2009-05-14 15:38:35

L'incontro con i profughi di Aida. Il Papa: tragica la costruzione del muro. Rompere il ciclo della violenza


Israeliani e palestinesi devono abbattere, con l’aiuto della comunità internazionale, il muro di reciproca ostilità che da 60 anni alimenta il conflitto in Medio Oriente. Visitando ieri pomeriggio il Campo profughi “Aida” a Betlemme, che ospita 7 mila persone, il Papa ha insistito molto sulla necessità di “rompere il ciclo delle aggressioni” per arrivare ad una pace giusta e duratura per entrambi le popolazioni. Un pensiero sul quale il Pontefice è ritornato anche nel suo discorso di congedo dai Territori palestinesi, tenuto nel palazzo presidenziale. La cronaca di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3

Lastroni grigi alti quattro uomini, recinzioni e filo spinato. E per contrasto, la mozzetta bianca del Papa, mossa dal vento, che si muove leggera sullo sfondo di cemento armato, quasi a ricordare che, per quanto robusto sia, un muro costruito da uomini può essere superato dallo spirito del dialogo che non può essere soffocato.
 
(musica palestinese)
 
Hanno fatto il giro del mondo le immagini di Benedetto XVI che parla nel Campo profughi di Aida, due km da Betlemme e pochi metri dalla lunga parete che da qualche anno divide il confine fra Israele e la Cisgiordania. In settemila convivono in quel campo - famiglie musulmane per lo più, ma anche cristiane - per le quali la precarietà di un rifugio si è trasformata un giorno in normalità, ma senza la serenità di una vita normale, come ha riconosciuto con grande partecipazione il Papa:
 
“I know that many of your families are divided…
So che molte vostre famiglie sono divise - a causa di imprigionamento di membri della famiglia o di restrizioni alla libertà di movimento e che molti tra voi hanno sperimentato perdite nel corso delle ostilità (...) Le vostre legittime aspirazioni ad una patria permanente, ad uno Stato Palestinese indipendente, restano incompiute. E voi, al contrario, vi sentite intrappolati, come molti in questa regione e nel mondo, in una spirale di violenza, di attacchi e contrattacchi, di vendette e di distruzioni continue”.
 
Nell’apprezzare il lavoro di solidarietà da 60 anni svolto dalla Missione Pontificia per la Palestina, e lodare tutti coloro che in Terra Santa si oppongono alla violenza vivendo con spirito francescano da “strumenti di pace”, Benedetto XVI ha condiviso l’anelito del mondo a che sia spezzata la “spirale” dell’odio. E tuttavia, ha constatato, questo desiderio deve fare i conti con la “dura consapevolezza” di quel muro di cemento, segno - ha detto - “del punto morto a cui sembrano essere giunti i contatti tra israeliani e palestinesi”:
 
“In a world where more and more borders…
In un mondo in cui le frontiere vengono sempre più aperte – al commercio, ai viaggi, alla mobilità della gente, agli scambi culturali – è tragico vedere che vengono tuttora eretti dei muri. Quanto aspiriamo a vedere i frutti del ben più difficile compito di edificare la pace! Quanto ardentemente preghiamo perché finiscano le ostilità che hanno causato l’erezione di questo muro!”.
 
Questa implorazione, due ore più tardi - quando il Pontefice si è congedato dai Territori autonomi palestinesi e dal loro presidente, Mahmoud Abbas - è ritornata, con forza, nel richiamo di un Papa che ha visto “con angoscia” la situazione dei rifugiati, ha visto il muro che nasconde Betlemme e spezza intere famiglie:
 
“Although walls can easily be built…
Benché i muri si possano con facilità costruire, noi tutti sappiamo che essi non durano per sempre. Possono essere abbattuti. Innanzitutto però è necessario rimuovere i muri che noi costruiamo attorno ai nostri cuori, le barriere che innalziamo contro il nostro prossimo. Ecco perché, nelle mie conclusive parole, voglio fare un rinnovato appello all’apertura e alla generosità di spirito, perché sia posta fine all'intolleranza ed all’esclusione”.
 
“Non importa - ha incalzato Benedetto XVI - quanto intrattabile e profondamente radicato possa apparire un conflitto, ci sono sempre dei motivi per sperare che esso possa essere risolto”. Ciò che occorre, aveva detto in precedenza al Campo di Aida, è un “grande coraggio per superare la paura e la sfiducia”:
 
“Occorre magnanimità per ricercare la riconciliazione dopo anni di scontri armati. E tuttavia la storia ci insegna che la pace viene soltanto quando le parti in conflitto sono disposte ad andare oltre le recriminazioni e a lavorare insieme a fini comuni (…) Deve esserci una determinazione ad intraprendere iniziative forti e creative per la riconciliazione: se ciascuno insiste su concessioni preliminari da parte dell’altro, il risultato sarà soltanto lo stallo delle trattative”.
 
Al cospetto del presidente palestinese, Benedetto XVI ha inoltre assicurato di voler cogliere “ogni opportunità per esortare coloro che sono coinvolti nei negoziati di pace a lavorare per una soluzione giusta che rispetti le legittime aspirazioni di entrambi, israeliani e palestinesi”. E come “importante passo in questa direzione”, ha concluso, la Santa Sede “desidera stabilire presto, in accordo con l'Autorità Palestinese, la Commissione Bilaterale di Lavoro Permanente che è stata delineata nell'Accordo di base, firmato in Vaticano il 15 febbraio 2000”.







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