Appello di "Iniziativa cristiana per l'Europa": partecipare alle prossime elezioni
Vigilia di elezioni europee nei Paesi Bassi e nel Regno Unito. Le consultazioni, che
termineranno domenica 7 giugno, danno il via alla tornata che rinnoverà il Parlamento
di Bruxelles. Sono 375 milioni gli elettori chiamati a scegliere i 736 eurodeputati
per i prossimi 5 anni. Per l’occasione, l’Iniziativa cristiana per l’europa (Ixe),
un cartello di associazioni e movimenti di 13 Paesi d’Europa tra cui le Acli, ha lanciato
un appello agli elettori cristiani affinché partecipino all’appuntamento nonostante
la disaffezione mostrata negli anni scorsi. Come riaccendere allora il senso di responsabilità
nei confronti delle istituzioni europee, un concetto già sottolineato nel documento
della Comece, la Commissione degli Episcopati della Comunità europea? Al microfono
di Benedetta Capelli risponde Luca Jahier, responsabile internazionale
delle Acli:
R.
- Bisogna uscire dal proprio “particolare”, capire che siamo parte di un mondo più
complesso del quale siamo tenuti ad informarci e a partecipare. Riconoscere che la
dimensione europea oggi è la dimensione sostanziale della vita concreta delle nostre
famiglie, delle nostre imprese, delle nostre comunità: tra il 70 e l’80% delle legislazioni
nazionali, ormai, sono direttamente collegate all’adozione delle legislazioni europee.
E poi decidere di svolgere un ruolo attivo e, soprattutto, esprimere la propria preferenza
con il voto scegliendo candidati che hanno dimostrato di lavorare seriamente per il
bene comune europeo.
D. - Nel vostro appello evidenziate
che solo l’Europa unita può rispondere alle sfide attuali. In che modo?
R.
- La promozione dei valori che l’Europa rappresenta, nella sua grande storia di integrazione,
e che ha messo insieme intorno al tema della giustizia e della solidarietà, non si
difende certamente andando ciascuno per sé. Solo l’Europa unita - che già oggi rappresenta
come insieme la prima economia del mondo, ma anche il primo donatore di aiuti a livello
mondiale - può rappresentare una capacità di incidere e di diventare un vero punto
di riferimento. La sfida oggi è: costruiremo un mondo almeno tripolare dentro una
logica multipolare o ci arrenderemo a una logica bipolare del mondo, cioè fatta da
Stati Uniti e Cina? Io voglio ambire ad essere parte di un mondo almeno tripolare,
nel quale l’Europa con il suo modello sociale, con la sua economia sociale di mercato,
con una sua idea di libertà, di solidarietà e di integrazione delle parti più deboli,
di difesa dei diritti della persona e della dignità umana può rappresentare un punto
di riferimento. Non per colonizzare gli altri, ma per rappresentare un punto di orientamento
che mira anche a cambiare le regole delle globalizzazione.
D.
- In che modo, secondo lei, si può raccogliere l’invito di Benedetto XVI rivolto all’Europa
affinché non si disperdano i suoi valori e soprattutto le sue radici cristiane?
R.
- E’ un po’ come la parabola dei talenti. Credo che l’Europa non debba dimenticare
e nascondere la propria storia straordinaria, fatta anche di errori e di tragedie
quali la Shoah o l’aspetto meno pregevole della propria storia coloniale. Una storia
che tuttavia è di straordinarie conquiste di civiltà - ricordo soltanto il principio
della dignità intangibile della persona umana, che è un principio figlio della cultura
europea, passato oggi nella Dichiarazione Internazionale dei Diritti dell’uomo o ancora
l’uguaglianza uomo-donna. Quando l’Europa smette di spendere i suoi talenti sulla
scena internazionale, smette di svolgere un ruolo attivo, fa esattamente quello che
faceva l’uomo stigmatizzato nella parabola dei talenti, cioè perde tutto. L’Europa
oggi è di fronte a questo: le sue radici cristiane, che possono essere riconosciute
esplicitamente o implicitamente, non vanno semplicemente evocate e poi conservate
in un museo, ma vanno spese e interpretate nel tempo presente: sia continuando a dare
forma ai valori che hanno costruito e fatto grande l’Europa, sia continuando a spenderli
per una diversa globalizzazione, per una realtà internazionale un po’ più solidale
e aperta ai più poveri.
Non solo i cittadini ma anche il
sistema Europa ha bisogno di confrontarsi con gli ideali che l’hanno animata fin dalle
origini. E’ l’opinione della prof.ssa Marta Cartabia, docente di Diritto costituzionale
europeo all’Università di Milano-Bicocca, intervistata da Emanuela Campanile:
R.
- I padri fondatori, chi ha voluto e ha costruito l’Europa, ci hanno lasciato un’eredità
molto positiva. Nel loro progetto iniziale c’era una grande tensione verso importanti
ideali: pace e prosperità per tutto il continente europeo, come si legge nel discorso
del 9 maggio 1950 di Robert Schumann. Ma, come ha detto anche il Santo Padre in recenti
occasioni, sul piano morale, spirituale, degli ideali, ogni generazione deve riconquistarsi
lo spessore della vita comune. Non si può pensare di accumulare e di proseguire su
qualcosa che altri hanno fatto.
D. - Si può definire
lo spirito di quelle origini caratterizzato dal liberismo e dalla democrazia?
R.
- Sicuramente, quello che era chiaro a quegli uomini che avevano vissuto la prima
parte del XX secolo - che cioè partivano per costruire l’Europa sulle macerie di due
guerre mondiali e dei totalitarismi che avevano distrutto spiritualmente e materialmente
l’intera società - era che la persona doveva essere al centro di tutto.
D.
- Ad oggi l’Europa, secondo lei, è un’esigenza per il futuro?
R.
- Direi che è un dato di fatto e non si può neanche immaginare di tornare indietro.
I problemi delle società attuali hanno delle dimensioni che superano di gran lunga
i confini nazionali. Il cambiamento demografico, i fenomeni di immigrazione, i problemi
dell’economia, il terrorismo internazionale sono tutte problematiche che non possono
che passare dall’Europa. Il singolo Stato da solo non può farcela.
D.
- Fondamentale dovrebbe dunque essere la riscoperta dell’Europa. Purtroppo, di queste
ultime elezioni 2009 nemmeno i mass media si stanno occupando moltissimo…
R.
- Parte del problema è da collocarsi proprio nella struttura europea, perché manca
un vero e proprio agorà dove i cittadini partecipino alla vita politica dell’Europa.
Non ci sono partiti politici europei, il dibattito è sempre mediato dai partiti nazionali
e quindi dai problemi nazionali. E’ un passo da fare, questo.