Un ampio e documentato excursus sulla storia del “ministero diaconale”, dalla sua
prima istituzione, agli albori del cristianesimo, fino alla precisazione normativa
avviata dal Concilio Vaticano II e portata avanti dalla Santa Sede e dalle Conferenze
episcopali. E’ il percorso offerto dal volume “Enchiridion sul diaconato. Le fonti
e i documenti ufficiali della Chiesa”, del Prof. Enzo Petrolino, presidente
della Comunità del Diaconato in Italia e delegato italiano presso il Centro Internazionale
del Diaconato di Rottenburg, in Germania. Un’opera - edita dalla Libreria Editrice
Vaticana (Lev) - che riporta fonti dalle Sacre Scritture e dei Padri della Chiesa,
documenti dei Concili, della Santa Sede e dei Magisteri pontifici, e che connota la
figura del diacono anzitutto quale ministro al servizio di Dio e della Chiesa. Lo
sottolinea l’autore intervistato da Claudia Di Lorenzi:
R. – I diaconi
sono chiamati ad essere nella Chiesa il segno di Cristo servo, che non è venuto per
essere servito, ma per servire. E' la prima cosa che un diacono deve fare all’interno
della comunità ecclesiale: deve essere affidato soprattutto agli emarginati e ai poveri
delle comunità, perché un diacono è di frontiera, colui che è più vicino alla gente,
soprattutto alla gente che è nel bisogno. In alcune diocesi d’Italia, per esempio,
a noi diaconi è stata affidata la direzione della Caritas. Al di là di questo, poi,
i diaconi hanno alcuni compiti specifici all’interno della celebrazione liturgica:
al diacono spetta la proclamazione del Vangelo …
D.
– Come nasce nella storia della Chiesa la figura del diacono?
R.
– Gli apostoli si vedono costretti dalle necessità che c’erano nelle prime comunità,
soprattutto in riferimento alle vedove degli Ellenisti, di andare incontro a queste
necessità e impongono le mani a sette persone, tra le quali c’è anche Stefano, che
poi sarà lapidato: il primo martire è il primo diacono …
D.
– In quale momento il ministero del diaconato trova una più puntuale precisazione?
R.
– Il diaconato vive fino al V secolo: perdendo la sua radice legata al servizio, finisce
per essere soltanto nelle funzioni liturgiche come il grado transeunte verso il presbiterato.
Viene introdotto nuovamente con il Concilio di Trento, però sarà soltanto il Concilio
Vaticano II che, con la “Lumen Gentium” no. 29, ripristinerà definitivamente il diaconato
nella sua forma permanente. D. – Il diacono può essere inteso
come il trait d’union fra i fedeli laici e i sacerdoti?
R.
– Sicuramente il diacono è questo ponte tra la gerarchia ed il popolo, tant’è vero
che i segni all’interno della liturgia indicano proprio questa caratteristica di cerniera
e di ponte, e sono la preghiera dei fedeli: il diacono è quello che coglie tutte le
istanze, tutte le esigenze del popolo e le fa divenire preghiera all’interno della
celebrazione. E’ lui che dà il segno della pace, è lui che congeda la gente, che dà
la missione, il mandato al popolo. D. – Quale immagine del
diacono emerge dal magistero di Benedetto XVI?
R.
– Ci sono stati alcuni interventi che lui ha fatto, ed in modo particolare gli interventi
ai diaconi della diocesi di Roma. L’immagine che il Papa ha è un’immagine che un diacono
deve avere un suo proprio posto, non deve “prendere il posto dei presbiteri”. E sono
interessanti anche i due numeri che il Papa cita nell’Enciclica “Deus caritas est”,
dove parla della carità come compito della Chiesa e quindi della figura, della presenza
e dell’importanza del diaconato e della diaconia.