I Vespri a Montecassino. Il Papa prega perché l'Europa valorizzi l'immensa ricchezza
culturale e spirituale del cristianesimo
“Grazie all’attività dei monasteri, articolata nel triplice impegno quotidiano della
preghiera, dello studio e del lavoro, interi popoli del continente europeo hanno conosciuto
un autentico riscatto e un benefico sviluppo morale, spirituale e culturale, educandosi
al senso della continuità con il passato, all’azione concreta per il bene comune,
all’apertura verso Dio e la dimensione trascendente. Preghiamo perché l’Europa sappia
sempre valorizzare questo patrimonio di principi e di ideali cristiani che costituisce
un’immensa ricchezza culturale e spirituale”. È quanto ha detto il Papa durante la
celebrazione dei Vespri nella Basilica dell’Abbazia di Montecassino. Quindi ha aggiunto:
“Non vivere più per se stessi, ma per Cristo: ecco ciò che dà senso pieno alla vita
di chi si lascia conquistare da Lui. Lo manifesta chiaramente la vicenda umana e spirituale
di san Benedetto, che, abbandonato tutto, si pose alla fedele sequela di Gesù… L’essere
umano non realizza appieno sé stesso, non può essere veramente felice senza Dio”.
Ecco il testo integrale dell’omelia del Papa:
Cari
fratelli e sorelle della grande Famiglia benedettina!
Quasi
a conclusione dell’odierna mia visita, mi è particolarmente gradito sostare in questo
luogo sacro, in questa Abbazia, quattro volte distrutta e ricostruita, l’ultima volta
dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale di 65 anni fa. “Succisa virescit”:
le parole del suo nuovo stemma ne indicano bene la storia. Montecassino, come secolare
quercia piantata da san Benedetto, è stata “sfrondata” dalla violenza della guerra,
ma è risorta più vigorosa. Più di una volta ho avuto modo anch’io di godere dell’ospitalità
dei monaci, e in questa Abbazia ho trascorso momenti indimenticabili di quiete e di
preghiera. Questa sera vi siamo entrati cantando le Laudes regiae per celebrare insieme
i Vespri della solennità dell’Ascensione di Gesù. A ciascuno di voi esprimo la gioia
di condividere questo momento di preghiera, salutandovi tutti con affetto, grato per
l’accoglienza che avete riservato a me e a quanti mi accompagnano in questo pellegrinaggio
apostolico. In particolare, saluto l’Abate Dom Pietro Vittorelli, che si è fatto interprete
dei vostri comuni sentimenti. Estendo il mio saluto agli Abati, alle Abbadesse e alle
comunità benedettine qui presenti.
Oggi
la liturgia ci invita a contemplare il mistero dell’Ascensione del Signore. Nella
breve lettura, tratta dalla Prima Lettera di Pietro, siamo stati esortati a fissare
lo sguardo sul nostro Redentore, che è morto “una volta per sempre per i peccati”
per ricondurci a Dio, alla cui destra si trova “dopo essere salito al cielo e aver
ottenuto la sovranità sugli angeli, i Principati e le Potenze” (cfr 1 Pt 3, 18.22).
“Elevato in alto” e reso invisibile agli occhi dei suoi discepoli, Gesù non li ha
tuttavia abbandonati: infatti, “messo a morte nel corpo, ma reso vivo nello spirito”
(1 Pt 3,18), Egli è ora presente in modo nuovo, interiore nei credenti, ed in Lui
la salvezza è offerta ad ogni essere umano senza differenza di popolo, lingua e cultura.
La Prima Lettera di Pietro contiene precisi riferimenti agli eventi cristologici fondamentali
della fede cristiana. La preoccupazione dell’Apostolo è quella di porre in luce la
portata universale della salvezza in Cristo. Analogo assillo troviamo in san Paolo,
del quale stiamo celebrando il bimillenario della nascita, che alla comunità di Corinto
scrive: “Egli (il Cristo) è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più
per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro” (2 Cor 5, 15).
Non
vivere più per se stessi, ma per Cristo: ecco ciò che dà senso pieno alla vita di
chi si lascia conquistare da Lui. Lo manifesta chiaramente la vicenda umana e spirituale
di san Benedetto, che, abbandonato tutto, si pose alla fedele sequela di Gesù. Incarnando
nella propria esistenza il Vangelo, è diventato iniziatore d’un vasto movimento di
rinascita spirituale e culturale in Occidente. Vorrei qui fare cenno a un evento straordinario
della sua vita, di cui riferisce il biografo san Gregorio Magno e a voi certamente
ben noto. Si potrebbe quasi dire che anche il santo Patriarca fu “elevato in alto”
in una indescrivibile esperienza mistica. La notte del 29 ottobre del 540, – si legge
nella biografia – mentre, affacciato alla finestra, “con gli occhi fissi su delle
stelle s’internava nella divina contemplazione, il santo sentiva che il cuore gli
si infiammava… Per lui il firmamento stellato era come la cortina ricamata che svelava
il Santo dei Santi. Ad un certo punto l’anima sua si sentì trasportata dall’altra
parte del velo, per contemplare svelatamente il volto di Colui che abita entro una
luce inaccessibile” (cfr A.I. Schuster, Storia di san Benedetto e dei suoi tempi,
Ed. Abbazia di Viboldone, Milano, 1965, p. 11 e ss.). Di certo, analogamente a quanto
avvenne per Paolo dopo il suo rapimento in cielo, anche per san Benedetto, a seguito
proprio di tale straordinaria esperienza spirituale, dovette iniziare una vita nuova.
