Pakistan: 30 morti in un attentato contro sede della polizia
Drammatico attentato con almeno 30 morti a Lahore, nella parte orientale del Pakistan,
dove è stata rasa al suolo la centrale di polizia e diversi altri edifici sono parzialmente
crollati. Il servizio di Fausta Speranza:
Si è trattato
di un attacco compiuto con un'autobomba, diverse granate e cecchini che hanno sparato
dai palazzi vicini. Secondo il ministro degli Interni pakistano, Malik, dietro gli
attentati ci sarebbero i talebani: sconfitti nella valle dello Swat, nella parte orientale
del Paese ai confini con l'Afghanistan, cercherebbero di dimostrare la loro forza
nelle città per destabilizzare il Paese. Per questo, Islamabad, Rawalpindi e Karachi
sono ora in stato di massima allerta. Altri invece collegano l'attentato al processo
in corso a Lahore contro Hafeez Saeed, capo del gruppo terrorista Jamaat-ud-Dawa.
In ogni caso, tre persone sarebbero già state arrestate. L’attentato ha colpito il
Capital City Police Office, la caserma più importante di Lahore, ma sembra che l'obiettivo
fosse il palazzo non distante dell'Isi, il potente servizio segreto pakistano. Sotto
le macerie ci sono ancora diverse persone e dunque il bilancio dei morti resta incerto.
Di sicuro c’è che si tratta dell’ennesimo attentato nel Pakistan, duramente colpito
in particolare da gennaio. Ricordiamo solo i due più gravi del mese di marzo: il sequestro
a Lahore di 800 allievi di polizia e l’attacco contro l'autobus della squadra di cricket
dello Sri Lanka.
Iraq: ucciso funzionario del Dipartimento
di Stato Usa Un funzionario del Dipartimento di Stato americano è rimasto ucciso
in un attentato dinamitardo che ha causato altri due morti e due feriti nei pressi
di Falluja, una cinquantina di chilometri ad ovest di Baghdad. La notizia è stata
data ieri sera, mentre l’attentato è avvenuto lunedì. L'alto funzionario era il numero
due del servizio per gli aiuti alla ricostruzione della rappresentanza diplomatica
Usa e si chiamava Terrence Barnich. Le altre vittime sono “un soldato delle forze
della coalizione” e un “dipendente del Dipartimento della difesa” di cui non viene
precisata la nazionalità. Negli cinque giorni precedenti, il Pentagono aveva perduto
in Iraq tre dipendenti civili.
In Israele legge contro chi nega l’Olocausto La
Knesset ha approvato oggi in lettura preliminare una proposta di legge che imporrà
un anno di reclusione a chi dovesse pubblicare appelli contro il carattere ebraico
e democratico di Israele tali da istigare “atti di odio, disprezzo e slealtà allo
Stato”. Per divenire legge la proposta dovrà essere approvata in tre letture. La proposta
di legge, che ha ottenuto 47 voti favorevoli e 34 contrari, è stata presentata dal
deputato Zevulum Orlev, del partito HaBait HaYehudi (Casa ebraica) membro della coalizione
di governo. Durante il dibattito in aula, ci sono state furibonde proteste di deputati
arabi, uno dei quali, Jamal Zahalka, è stato poi espulso dopo aver ignorato ripetuti
richiami all'ordine. Somalia: 62 mila in fuga per la guerra Secondo
i dati dell’Onu sono 62 mila i profughi in fuga dall’inizio della guerra, scoppiata
il 7 maggio scorso tra ribelli islamici. Per il governo somalo ci sono 280 morti ed
oltre 700 feriti, per lo più civili. Tra questi anche un giornalista, il quarto da
inizio anno, Nur Muse Hussein, noto come Nur Inji, impiegato presso un'emittente radiofonica
che godeva di un largo seguito. Il 4 febbraio, sempre nella capitale, era stato ucciso
il direttore dell'importante emittente HornAfrik Radio. E’ di ieri inoltre la notizia
che nella città di Chisimaio, sede dell’importante porto ed aeroporto somalo a 500
km a sud di Mogadiscio, è stata istituita la separazione sui bus tra uomini e donne.
La località è nelle mani dagli integralisti di al Shabaab, ritenuto il braccio armato
somalo di Al Qaida, e vi si applica la sharia, la legge islamica.
Sudan:
morti e feriti a Kordofa Si riaccendono le tensioni nel Sudan meridionale,
dove ieri si sono registrati una decina di morti a seguito degli attacchi alle forze
di sicurezza, messi a segno da circa tremila membri di tribù arabe. L’attacco è stato
sferzato nella città di Meiran, dove l’esercito locale era impegnato nel prevenire
una nuova esplosione degli scontri fra gruppi di nomadi in lotta fra loro. Secondo
una fonte tribale, negli scontri di ieri e in quelli dei giorni scorsi si conterebbero,
ad oggi, più di cento morti tra i membri delle tribù, agenti della sicurezza e civili.
