Temi e attese dell'Anno sacerdotale spiegati dal segretario della Congregazione per
il Clero, mons. Mauro Piacenza
I sacerdoti "sono importanti non solo per ciò che fanno, ma anche per ciò che sono"
e il popolo dei fedeli vuole vederli, nel loro lavoro apostolico, "felici, santi e
gioiosi". L'affermazione è del cardinale Claudio Hummes, prefetto della Congregazione
per il Clero, ed è contenuta nella lettera che il porporato ha inviato giorni fa agli
oltre 400 mila presbiteri che tra poco più di due settimane celebreranno l'inizio
dell'Anno sacerdotale, indetto dal Papa. Al microfono di Roberto Piermarini,
il segretario del dicastero pontificio, l'arcivescovo Mauro Piacenza, affronta
nel dettaglio temi e aspettative di questo anno che, sottolinea, non "sarà riservato
solo ai sacerdoti", ma riguarderà "tutta la Chiesa":
R. - Il Santo
Padre ha particolarmente a cuore, come è naturale, d’altro canto, la vita, la spiritualità,
la santificazione e la missione dei sacerdoti. La stessa assemblea plenaria della
Congregazione per il Clero, nell’udienza durante la quale è stato annunciato l’Anno
sacerdotale, aveva un titolo abbastanza sintomatico: “L’identità missionaria del presbitero
nella Chiesa, quale dimensione intrinseca dell’esercizio dei tria munera. Allora,
è urgente e certamente necessario, in questo tempo, richiamare con fedeltà sia presso
i sacerdoti, sia presso il popolo di Dio, la bellezza, l’importanza, l’indispensabilità
del ministero sacerdotale nella Chiesa per la salvezza delle anime. Quindi, ecco perché
ha voluto indire: un anno dedicato ad approfondire, a riscoprire che cosa sia il sacerdozio
cattolico, ampliando gli spazi di preghiera anche per e con i sacerdoti, non può che
far bene a tutta la missione della Chiesa, che è legata alla identità e all’attività
del clero. Missione della Chiesa che, proprio nel ministero ordinato, vede espressa
una delle sue note essenziali, che proclamiamo sempre nel Credo della Messa domenicale:
l’apostolicità. Curare la santità dei chierici, la specificità e l’integralità del
loro ministero, significa in fondo curare l’intera opera di evangelizzazione. E’ ora
di rendersi conto – e tutti dovremmo renderci conto di ciò. Tra l’altro, ci saranno
buoni laici e buoni vescovi soltanto se ci saranno dei buoni sacerdoti. Ecco la fondalità
e il fatto per cui tutti sono in qualche modo coinvolti. D.
– Possiamo considerare questo Anno sacerdotale come la prosecuzione dell’Anno paolino? R.
– Certamente sì! La Chiesa vive solo nella continuità, sempre e in qualsiasi ambito.
L’Anno paolino, la cui chiusura è prevista il 29 giugno prossimo, passerà allora idealmente
il testimone all’Anno sacerdotale, che sarà inaugurato dal Santo Padre nei solenni
Vespri del 19 giugno, in un provvidenziale cammino all’insegna della continuità e
del necessario approfondimento di una delle urgenze del nostro tempo: la missione,
la nuova evangelizzazione. Nel 150. mo anniversario della nascita al cielo di San
Giovanni Maria Vianney, il noto Curato d’Ars, la Chiesa allora si stringe attorno
ai suoi sacerdoti per riscoprirne la feconda presenza e per ridirne l’essenziale e
ontologicamente distinto compito all’interno della missione universale che, giustamente,
coinvolge tutti i battezzati. La forza della missione nasce unicamente da un cuore
rinnovato dall’incontro con Cristo risorto, proprio come è accaduto all’apostolo Paolo.
Un incontro nel quale il Signore Gesù non sia solo conosciuto entusiasticamente o
recepito soltanto sul piano intellettuale, ma sia realmente esperito come l’imprevedibile
e straordinariamente affascinante risposta del Padre a tutte le attese del cuore ferito
dell’Uomo che scorge nella straordinaria presenza umano-divina del Redentore l’unica
adeguata corrispondenza al proprio umano e misteriosamente infinito bisogno di salvezza.
Il cuore di San Paolo, ferito dalla bellezza di Cristo, il cuore dei santi pastori
deve battere sempre in ogni cuore che sia autenticamente sacerdotale. D.
