GM ufficializza la bancarotta. La Casa Bianca avvia il piano di salvataggio
L’americana General Motors, la prima casa automobilistica al mondo, ha ufficializzato
la bancarotta, dichiarando che entro la fine del 2010, verranno chiusi 13 impianti.
Dalla Casa Bianca arriva già l’annuncio di un piano per il salvataggio dell’azienda
che fornirà aiuti per 30.1 miliardi di dollari e consentirà al governo americano di
diventare il primo azionista, con il 60% delle quote. Il settore automobilistico è
dunque nuovamente protagonista sulla scena economica dominata dalla crisi globale
tanto negli Usa quanto in Europa. A Mario Deaglio, docente di economia internazionale
dell’Università di Torino, Stefano Leszczynski ha chiesto perché la produzione automobilistica
sia tanto importante per l’economia contemporanea.
R. - E’ importante
per due motivi. Il primo è che il bisogno di spostarsi è un bisogno profondamente
radicato, uno dei bisogni al quale la società industriale ha risposto di più, puntando
sullo spostamento privato. Il secondo è che l’industria dell’auto è importante perché
è il punto di arrivo di numerose filiere industriali, il punto attraverso cui passano
le produzioni di tantissimi altri settori che poi troviamo nell’auto; pensiamo alle
gomme, alle parti elettriche, ai cambi ai freni, etc. Si stima che per ogni lavoratore
stabilmente impiegato dalle case automobilistiche ce ne siano almeno quattro a monte
che forniscono i componenti che vanno dentro l’auto e probabilmente uno o due e a
valle, cioè gli assicuratori, i benzinai, etc. D. - Professore, per quanto riguarda
l’industria dell’auto sembra che i governi non siano mai stati così disponibili a
scendere in campo con la finanza pubblica. Si stanno un po’ abbandonando, però, quelli
che erano i criteri del non interventismo pubblico nelle aziende. Questo vale sia
per gli Stati Uniti che per l’Europa. E’ effettivamente così?
R. - E’ effettivamente
così. Questi criteri sono completamente saltati con la crisi finanziaria. Per seguire
questi criteri ci sarebbero milioni e milioni di disoccupati e nessun Paese si può
permettere qualcosa del genere, neppure i potentissimi Stati Uniti. Questi disoccupati
farebbero poi da motore di una crisi ancora più vasta perché deprimerebbero i consumi
di tutto il Paese. Se noi lo guardiamo dall’ottica del mercato invochiamo quelle situazioni
di emergenza in cui i mercati devono tacere, diciamo per salute pubblica, e i governi
intervengono. Se invece non siamo favorevoli al mercato possiamo dire: si vede il
fallimento di un sistema basato solo sul mercato. Bisogna che ci sia in ogni momento
una qualche presenza pubblica come rete di sicurezza.
D. - Questa rete di
sicurezza è destinata a essere temporanea, cioè tolta nel momento in cui la crisi
passa. La parte pubblica verrà nuovamente privatizzata o alla fine diventerà una consuetudine
avere una fetta pubblica nei grandi settori dell’economia?
R. - Questa è una
domanda a cui è difficilissimo rispondere. Penso che in un modo o nell’altro una presenza
pubblica rimarrà. Non è possibile su settori così important avere una totale mano
libera privata, intanto perché queste imprese diventano enormi e vengono a condizionare
e a scontrarsi con il settore del pubblico. Quindi, tanto vale che il rapporto pubblico-privato
che le caratterizza abbia dei caratteri di trasparenza e di ufficialità.