Giornalisti sotto tiro in Corea del Nord e Somalia
''Abbiamo attivato tutti i canali possibili per la loro liberazione''. Così il numero
uno della Casa Bianca Barack Obama dopo la condanna a 12 anni di lavori forzati, da
parte dei giudici nordcoreani, nei confronti di due giornaliste statunitensi, Laura
Ling ed Euna Lee. La condanna è per ingresso illegale e attività ostili. Le due donne
sono state arrestate il 17 marzo scorso al confine tra Corea del Nord e Cina, mentre
realizzavano un reportage sui rifugiati. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento
di Domenico Affinito vicepresidente di Reporter Senza Frontiere Italia. Drammatica
la situazione dell’informazione anche in Somalia, dove è stato ucciso il direttore
del network radiofonico “Shabelle”, Mokhtar Mohamed Hirabe. Dal 2007, 14 giornalisti
sono stati uccisi nel Paese. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento
di Domenico Affinito, vicepresidente di Reporter Senza Frontiere Italia:
R. – La Somalia
è di fatto un Paese in guerra, una di quelle guerre che ormai si sono cronicizzate
e che dura ormai praticamente dal ’93, da quando fallì la missione internazionale
“Restore Hope”. Tutta questa situazione si riflette in modo diretto sulla sicurezza
di chi fa informazione. Il giornalisti locali, ovviamente, non essendoci un governo
democratico costituito, sono alla mercé della volontà di chi comanda, zona per zona;
nel momento in cui non è d’accordo con il giornalista lo fa liquidare, lo fa uccidere
… Il nostro appello è quello rivolto, chiaramente e sempre, alla comunità internazionale
che deve fare di più per migliorare le condizioni in queste zone del mondo.
D.
– Réporters sans frontières ha notizie di Mohammed Ibrahim Jekey, il giornalista della
Universal Tv che è stato rapido il 2 giugno scorso?
R.
– Non abbiamo informazioni particolari su di lui. Abbiamo cercato di compiere una
missione in Somalia per prendere contatto con chi governa il Paese nelle diverse zone,
e abbiamo dovuto abbandonare in quanto non ci veniva garantita la sicurezza in ampie
zone del Paese.
D. – Ci spostiamo in Corea del Nord:
due giornaliste americane sono state condannate a 12 anni in campi di lavoro …
R.
– Noi siamo molto preoccupati: la Corea del Nord è il Paese peggiore per quanto riguarda
la libertà di stampa, secondo Réporters senza frontiere; è un Paese nel quale nessun
giornalista straniero può entrare con un visto giornalistico. Tutti i giornalisti
che ci vanno, ci vanno con un visto turistico, devono starci pochi giorni e poi se
vengono “pescati” a fotografare, a lavorare rischiano tantissimo; ed è di fatto nulla
la libertà di stampa, invece, per quanto riguarda i giornalisti locali.
D.
– Il presidente statunitense Obama ha assicurato ogni sforzo per la liberazione delle
due giornaliste. C’è dunque una possibilità?
R. –
In questo caso, le pressioni possono servire. L’abbiamo visto con la Saberi in Iran,
che alla fine poi è stata liberata anche se condannata: anche lì, una giornalista
americana di nazionalità, di origine iraniana, condannata per alto tradimento ma in
realtà perché stava operando come giornalista, stava prendendo nota di una serie di
informazioni. In questo caso, stiamo parlando di due giornaliste, americane di nazionalità
ma di origine sud-coreana. Si spera che in qualche modo una pressione possa servire.