, incaricata del programma ungherese
della Radio Vaticana, il porporato ribadisce la visione dei vescovi europei sulla
crisi economica mondiale:
R. - Prima
di tutto, si tratta di un problema globale, quindi anche la risposta dev’essere globale:
non soltanto di un Paese, di una diocesi e neanche soltanto di alcuni Paesi ricchi.
Ciascuna risposta deve tener conto dell’affetto dell’insieme dell’umanità. Questo
è un punto importante alla nostra attenzione. Poi, come Ccee cerchiamo di sensibilizzare
l’opinione pubblica, cerchiamo di rafforzare la collaborazione per la giustizia e
la pace a livello delle Conferenze episcopali del nostro continente. Cerchiamo di
introdurre questo tema anche nel nostro dialogo con le altre Chiese e comunità cristiane
del continente, cerchiamo di progettare incontri regolari dei vescovi responsabili
delle singole Conferenze per la giustizia e per la pace. Evidentemente, ciascuna Conferenza
episcopale racconta poi le proprie esperienze: per esempio, in Italia c’è un fondo
per le famiglie che, in conseguenza della crisi, hanno difficoltà a pagare gli interessi
dei prestiti. Ma abbiamo raccontato anche le nostre esperienze in Ungheria, a livello
parrocchiale: l’aiuto offerto da coloro che possono assumersi l'impegno di pagare
stabilmente ogni mese una somma in favore dei bisognosi, e così via.
D.
- Eminenza, a Zagabria avete espresso il desiderio, non solo della Croazia ma di tutti
i Paesi limitrofi, che il Paese faccia parte al più presto dell’Unione Europea…
R.
- Finora non è uscita nessuna dichiarazione concreta su quando e in che forma. Certamente,
se c’è un Paese pronto a far parte di questa Unione, questo Paese è la Croazia. Pperché
lì veramente uno si sente in Europa, nel vero senso della parola: la cultura, ma anche
le circostanze della vita attuale sembrano analoghe a quelle di tutti gli altri Paesi
dell’Unione.
La preoccupazione dei vescovi europei sull’andamento
della crisi economica si inserisce nel più ampio quadro disegnato dalle recenti elezioni
per il rinnovo del parlamento europeo. All’impegno che i vescovi chiedono ai governanti
dell’Europa comunitaria, fa da contraltare la disaffezione dei cittadini verso la
politica, dimostrata dal forte astensionismo registrato alle urne. Luca Collodi
ha chiesto un’opinione al prof. Antonio Maria Baggio, docente di etica politica
all'Università Gregoriana:
R. - Ci sono
alcuni punti forti, mi sembra. Il primo riguarda l’astensionismo che si può probabilmente
definire come un astensionismo provocato dalla conduzione normale, quotidiana, che
viene fatta da parte delle classi politiche dei Paesi europei, che non danno importanza
al tema europeo. Questo lo si vede perchè, nel momento in cui c’è stato il grande
cambiamento alla guida degli Stati Uniti con il presidente Obama - che sta impostando
argomenti di una profondità e di un’importanza enormi - l’Europa si è mostrata assente.
Purtroppo, i grandi ideali della dichiarazione Schumann agli inizi dell'esperienza
comunitaria europea sembrano essere stati smarriti. C’è stata una svalutazione dell’idea
di Europa. Si è smarrita l’idea di una "patria europea", di un’Europa dei popoli.
D.
- Uno dei temi più criticati dell’azione europea è la burocrazia, che poi ha determinato
molto probabilmente, tra le tante cose, anche la scelta di votare o non votare per
l’Unione Europea...
R. - Io sottolineerei l’aspetto
positivo. Esiste un’originalità europea nella costruzione della realtà dell’Europa.
Oltre agli ideali che abbiamo sottolineato, c’è anche da costruire il corpo dell’Europa
che ha scelto di intrecciare gli interessi. Il fatto che esista un intreccio, che
certamente deve essere regolato da norme, di per sé non è negativo: dà solidità allo
stare insieme nostro come europei. Noi abbiamo cominciato come Comunità del carbone
e dell’acciaio, però si sottolineò che lo scopo era politico, non era economico. L’economia
era uno strumento. La macchina europea costringe i singoli Paesi a fare dei passi
avanti che da soli non farebbero.
D. - Perché il
popolo europeo è così restio a riconoscere questi aspetti positivi? Tutta colpa di
politici che non parlano sufficientemente o "usano" in modo propagandistico l’Europa
o dei media che non parlano nelle singole nazioni dell’Europa?
R.
- E’ una questione di qualità della politica. Purtroppo dovremmo fare i conti con
i problemi gravi che abbiamo. Il primo è il problema della formazione di un ceto politico
che si comporti da ceto, cioè come una categoria difficilmente amovibile. Che interesse
ha questo tipo di personale politico a suscitare i grandi temi? Invece è proprio ciò
che ci vorrebbe, perchè la politica si alimenta, per esempio, di interesse dei giovani,
i quali invece stentano ad entrare in politica e molti dei migliori, ad esempio in
italia, sono costretti in questo momento ad andare fuori del Paese. Allora, se i politici
non riescono a suscitare i grandi temi, non riescono ad aprire strade per i giovani,
la nostra riflessione dovrebbe porsi il problema della qualità delle persone che noi
mandiamo in parlamento o altrove.
D. - Prof. Baggio,
lei non pensa che questa difficoltà che trova l’Europa sia dovuta anche alla mancanza
di un’anima che leghi i popoli europei?
R. - Senz’altro.
L’Europa potrebbe essere un popolo di popoli, che valorizza le diversità. E’ questo
il vero senso del tentativo europeo. Però come facciamo a parlare di anima, quando
i nostri standard di convivenza si abbassano sempre di più? Aristotele diceva che
la politica è la più architettonica delle scienze pratiche, perché dà la struttura
della casa della società. Allora, se questa struttura è storta, se chi governa non
riesce a sviluppare un vero progetto, è questo che dà o meno il senso se esista un’anima.
Perché se non ci viene detto per cosa impegnarci, per cosa lottare, vuol dire che
non c’è idealità, non c’è profondità di prospettiva. Ci sono problemi di fondo che
vanno risolti prima di chiederci se siamo di destra, di sinistra o di centro. Dobbiamo
diventare più coscienti della nostra umanità come cittadini e riconquistare gli ideali.
Ecco da dove viene l’anima di cui lei parlava.