Sri Lanka. Appello del presidente Rajapaksa alla riconciliazione nazionale
Sri Lanka. Dopo la vittoria dell’esercito sui ribelli Tamil, ieri è stata ufficializzata
la morte del capo delle Tigri Tamil nel corso degli ultimi scontri con i militari
cingalesi. Il suo corpo è stato mostrato alla televisione pubblica. Ieri, il presidente
Rajapaksa, che ha indetto una giornata di festa nazionale, ha tenuto un discorso alla
Nazione dichiarando la fine dei combattimenti e indicando la strada verso la riconciliazione
nazionale. Ma la situazione umanitaria continua a rimanere estremamente preoccupante.
Il servizio di Maria Grazia Coggiola:
E proprio
per aiutare le popolazioni colpite dal conflitto in Sri Lanka si moltiplicano le iniziative
internazionali. La stessa conferenza episcopale italiana ha annunciato uno stanziamento
di un milione di euro per gli aiuti. Sul difficile scenario politico del dopo-conflitto,
la collega della redazione inglese della nosta emittente, Emer McCarthy ha intervistato
l’arcivescovo di Colombo, Oswald Gomis: R.
– What we are doing now... Quello che adesso stiamo facendo è risolvere
politicamente il problema. Infatti, il presidente stesso, nel discorso di questa mattina,
ha detto che non c’è una minoranza o una maggioranza in Sri Lanka. Siamo tutti una
sola nazione e ci sono solo due tipi differenti di persone in Sri Lanka: quelli che
amano il Paese e quelli che non lo amano. Le altre differenze non contano. Quindi,
è stata una grande dichiarazione. La seconda cosa è che troveremo una nostra soluzione
politica, che darà a tutti uguali diritti nel Paese. Questa mattina ero in parlamento
con altre persone e questo è ciò che è stato detto oggi nel discorso alla nazione.
D. – Dopo aver cercato di promuovere l’unità nazionale,
la riconciliazione e la pace per i tamil e per la popolazione cingalese, quale ruolo
particolare la Chiesa cattolica deve giocare adesso in Sri Lanka? Cosa potete dare
alla nazione, che forse nessun altro può dare?
R.
– Immediately, we are sending... Stiamo inviando subito soccorso a queste
persone, beni di prima necessità, cibo e riparo. E stiamo collaborando con il governo
perchè mandi parte di queste cose. Poi dovremo lavorare ad un processo di riconciliazione.
Già alcune suore e altri volontari sono là per occuparsi dei malati, dei feriti, di
coloro che non hanno una casa, che stanno soffrendo. Dobbiamo continuare in questo
impegno, perché abbiamo detto al presidente che offriremo il nostro servizio in questo
senso.
D. - I media hanno parlato di centinaia di
migliaia di uomini, donne e bambini vittime della guerra, che ora devono affrontare
il problema di non avere una casa, un posto dove andare. Può descriverci la situazione?
R.
– They have been shifted… Sono stati spostati in differenti campi e molti
Paesi stranieri hanno offerto tende e così via. Certo, non abbiamo il comfort assoluto,
ma gli sfollati verranno presto sistemati e il prima possibile dovrebbero tornare
alle loro case.
D. – Un obiettivo molto importante
questo...
R. – Very much, because... Molto.
Io ho incontrato di persona il presidente e l’ho pregato di occuparsi di queste persone,
perché possano tornare nei loro territori e ricominciare il loro lavoro. Specialmente
gli agricoltori, i coltivatori, sarebbero felici se potessero ritornare.
Al
di là delle questioni politiche, a destare grande preoccupazione in Sri Lanka sono
le condizioni al limite della vivibilità delle migliaia di civili, rimasti intrappolati
per settimane nella morsa dei combattimenti. Nel suo discorso al parlamento, il presidente
Rajapaksa ha chiesto alla comunità internazionale aiuti per i rifugiati e investimenti
per aiutare lo sviluppo della regione settentrionale del Paese. Ecco la testimonianza
in merito di Paolo Beccegato, responsabile dell'area internazionale della caritas
italiana, al microfono di Federico Piana: R.
- Si parla di almeno 300 mila persone sfollate, interne, delle ultime settimane, con
mille problemi. In particolare, il problema degli anziani e quello delle donne, soprattutto
delle donne incinte. Ma anche il problema della malnutrizione - pare che colpisca
almeno una persona su quattro - e il problema dell’igiene personale. Per cui sono
moltissime le questioni: ci sono delle zone ad altissima concentrazione di sfollati
in questo momento, in particolare la zona di Vavuniya, Mullaitivu, le zone storiche.
Molti si stanno spostando nell’est, a Trincomalee: vengono forniti, in particolare,
generi alimentari e sanitari, ma certamente ciò non è sufficiente anche perché il
numero degli sfollati continua ad aumentare. Basti pensare agli ultimi settemila morti
delle ultime settimane, 16.700 feriti gravi e i 50 mila delle ultime ore che pare
siano gli sfollati degli ultimi combattimenti. E' un quadro veramente tra i peggiori,
in questo momento, a livello internazionale.
D. -
Beccegato, dobbiamo dire che il governo di Colombo ha praticamente negato alle istituzioni
umanitarie di entrare e vedere la situazione. Adesso, cosa farà secondo lei?
R.
- Noi abbiamo avuto delle limitazioni sicuramente a livello di logistica, quindi di
spostamenti di operatori, anche se alcuni hanno sempre lavorato anche nelle zone controllate
dalle Tigri Tamil. Però le forniture di generi di prima necessità hanno avuto dei
grossi problemi. Poi, soprattutto, è cambiato il quadro delle presenze degli sfollati
- e queste ultime settimane sono state veramente terribili - i quali hanno affollato
dei campi dove prima non c’era nessuno. Quindi, sicuramente, l’auspicio fatto il Papa
che queste operazioni belliche abbiano termine quanto prima, e si permetta di dare
accesso alle zone colpite a tutte le organizzazioni umanitarie, va sottoscritto perché
in caso contrario si rischia anche la morte per fame di molte persone.
D.
- La comunità internazionale cosa può fare e cosa deve fare?
R.
- Bisogna lavorare su due fronti: certamente sul fronte umanitario, perché appunto
i generi di prima necessità non sono sufficienti. E poi a livello carattere politico
cioè il diritto di guerra: il diritto umanitario prevede che ci siano corridoi umanitari
per tutelare i diritti dei civili. In più, per un processo di pace, bisogna sempre
considerare l’importanza anche di una rappacificazione dal basso. Io ho visitato dei
campi a Trincomalee, qualche anno fa, e certamente la gente era arrabbiata, quindi
c’era una sorta di consenso al conflitto. Se non si rimuovono i focolai - che poi
alimentano il conflitto, come ci ha insegnato la storia - la ciclicità di queste ondate
di violenza organizzata rischia di ripetersi.