Se infatti la visione fu passeggera, gli effetti rimasero, la stessa sua fisionomia
– riferiscono i biografi – ne risultò modificata, il suo aspetto restò sempre sereno
e il portamento angelico e, pur vivendo sulla terra, si capiva che con il cuore era
già in Paradiso.
San Benedetto ricevette
questo dono divino non certo per soddisfare la sua curiosità intellettuale, ma piuttosto
perché il carisma di cui Iddio lo aveva dotato avesse la capacità di riprodurre nel
monastero la vita stessa del cielo e ristabilirvi l’armonia del creato mediante la
contemplazione e il lavoro. Giustamente, pertanto, la Chiesa lo venera come “eminente
maestro di vita monastica” e “dottore di sapienza spirituale nell’amore alla preghiera
e al lavoro”; “fulgida guida di popoli alla luce del Vangelo” che “innalzato al cielo
per una strada luminosa” insegna agli uomini di tutti i tempi a cercare Dio e le ricchezze
eterne da Lui preparate (cfr Prefazio del Santo nel supplemento monastico al MR, 1980,
153).
Sì, Benedetto fu esempio luminoso
di santità e indicò ai monaci come unico grande ideale Cristo; fu maestro di civiltà
che, proponendo un’equilibrata ed adeguata visione delle esigenze divine e delle finalità
ultime dell’uomo, tenne sempre ben presenti anche le necessità e le ragioni del cuore,
per insegnare e suscitare una fraternità autentica e costante, perché nel complesso
dei rapporti sociali non si perdesse di mira un’unità di spirito capace di costruire
ed alimentare sempre la pace. Non a caso è la parola Pax ad accogliere i pellegrini
e i visitatori alle porte di questa Abbazia, ricostruita dopo l’immane disastro del
secondo conflitto mondiale; essa si eleva come silenzioso monito a rigettare ogni
forma di violenza per costruire la pace: nelle famiglie, nelle comunità, tra i popoli
e nell’intera umanità. San Benedetto invita ogni persona che sale su questo Monte
a cercare la pace e a seguirla: “inquire pacem et sequere eam (Ps. 33,14-15)” (Regola,
Prologo, 17).
Alla sua scuola i monasteri
sono diventati, nel corso dei secoli, fervidi centri di dialogo, di incontro e di
benefica fusione tra genti diverse, unificate dalla cultura evangelica della pace.
I monaci hanno saputo insegnare con la parola e con l’esempio l’arte della pace attuando
in modo concreto i tre “vincoli” che Benedetto indica come necessari per conservare
l’unità dello Spirito tra gli uomini: la Croce, che è la legge stessa di Cristo; il
libro e cioè la cultura; e l’aratro, che indica il lavoro, la signoria sulla materia
e sul tempo. Grazie all’attività dei monasteri, articolata nel triplice impegno quotidiano
della preghiera, dello studio e del lavoro, interi popoli del continente europeo hanno
conosciuto un autentico riscatto e un benefico sviluppo morale, spirituale e culturale,
educandosi al senso della continuità con il passato, all’azione concreta per il bene
comune, all’apertura verso Dio e la dimensione trascendente. Preghiamo perché l’Europa
sappia sempre valorizzare questo patrimonio di principi e di ideali cristiani che
costituisce un’immensa ricchezza culturale e spirituale.
Ciò
è possibile però soltanto se si accoglie il costante insegnamento di san Benedetto,
ossia il “quaerere Deum”, cercare Dio, come fondamentale impegno dell’uomo. L’essere
umano non realizza appieno sé stesso, non può essere veramente felice senza Dio. Tocca
in particolare a voi, cari monaci, essere esempi viventi di questa interiore e profonda
relazione con Lui, attuando senza compromessi il programma che il vostro Fondatore
ha sintetizzato nel “nihil amori Christi praeponere”, “nulla anteporre all’amore di
Cristo” (Regola 4,21). In questo consiste la santità, proposta valida per ogni cristiano,
più che mai nella nostra epoca, in cui si avverte la necessità di ancorare la vita
e la storia a saldi riferimenti spirituali. Per questo, cari fratelli e sorelle, è
quanto mai attuale la vostra vocazione ed è indispensabile la vostra missione di monaci.
Da questo luogo, dove riposano le sue
spoglie mortali, il santo Patrono d’Europa continua ad invitare tutti a proseguire
la sua opera di evangelizzazione e di promozione umana. Incoraggia in primo luogo
voi, cari monaci, a restare fedeli allo spirito delle origini e ad essere interpreti
autentici del suo programma di rinascita spirituale e sociale. Vi conceda questo dono
il Signore, per intercessione del vostro Santo Fondatore, della sorella santa Scolastica
e dei Santi e Sante dell’Ordine. E la celeste Madre del Signore, che oggi invochiamo
quale “Aiuto dei cristiani”, vegli su di voi e protegga questa Abbazia e tutti i vostri
monasteri, come pure la comunità diocesana che vive attorno a Montecassino. Amen!