- Mons. Piacenza, quale immagine di sacerdote per l’uomo di oggi propone il Papa nella
celebrazione di questo Anno? R. - L’immagine di sempre – e non
potrebbe essere che così! Cioè, quella che la Chiesa e la genuina dottrina sempre
hanno proposto e che trova una sua splendida sintesi nella figura evangelica del Buon
Pastore: ecco, questa è la figura. Certo, il nostro tempo, con notevoli differenze
tra Occidente secolarizzato e relativista e altre parti del mondo nelle quali il senso
del sacro è ancora piuttosto forte, vive alcune tentazioni che inevitabilmente intaccano
anche il ministero sacerdotale e che, anche con l’aiuto di questo Anno, sarà necessario
iniziare a correggere. Penso, ad esempio, alla tentazione dell’attivismo, che investe
non pochi sacerdoti i quali, pur generosissimi, tuttavia non di rado mettono a rischio
la propria stessa vocazione e l’efficacia dell’apostolato se non rimangono stabilmente
in quel rapporto vitale con Cristo che si nutre di silenzio, di preghiera, le Lectio
divina, soprattutto della devota celebrazione quotidiana della Santa Messa e degli
spazi per l’adorazione eucaristica. Il Santo Padre stesso ha ricordato ai sacerdoti
che nessuno – e sto citando l’allocuzione del 16 marzo – nessuno annuncia o porta
se stesso, ma dentro e attraverso la propria umanità, ogni sacerdote dev’essere ben
consapevole di portare un altro, cioè di portare Dio stesso, al mondo. Dio è l’unica
ricchezza che, in definitiva, gli uomini desiderano trovare in un sacerdote, quindi
è dalla pienezza di quello che c’è dentro, di quello che si raccoglie durante l’orazione,
che poi si può debordare in un’attività che non sia più attivismo, ma sia attività
davvero costruttiva e coinvolgente. D. – In questo mondo sempre
più secolarizzato ed individualista, il sacerdote come può farsi segno di contraddizione? R.
– Direi: essendo testimone dell’Assoluto, in mezzo a tutto quello che passa. La vera
contraddizione, oggi, non è più ricercare originalità superficiali come, forse, è
un po’ accaduto ingenuamente nei decenni passati, suscitando nei fatti un breve e
corto interesse. Quindi, direi bando agli atteggiamenti demagogici e ai ridicoli scimmiottamenti
dello spirito del mondo. I sacerdoti saranno segni di contraddizione unicamente nella
misura in cui diventeranno santi e santi sacerdoti. Guardiamo a San Giovanni Maria
Vianney, a un don Bosco, a un padre Massimiliano Kolbe, a un padre Pio da Pietrelcina
e così via. Fortunatamente, i numeri sono elevatissimi, tutti sacerdoti, tutti diversissimi
per personalità umana, per storia personale … eppure, tutti straordinariamente uniti
dall’amore e dalla testimonianza a Cristo Signore e dall’essere stati, per ciò stesso,
segni di contraddizione in modo davvero profetico. Quindi, non è possibile esserlo,
invece, se si tace di Cristo, se di orizzontalizza troppo il ministero, se si pensa
che la salvezza sia solo quella immanente … Insomma, bisogna indicare il cielo e con
le parole, e con la vita. D. – Come sarà vissuto questo Anno
sacerdotale? R. – L’Anno sacerdotale non sarà un anno riservato
solo ai sacerdoti, ma tutta la Chiesa in ogni sua componente si deve sentire chiamata
a riscoprire, alla luce della tensione missionaria che le è propria, la grandezza
del dono che il Signore ha voluto lasciarle con il ministero sacerdotale. Anche tutti
i laici si devono rendere conto che, con il dono del sacerdozio, è lasciata loro la
freschezza della presenza di Cristo: non un ricordo di Cristo, ma la sua presenza
attuale. Pensiamo all’assoluzione sacramentale, pensiamo alla celebrazione della Santa
Messa, alla predicazione e così via. Ecco: in questa direzione va anche il titolo,
felicemente scelto dal Santo Padre per questo Anno: “Fedeltà di Cristo, fedeltà del
sacerdote”, ad indicare il primato assoluto della grazia, come ricorda la Prima Lettera
di San Giovanni: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1Gv 4,19) e, nel
contempo, l’indispensabile, cordiale adesione della libertà amante memori che il nome
dell’amore nel tempo è “fedeltà”. Quindi, si tratta di un evento non spettacolare,
certamente; ma che si vorrebbe fosse vissuto soprattutto come rinnovamento interiore
nella riscoperta gioiosa e personale della propria identità, della fraternità nel
proprio presbiterio e allora nella propria diocesi, del rapporto sacramentale con
il proprio vescovo, della sponsalità con i fedeli, con la propria comunità. D.
– Quali frutti potrà offrire alla Chiesa l’Anno sacerdotale? R.
– Subito mi viene da dire, con il punto esclamativo, “quelli che Dio vorrà!”. Certamente,
l’Anno sacerdotale rappresenta un’importante occasione per guardare ancora e sempre,
con stupore grato, all’opera del Signore che, “nella notte in cui fu tradito” (1Cor
11,23) ha voluto istituire il sacerdozio ministeriale legandolo imprescindibilmente
all’Eucaristia, culmine e fonte di vita per tutta la Chiesa. Sarà allora un Anno nel
quale riscoprire la bellezza e l’importanza del sacerdozio e dei singoli ordinati,
sensibilizzando a ciò tutto il Popolo di Dio, i consacrati e le consacrate, le famiglie
cristiane, i sofferenti e soprattutto i giovani, così sensibili ai grandi ideali vissuti
con autentico slancio e costante fedeltà. Ricordava il Santo Padre, nel discorso di
indizione: “Urgente appare anche il recupero – sono le sue parole – di quella consapevolezza
che spinge i sacerdoti ad essere presenti, identificabili e riconoscibili sia per
il giudizio di fede, sia per le virtù personali sia anche per l’abito, negli ambiti
della cultura e della carità, da sempre al cuore della missione della Chiesa”. Quindi,
l’Anno sacerdotale vorrebbe sostenere ed implorare dallo Spirito anche questi frutti
di presenza visibile. D. – Perché, eccellenza, in questo Anno
verrà pubblicato un vademecum per confessori e direttori spirituali? R.
