La Chiesa del Madagascar in festa: proclamato Beato Fratel Raffaele Rafiringa, religioso
dei Fratelli delle Scuole Cristiane
Un uomo, convertito al cristianesimo, che incise nella vita del Madagascar più dei
cicloni che ogni tanto ne spazzano le coste. Fratel Raffaele Rafiringa, vissuto a
cavallo tra il 19.mo e il 20.mo secolo, è stato proclamato oggi Beato dal prefetto
della Congregazione per le Cause dei Santi, l’arcivescovo Antonio Amato, nel corso
di una solenne cerimonia nella capitale malgascia, Antananarivo. Raffaele Rafiringa
è passato alla storia della grande isola africana quando - semplice religioso dei
Fratelli delle Scuole Cristiane - resse le sorti della sua Chiesa in un periodo particolarmente
buio. Lo spiega fratel Rodolfo Cosimo Meoli, postulatore della Causa di Beatificazione
di fratel Rafiringa, intervistato da Roberto Piermarini:
R. - La Regina,
che era in quel momento al potere, tentò di cacciare via tutti gli stranieri. Naturalmente,
i primi che obbedirono a questa ingiunzione furono i missionari. Quindi, ad un certo
punto, questa Chiesa allora nascente si trovò senza capi, senza responsabili e si
trovò disorientata in maniera significativa. Qui emerse, quasi all’improvviso, la
figura di fratel Raffaele, che si vide eletto responsabile di tutti i cattolici dell’isola
e in questo compito fu sostenuto anche da una principessa convertita - la prima beatificata
del Madagascar, da Giovanni Paolo II, nel 1989 – che aiutò, sostenne in maniera molto
forte l’opera di questo nuovo capo del cattolicesimo dell’isola. E fratel Raffaele
lì diede prova di non comuni capacità, perché la sua prima cura fu di formare catechisti,
che istruiva continuamente e poi li inviava nei vari villaggi, nei vari punti dove
c’erano delle piccole comunità cristiane. Quando poi i missionari, tre anni dopo,
nel 1886 - quindi erano stati dal 1883 al 1886 senza nessun missionario straniero
- ebbero la possibilità di rientrare, rimasero veramente meravigliati nel trovare
la comunità cristiana addirittura più numerosa e fervorosa di come l’avevano lasciata.
La situazione si ripeté alcuni anni dopo perché, nel 1894, furono di nuovo scacciati,
i missionari, ma la cosa durò pochi mesi e quindi non fu tanto significativa come
lo era stata invece quella del 1883.
D. – Fratel
Meoli, quali sono i messaggi che lascia con la sua Beatificazione, fratel Raffaele?
R.
– Per me, il nostro Beato ha soprattutto due messaggi da dare al mondo di oggi. Il
primo è questo: lui era un “laico”, diciamo, nel senso che era un religioso ma non
un sacerdote. Allora, come è potuto stare a capo di una Chiesa nascente, tra l’altro,
per tre anni, dando frutti così positivi? Questo significa – ed ecco il messaggio
– che i laici hanno una loro funzione molto forte, molto importante. I laici devono
capire che sono missionari coinvolti a pieno nell’evangelizzazione. Il secondo messaggio
è anche esso altrettanto importante ed attuale. Fratel Raffaele seppe condurre un’azione
incisiva di radicamento del Vangelo nella cultura indigena. Lui ebbe questa attitudine
profetica pastorale, la capacità cioè di unire il cristianesimo, le forme del cristianesimo,
alle tradizioni culturali del suo popolo. Il popolo non doveva abbandonare le sue
tradizioni, cambiare, perché sarebbe stato, oltre che innaturale, anche completamente
difficile e l’avrebbe allontanato, anziché avvicinare, al cristianesimo.
D.
– Come e quando terminò la sua vita, come è giunto alla gloria degli altari?
R.
– Il nostro Santo ebbe una vita abbastanza lunga per il luogo dove visse perché morì
il 19 maggio del 1919, a 63 anni. Non morì nella capitale dove, in pratica, visse,
ma morì in una cittadina lontana, Fianarantsoa. Ma proprio per la fama di Santità
di cui godeva, i suoi ex alunni, i suoi estimatori ed i suoi confratelli, vollero
trasportarne i resti ad Antananarivo, nel 1933, quindi 14 anni dopo la sua morte.
