2009-06-03 15:18:50

Appello di "Iniziativa cristiana per l'Europa": partecipare alle prossime elezioni


Vigilia di elezioni europee nei Paesi Bassi e nel Regno Unito. Le consultazioni, che termineranno domenica 7 giugno, danno il via alla tornata che rinnoverà il Parlamento di Bruxelles. Sono 375 milioni gli elettori chiamati a scegliere i 736 eurodeputati per i prossimi 5 anni. Per l’occasione, l’Iniziativa cristiana per l’europa (Ixe), un cartello di associazioni e movimenti di 13 Paesi d’Europa tra cui le Acli, ha lanciato un appello agli elettori cristiani affinché partecipino all’appuntamento nonostante la disaffezione mostrata negli anni scorsi. Come riaccendere allora il senso di responsabilità nei confronti delle istituzioni europee, un concetto già sottolineato nel documento della Comece, la Commissione degli Episcopati della Comunità europea? Al microfono di Benedetta Capelli risponde Luca Jahier, responsabile internazionale delle Acli:RealAudioMP3



R. - Bisogna uscire dal proprio “particolare”, capire che siamo parte di un mondo più complesso del quale siamo tenuti ad informarci e a partecipare. Riconoscere che la dimensione europea oggi è la dimensione sostanziale della vita concreta delle nostre famiglie, delle nostre imprese, delle nostre comunità: tra il 70 e l’80% delle legislazioni nazionali, ormai, sono direttamente collegate all’adozione delle legislazioni europee. E poi decidere di svolgere un ruolo attivo e, soprattutto, esprimere la propria preferenza con il voto scegliendo candidati che hanno dimostrato di lavorare seriamente per il bene comune europeo.

 

D. - Nel vostro appello evidenziate che solo l’Europa unita può rispondere alle sfide attuali. In che modo?

 

R. - La promozione dei valori che l’Europa rappresenta, nella sua grande storia di integrazione, e che ha messo insieme intorno al tema della giustizia e della solidarietà, non si difende certamente andando ciascuno per sé. Solo l’Europa unita - che già oggi rappresenta come insieme la prima economia del mondo, ma anche il primo donatore di aiuti a livello mondiale - può rappresentare una capacità di incidere e di diventare un vero punto di riferimento. La sfida oggi è: costruiremo un mondo almeno tripolare dentro una logica multipolare o ci arrenderemo a una logica bipolare del mondo, cioè fatta da Stati Uniti e Cina? Io voglio ambire ad essere parte di un mondo almeno tripolare, nel quale l’Europa con il suo modello sociale, con la sua economia sociale di mercato, con una sua idea di libertà, di solidarietà e di integrazione delle parti più deboli, di difesa dei diritti della persona e della dignità umana può rappresentare un punto di riferimento. Non per colonizzare gli altri, ma per rappresentare un punto di orientamento che mira anche a cambiare le regole delle globalizzazione.

 

D. - In che modo, secondo lei, si può raccogliere l’invito di Benedetto XVI rivolto all’Europa affinché non si disperdano i suoi valori e soprattutto le sue radici cristiane?



R. - E’ un po’ come la parabola dei talenti. Credo che l’Europa non debba dimenticare e nascondere la propria storia straordinaria, fatta anche di errori e di tragedie quali la Shoah o l’aspetto meno pregevole della propria storia coloniale. Una storia che tuttavia è di straordinarie conquiste di civiltà - ricordo soltanto il principio della dignità intangibile della persona umana, che è un principio figlio della cultura europea, passato oggi nella Dichiarazione Internazionale dei Diritti dell’uomo o ancora l’uguaglianza uomo-donna. Quando l’Europa smette di spendere i suoi talenti sulla scena internazionale, smette di svolgere un ruolo attivo, fa esattamente quello che faceva l’uomo stigmatizzato nella parabola dei talenti, cioè perde tutto. L’Europa oggi è di fronte a questo: le sue radici cristiane, che possono essere riconosciute esplicitamente o implicitamente, non vanno semplicemente evocate e poi conservate in un museo, ma vanno spese e interpretate nel tempo presente: sia continuando a dare forma ai valori che hanno costruito e fatto grande l’Europa, sia continuando a spenderli per una diversa globalizzazione, per una realtà internazionale un po’ più solidale e aperta ai più poveri.

 

Non solo i cittadini ma anche il sistema Europa ha bisogno di confrontarsi con gli ideali che l’hanno animata fin dalle origini. E’ l’opinione della prof.ssa Marta Cartabia, docente di Diritto costituzionale europeo all’Università di Milano-Bicocca, intervistata da Emanuela Campanile:RealAudioMP3



R. - I padri fondatori, chi ha voluto e ha costruito l’Europa, ci hanno lasciato un’eredità molto positiva. Nel loro progetto iniziale c’era una grande tensione verso importanti ideali: pace e prosperità per tutto il continente europeo, come si legge nel discorso del 9 maggio 1950 di Robert Schumann. Ma, come ha detto anche il Santo Padre in recenti occasioni, sul piano morale, spirituale, degli ideali, ogni generazione deve riconquistarsi lo spessore della vita comune. Non si può pensare di accumulare e di proseguire su qualcosa che altri hanno fatto.

 

D. - Si può definire lo spirito di quelle origini caratterizzato dal liberismo e dalla democrazia?

 

R. - Sicuramente, quello che era chiaro a quegli uomini che avevano vissuto la prima parte del XX secolo - che cioè partivano per costruire l’Europa sulle macerie di due guerre mondiali e dei totalitarismi che avevano distrutto spiritualmente e materialmente l’intera società - era che la persona doveva essere al centro di tutto.

 

D. - Ad oggi l’Europa, secondo lei, è un’esigenza per il futuro?



R. - Direi che è un dato di fatto e non si può neanche immaginare di tornare indietro. I problemi delle società attuali hanno delle dimensioni che superano di gran lunga i confini nazionali. Il cambiamento demografico, i fenomeni di immigrazione, i problemi dell’economia, il terrorismo internazionale sono tutte problematiche che non possono che passare dall’Europa. Il singolo Stato da solo non può farcela.

 

D. - Fondamentale dovrebbe dunque essere la riscoperta dell’Europa. Purtroppo, di queste ultime elezioni 2009 nemmeno i mass media si stanno occupando moltissimo…

 

R. - Parte del problema è da collocarsi proprio nella struttura europea, perché manca un vero e proprio agorà dove i cittadini partecipino alla vita politica dell’Europa. Non ci sono partiti politici europei, il dibattito è sempre mediato dai partiti nazionali e quindi dai problemi nazionali. E’ un passo da fare, questo.








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