Prossimo
vertice Italia, Malta e Libia sull’immigrazione Italia e Malta concordi nel
rafforzare le politiche di respingimento dei migranti illegali provenienti dalla Libia.
Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, e il suo omologo Maltese, Tonio
Borg, incontratisi a Roma hanno sottolineato la necessità di un coinvolgimento delle
istituzioni europee nella gestione dell’immigrazione. Il servizio di Stefano Leszczynski:
Italia, Malta
e Libia daranno vita - il 9 giugno - ad un vertice trilaterale proprio per discutere
delle misure necessarie a rafforzare la pratica dei respingimenti in mare. Un nuovo
giro di vite sul contrasto dei flussi migratori provenienti dalle coste libiche. Sentiamo
Tonio Borg, responsabile degli Esteri maltese:
“Non
è giusto che il peso di questo problema sia portato soltanto dagli Stati periferici
dell’Europa. Ecco perché noi abbiamo sostenuto anche pubblicamente la politica di
respingimento del governo italiano”.
E sulla difficile
questione dell’impossibilità di accesso all’asilo per quanti vengono perseguitati,
il ministro Franco Frattini ha risposto:
“Gli
uffici dell’Alto Commissariato per i Rifugiati, tra cui quello di Tripoli, esaminino
loro le domande dei richiedenti asilo, prima che le persone si mettano in viaggio
verso l’Europa. Poi si cercherà anche di coinvolgere la Libia per impedire, ad esempio,
il rimpatrio di persone che vengono da Paesi che noi consideriamo come 'a rischio'”.
Molte,
tuttavia, le difficoltà legate a questa proposta, come conferma Laura Boldrini,
portavoce dell’Acnur in Italia:
“La situazione in
Libia è ancora molto critica e diciamo che è prematuro, oggi, intravedere la possibilità
di una valutazione delle domande d’asilo direttamente in Libia, in nome e per conto
dell’Europa. Questo perché la Libia non ha firmato la Convenzione di Ginevra, non
riconosce neanche formalmente l’esistenza dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati.
Inoltre, in Libia non c’è una legge sull’asilo e quindi, secondo noi, mancano i presupposti
affinché l’Unhcr possa svolgere questo ruolo”.
Tragedia
sul lavoro in Italia: morti tre operai Ancora tragedie sul lavoro in Italia.
Stamani un operaio di 34 anni è rimasto ucciso, schiacciato dal carico che stava scaricando
da un camion, in un cantiere alle porte di Parma. Ieri, la morte dei tre operai di
56, 29 e 27 anni, rimasti soffocati negli impianti della Saras di Sarroch, raffineria
della famiglia Moratti, a 25 chilometri da Cagliari, in Sardegna. Morti per asfissia
- secondo i primi accertamenti - ma non si esclude l'intossicazione da anidride solforosa.
Per il giorno dei funerali i metalmeccanici hanno indetto uno sciopero. Il più anziano,
Bruno Muntoni, era sposato e padre di tre figli. Gli altri più giovani si chiamavano
Daniele Melis e Luigi Solinas. In questi giorni, la raffineria è ferma per lavori
di pulizia e manutenzione degli impianti. Sulle cause della morte restano molti dubbi,
che verranno chiariti dall'inchiesta della magistratura.
Usa: Obama chiede
alla Birmania l'immediata liberazione di Aung San Suu Kyi Il presidente degli
Stati Uniti d’America, Barack Obama, ha chiesto alla giunta della Birmania la liberazione
del Premio Nobel, Aung San Suu Kyi. Il servizio di Anna Villani:
“Liberazione
immediata e senza condizioni” di Aung San Suu Kyi ha chiesto il presidente degli Stati
Uniti, Obama, alla giunta della Birmania. Il presidente americano ha affidato ad un
comunicato stampa il suo pensiero sulla vicenda, condannando “con forza” la
detenzione del premio Nobel, San Suu Kyi, e il processo, basato - secondo Obama -
su “accuse fasulle”. Per il presidente statunitense, allo stato dei fatti ci sono
“seri dubbi sulla volontà del regime birmano di essere un membro responsabile della
comunità internazionale”. Intanto, al processo a suo carico, iniziato il 18 maggio
scorso, la leader birmana tratta in arresto il 14 maggio scorso ha respinto ieri le
accuse di “avere violato i termini della misura domiciliare”. L’accusa è stata mossa
dopo che un cittadino americano di 53 anni è arrivato illegalmente nella casa della
leader dell’opposizione, ai primi di maggio. In giornata, è prevista al processo proprio
la testimonianza del cittadino USA, che si chiama John Yettaw. Secondo autorevoli
fonti della giunta della Birmania, gli arresti, decretati nel 2004 per quattro anni
e mezzo in scadenza proprio oggi potrebbero essere prolungati per almeno altri sei
mesi. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 147 E'
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