Lettera del Papa in ricordo di padre Matteo Ricci, missionario per 28 anni in Cina,
nell'anniversario della morte
Una “strategia pastorale” basata sull’amicizia e il rispetto di una cultura nobile
e lontana, come quella cinese, condotta con intelligenza tale da risultare profetica.
E’ il pensiero di fondo che Benedetto XVI esprime in una lettera dedicata ad un grande
evangelizzatore della Cina, il gesuita padre Matteo Ricci. Il Papa ha inviato il suo
scritto a mons. Claudio Giuliodori, vescovo di Macerata, città dove il missionario
gesuita nacque nel 1522 e dove sono in programma numerose manifestazioni che ricordano
la morte di padre Matteo, avvenuta a Pechino l’11 maggio 1610. Benedetto XVI spende
parole di grande apprezzamento per un uomo che fu un notevolissimo artefice dell’inculturazione
del cristianesimo fra i cinesi. Il “lungimirante lavoro” di questo “intrepido ed intelligente
messaggero del Vangelo di Cristo”, afferma, colpisce per l’“innovativa e peculiare
capacità che egli ebbe di accostare, con pieno rispetto, le tradizioni culturali e
spirituali cinesi nel loro insieme”. In particolare, il Pontefice mette in risalto
la nota dell’amicizia: quel che “ha reso originale e, potremmo dire, profetico il
suo apostolato - riconosce - è stato sicuramente la profonda simpatia che nutriva
per i cinesi, per la loro storia, per le loro culture e tradizioni religiose”.
“Modello
di dialogo e di rispetto per le altrui credenze, questo vostro Conterraneo – scrive
ancora il Papa - fece dell'amicizia lo stile del suo apostolato durante i 28 anni
di permanenza in Cina”. Un'amicizia “ricambiata” dalle popolazioni locali, che permise
a padre Matteo di superare difficoltà e incomprensioni e alla quale, ricorda Benedetto
XVI, “volle mantenersi fedele, sino alla morte”. Con questo “stile di evangelizzazione”
attuò, “si potrebbe dire, una metodologia scientifica e una strategia pastorale basate,
da una parte, sul rispetto delle sane usanze del luogo che i neofiti cinesi non dovevano
abbandonare quando abbracciavano la fede cristiana, e, dall'altra, sulla consapevolezza
che la Rivelazione poteva ancor più valorizzarle e completarle”. (A cura di Alessandro
De Carolis)