2009-06-01 18:35:38

GM ufficializza la bancarotta. La Casa Bianca avvia il piano di salvataggio


L’americana General Motors, la prima casa automobilistica al mondo, ha ufficializzato la bancarotta, dichiarando che entro la fine del 2010, verranno chiusi 13 impianti. Dalla Casa Bianca arriva già l’annuncio di un piano per il salvataggio dell’azienda che fornirà aiuti per 30.1 miliardi di dollari e consentirà al governo americano di diventare il primo azionista, con il 60% delle quote. Il settore automobilistico è dunque nuovamente protagonista sulla scena economica dominata dalla crisi globale tanto negli Usa quanto in Europa. A Mario Deaglio, docente di economia internazionale dell’Università di Torino, Stefano Leszczynski ha chiesto perché la produzione automobilistica sia tanto importante per l’economia contemporanea.RealAudioMP3

R. - E’ importante per due motivi. Il primo è che il bisogno di spostarsi è un bisogno profondamente radicato, uno dei bisogni al quale la società industriale ha risposto di più, puntando sullo spostamento privato. Il secondo è che l’industria dell’auto è importante perché è il punto di arrivo di numerose filiere industriali, il punto attraverso cui passano le produzioni di tantissimi altri settori che poi troviamo nell’auto; pensiamo alle gomme, alle parti elettriche, ai cambi ai freni, etc. Si stima che per ogni lavoratore stabilmente impiegato dalle case automobilistiche ce ne siano almeno quattro a monte che forniscono i componenti che vanno dentro l’auto e probabilmente uno o due e a valle, cioè gli assicuratori, i benzinai, etc.
D. - Professore, per quanto riguarda l’industria dell’auto sembra che i governi non siano mai stati così disponibili a scendere in campo con la finanza pubblica. Si stanno un po’ abbandonando, però, quelli che erano i criteri del non interventismo pubblico nelle aziende. Questo vale sia per gli Stati Uniti che per l’Europa. E’ effettivamente così?

R. - E’ effettivamente così. Questi criteri sono completamente saltati con la crisi finanziaria. Per seguire questi criteri ci sarebbero milioni e milioni di disoccupati e nessun Paese si può permettere qualcosa del genere, neppure i potentissimi Stati Uniti. Questi disoccupati farebbero poi da motore di una crisi ancora più vasta perché deprimerebbero i consumi di tutto il Paese. Se noi lo guardiamo dall’ottica del mercato invochiamo quelle situazioni di emergenza in cui i mercati devono tacere, diciamo per salute pubblica, e i governi intervengono. Se invece non siamo favorevoli al mercato possiamo dire: si vede il fallimento di un sistema basato solo sul mercato. Bisogna che ci sia in ogni momento una qualche presenza pubblica come rete di sicurezza.

D. - Questa rete di sicurezza è destinata a essere temporanea, cioè tolta nel momento in cui la crisi passa. La parte pubblica verrà nuovamente privatizzata o alla fine diventerà una consuetudine avere una fetta pubblica nei grandi settori dell’economia?

R. - Questa è una domanda a cui è difficilissimo rispondere. Penso che in un modo o nell’altro una presenza pubblica rimarrà. Non è possibile su settori così important avere una totale mano libera privata, intanto perché queste imprese diventano enormi e vengono a condizionare e a scontrarsi con il settore del pubblico. Quindi, tanto vale che il rapporto pubblico-privato che le caratterizza abbia dei caratteri di trasparenza e di ufficialità.







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