Durante questo viaggio, avvenne il miracolo che lo ha portato alla Beatificazione.
Il miracolo avvenne in un’altra cittadina, Antsirabè, che sta all’incirca a metà strada
tra Fianarantsoa e Antananarivo. Il corteo si fermò una notte ad Antsirabè. Lì si
celebrò una grande Messa ed alla fine della celebrazione, un suo ex catechista che
purtroppo era rimasto paralizzato nell’uso delle gambe, volle farsi accompagnare per
rendere l’ultimo omaggio al suo maestro. Si avvicinò alla bara, la toccò e, repentinamente,
riprese a camminare. Questo è stato il miracolo che è stato esaminato e naturalmente
sottoposto a tutto il processo necessario quando si devono riconoscere i miracoli
ed ha portato, fratel Raffaele, alla Beatificazione.
D.
- Fratel Meoli, che eredità lascia questo nuovo Beato, Rafiringa, ai Fratelli delle
Scuole Cristiane?
R. - Il messaggio, credo, sia soprattutto
di carattere religioso perché fratel Raffaele diventa Santo non perché è stato un
bravo maestro, non perché ha scritto dei libri o perché ha guidato la Chiesa del Madagascar,
ma per “come” l’ha fatto. Lui, cioè, era pieno di Dio e ha dato Dio agli altri. Allora,
per noi, è l’aspetto religioso che deve valere: dobbiamo essere religiosi, prima cosa,
ed apostoli. Quindi, il nostro nuovo Beato, ci richiama a questo dovere essenziale.
Possiamo e dobbiamo essere degli intellettuali, dobbiamo essere degli educatori, in
senso anche più ampio, ma, soprattutto, dobbiamo essere religiosi, apostoli. Se dimentichiamo
questo, vuol dire che non abbiamo capito totalmente il messaggio di questo nostro
nuovo Beato.
Per una testimonianza sulla situazione
della popolazione in Madagascar ed in special modo dei bambini, Anna Villani
ha intervistato suor Alessandra Colagiovanni della Congregazione di San Giovanni
Battista, reduce da una missione nel Paese africano:
R. – Ho fatto
un meraviglioso viaggio missionario che ha segnato molto la mia vita. Il Madagascar
è una meravigliosa isola: lì ci sono due classi sociali, quella dei molto ricchi e
quella dei poveri che a stento riescono a sopravvivere. Ma ciò che mi ha scioccato
di più è stato il villaggio Aranta. In questo villaggio vivono 8 mila persone; la
maggior parte sono bambini che vivono in una situazione disumana: non c’è luce né
cibo né acqua potabile. Quel po’ che c’è si paga.
D.
– Quali sono le attività svolte dalle suore battistine a favore dei bambini in Madagascar?
R.
– Ogni giorno, le suore fanno chilometri a piedi per arrivare al villaggio di Aranta.
Portano aiuto, istruzione e conforto ai bambini dimenticati. Le suore vanno di capanna
in capanna a portare la Parola di Dio e molte famiglie hanno abbandonato le sette
e hanno chiesto di vivere da cristiani, facendosi battezzare e chiedendo di celebrare
il matrimonio religioso. Le suore sono povere con i poveri. Dedicano la loro vita
per ridare dignità agli ultimi della terra.
D. –
Ci spiega la vostra particolare missione come congregazione in Madagascar, di "costruire
l’identità" di piccoli e grandi?
R. – Le missionarie
si impegnano girando per i villaggi a far registrare i bambini all’anagrafe del comune,
dando loro una data di nascita. Il più delle volte si regolano guardando l’altezza
e la maturità del bambino e ascoltando i genitori che ricordano il periodo della nascita:
il tempo delle piogge, quando matura il mango, quando fa molto caldo, quando è Natale
… Per le date di nascita, a volte si scelgono giorni importanti dell’Istituto, come
la nascita del Beato, la sua ordinazione sacerdotale … Pensate che più di 300 bambini
sono stati registrati al comune in poco di tempo; non solo i bambini, ma anche i genitori!