Studiosi ebrei e cristiani a convegno a Roma su San Paolo nella sua matrice giudaica
Alcuni tra i maggiori studiosi ebrei e cristiani sono riuniti da ieri, presso il Pontificio
Istituto Biblico di Roma, in un convegno di tre giorni dal titolo “Paolo nella sua
matrice giudaica”. Nell’Anno Paolino prende dunque vita un simposio unico in un certo
senso: per la prima volta l’Università ebraica di Gerusalemme collabora con istituzioni
cattoliche nella realizzazione di un convegno internazionale su un autore del Nuovo
Testamento: Paolo, ebreo e apostolo dei pagani. Due gli ambiti di interesse: l’incontro
nel pensiero di Paolo del mondo greco con quello ebraico e i rapporti fra Cristianesimo
ed Ebraismo dalla nascita della Chiesa ad oggi. Il servizio di Debora Donnini.
Stiamo facendo
dialogo ebraico-cristiano, aprendoci ad un’avventura, quella di confrontarci sugli
stessi testi ma da punti di vista molto diversi. Un’espressione matura di una collaborazione
iniziata da molti anni: così don Joseph Sievers,
professore direttore del Centro Cardinal Bea per gli studi giudaici e organizzatore
del Convegno. Sentiamo lo stesso prof. Sievers: “Stiamo cercando di affrontare
alcune questioni complesse. Per esempio, Paolo e la legge, Paolo e il suo rapporto
con la Torah, che viene spesso visto solo in chiave di contrasto, mentre certamente
il suo rapporto era problematico, ma questo non voleva dire per lui un rinnegare la
Torah”.
Paolo di Tarso, un ebreo che scriveva in greco. La sua istruzione
e la sua educazione furono ebraiche, la sua concezione escatologica della storia,
ebraica: lo sottolinea fortemente il prof. Sanders della Duke University North Carolina,
un esperto del settore, la cui relazione ha aperto il Convegno. Paolo fu apostolo
dei pagani, ma sempre considerò se stesso un ebreo, diventato però un‘unica persona
con Cristo. Il problema non è quello della circoncisione o “incirconcisione”, ma quello
di divenire una nuova creazione in Gesù Cristo. Paolo – sostiene Sanders – crea un
nuovo gruppo, né ebreo né pagano, ma aperto a tutti. Centrali, dunque, i capitoli
9 e 11 della Lettera ai Romani: la conversione dei pagani ha un senso, per lo stesso
popolo di Israele, centrale nell’economia della salvezza. Paolo sicuramente imparò
a memoria la Bibbia in greco, nella traduzione dei “Settanta” o almeno parti di essa.
Si deduce dalle sue citazioni – sottolinea ancora Sanders – che non ignorò il pensiero
greco. Ma non sembra aver avuto citazioni appropriate sulla punta delle dita, cosa
che probabilmente significa appunto che non aveva imparato a memoria molta letteratura
greca. Un Convegno, dunque, centrale quello che si è aperto. La fede cristiana, infatti,
è fede in un Dio incarnato nella storia e non una teoria avulsa da fatti, nomi e luoghi.