– E’ fuori dubbio – e da più parti lo si segnala – che il sacramento della riconciliazione
stia, da alcuni decenni, attraversando un tempo di profonda crisi, almeno a livello
di numeri. Paiono sempre meno le persone che avvertono la differenza chiara tra il
bene e il male, tra la verità e la bugia, tra il peccato e la virtù e che, conseguentemente,
desiderano accostarsi alla riconciliazione. Se non si ha il senso del peccato è difficile
ricorrere, ovviamente, alla riconciliazione: allora, la si confonderebbe con il lettino
di uno psicologo e di uno psichiatra. D’altro canto, sia a causa della diminuzione
del numero dei sacerdoti in un certo numero di Nazioni, sia anche per un malinteso
fraintendimento della stessa azione pastorale, non è sempre molto facile trovare un
sacerdote disposto ad ascoltare anche per ore le confessioni dei fedeli. Allora il
vademecum per i confessori dovrebbe aiutare a riscoprire la bellezza della celebrazione
di questo sacramento grondante dell’amore misericordioso del Signore, sia per il sacerdote,
sia per il penitente ed eventualmente evidenziare come esso sia in stretta connessione
con l’identità stessa del sacerdote che riceve da Cristo il mandato esplicito: “Ricevete
lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi non li rimetterete,
resteranno non rimessi” (cfr. Gv 20, 19.23). Quindi, un dare – con il vademecum –
più entusiasmo verso questo sacramento e più motivazione verso questo sacramento. D.
– Mons. Piacenza, infine, vorrei chiederle questo: si tratta di un Anno sacerdotale
e non vocazionale. Ecco: però, questo Anno quanto potrà essere di aiuto per le vocazioni
al sacerdozio e per i seminaristi, in particolare? R. – Credo
che in fondo, la pastorale delle vocazioni sia una pastorale globale, perché più entusiasmo
c’è nelle parrocchie, più entusiasmo c’è nei gruppi, ovviamente, più facilmente un
ragazzo sente la chiamata del Signore e l’attrattiva. Così, più vede preti motivati
e più – evidentemente – questo contagia in senso positivo. E proprio il sacramento
della riconciliazione, per rifarmi anche a quello che dicevo prima, e la direzione
spirituale – quindi, il seguire personalmente il progetto che Dio ha sulle singole
persone – sono gli ambiti più efficaci dell’educazione delle coscienze all’ascolto
della voce di Dio che sempre chiama i suoi figli. I seminaristi, oggi, nel mondo,
stanno numericamente aumentando. Certo, bisogna vedere dove, per cui noi abbiamo un
po’ sotto gli occhi molto l’Europa e allora ci pare … però, crescono. Se è vero che
una certa contrazione c’è stata per il passato, oggi siamo in ripresa sia numerica
e sia, direi, di qualità, se pensiamo alla grande passione per Cristo e per la Chiesa.
Le stesse Giornate della Gioventù segnano sempre, in quel momento, una ripresa. Del
resto, i tempi in cui viviamo impongono quella radicalità che è sempre affascinante
per i giovani e per chi rimane giovane dentro. Quindi è importante, questo Anno, perché
non si vuole abbassare il tono perché è più facile, ma alzare il tono perché è più
difficile. E in questo senso, c’è più attrattiva. D’altro canto, bisogna essere fedeli
e Gesù Cristo è sempre attraente, perché sta sul Monte. Come il Santo Padre ha indicato
– e cito parole del Santo Padre – “la consapevolezza dei radicali cambiamenti sociali
degli ultimi decenni deve muovere le migliori energie ecclesiali a curare la formazione
dei candidati al ministero. La missione ha le sue radici in special modo in una buona
formazione, sviluppata in comunione con l’ininterrotta tradizione ecclesiale, senza
cesure né tentazioni di discontinuità. In tale senso è importante favorire nei sacerdoti,
soprattutto nelle giovani generazioni, una corretta ricezione dei testi del Concilio
Vaticano II interpretati alla luce di tutto il bagaglio dottrinale della Chiesa. Dobbiamo
rilanciare cattolicamente tre fari luminosi e formare i fedeli sotto queste tre splendide
luci: il Santissimo Sacramento dell’altare, la Vergine Immacolata, il Papa e la Chiesa”.
Ecco: questi poli sono sempre delle calamite. Naturalmente, devono essere proposti
con tutta l’attrattiva che hanno. L’Anno sacerdotale è una grande avventura nella
quale, come Congregazione per il Clero, volentieri ci tuffiamo, insieme a tutta la
Chiesa, certi di quanto dice Pietro al Signore: “Sulla Tua Parola getterò le reti!”
(cfr. Lc 5, 1-11).