La Santa Sede tra i partecipanti al Convegno internazionale di Firenze, dedicato alla
rilettura storica del "Caso Galileo"
A 400 anni di distanza, manca ancora un riesame sereno e obiettivo della vicenda galileiana,
che superi la sterile contrapposizione tra laici e cattolici e rilanci la collaborazione,
oggi più che mai necessaria, tra scienza e fede. Per questo motivo, l’Istituto Stensen
dei Gesuiti di Firenze, diretto da padre Ennio Brovedani, ha organizzato, in coincidenza
con l’Anno dell’Astronomia, il Convegno internazionale "Il caso Galileo: una rilettura
storica, filosofica e teologica", che si apre oggi nel capoluogo toscano alla presenza
del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e che riunirà, fino a sabato
prossimo 18 autorevoli istituzioni storicamente coinvolte in questa vicenda culturale,
comprese alcune istituzioni della Santa Sede. L’incontro, nell’auspicio dell’arcivescovo
di Firenze mons. Betori, dovrebbe dimostrare l’infondatezza dell’ipotesi di un’opposizione
costitutiva tra scienza e fede, di cui il processo all’astronomo pisano sarebbe il
riflesso. Al microfono di Fabio Colagrande, il sottosegretario del Pontificio
Consiglio della Cultura, mons. Melchor Sánchez de Toca, parla degli errori
commessi nel passato sulla vicenda e degli obiettivi del Convegno:
R. - Prima
di Giovanni Paolo II, era stato il Concilio Vaticano II a deplorare le incomprensioni
che furono all’origine del "Caso Galileo", incomprensioni che nacquero dal non aver
percepito e rispettato la legittima autonomia delle scienze naturali. Che cosa può
portare di nuovo questo convegno? Noi ci augureremmo che finalmente si possa guardare
in avanti, anziché indietro, e chiudere idealmente il tribunale della storia dove,
in questo caso, a fare la figura dell’imputato non è più Galileo ma la Chiesa cattolica.
Credo che in tutti questi secoli, e in particolare negli ultimi decenni, ci sia stato
uno serio sforzo per un esame di coscienza sul caso.
D.
- Per tornare però ancora una volta indietro, secondo lei quali errori ha commesso
la Chiesa nei confronti di Galileo, 400 anni fa?
R.
- Un primo, ovvio, fu il non accettare il copernicanesimo, anche se è un errore che
si comprende nel contesto scientifico del suo tempo. L’errore fondamentale fu l’invasione
di campo, il ritenere cioè che la questione del movimento del sole e della terra riguardasse
la fede, quando si tratta invece di una questione naturale. Anche questo, tuttavia,
lo si può capire riferendosi al contesto del tempo di Galileo: una teoria scientifica
nuova, che non era ancora sufficientemente dimostrata, che toccava soprattutto una
questione molto legata alla visione del mondo, dell’uomo, dell’universo di quel tempo,
e che fu dichiarata contraria alla fede: questo fu, chiaramente, un errore. Lo si
può comprendere considerando che i giudici di Galileo cedettero di dover vietare l’insegnamento
di una dottrina che ritenevano potesse mettere in pericolo la fede della gente semplice.
Quello fu un errore. Un errore che per noi, oggi, è molto chiaro, ma che a suo tempo
non sembrava così evidente e che in ogni caso ha fatto soffrire molto Galileo.
D.
- Oggi c’è chi accusa la Chiesa di volersi in qualche modo “riappropriare” di personaggi
come Galileo o Darwin, personaggi “scomodi” per il pensiero cattolico. Cosa ne pensa?
R.
- Per quanto riguarda Galileo, io non direi “riappropriarsi”, perché Galileo è stato
sempre cattolico, non ha mai rinnegato la sua appartenenza alla Chiesa. Non è stato
un libero pensatore né un anticlericale: quest'ultima è una visione distorta della
figura di Galileo. Galileo è un uomo che cerca di conciliare ciò che vede nelle sue
scoperte astronomiche con la fede che professa sinceramente, e che - anzi - voleva
voleva evitare ad ogni costo che la Chiesa si pronunciasse su una questione di ordine
naturale, perché se in seguito si fosse dimostrato vero il movimento della terra,
le autorità della Chiesa si sarebbero trovate in una situazione piuttosto imbarazzante,
come in effetti accadde. Non si tratta di “ri-appropriarsi” di una figura che è stata
sempre lì, quanto di metterla nella giusta luce. E anche di invitare i cristiani a
guardare al "Caso Galileo" senza paure e senza pregiudizi, ma anche senza tentativi
apologetici banali.