Conferenza regionale sull’Afghanistan, a Islamabad, alla presenza del presidente Hamid
Karzai, proprio mentre infuria lo scontro tra ribelli talebani ed il contingente internazionale.
Numerosi gli attentati e le vittime anche stmane. Una situazione che rischia di infiammare
un’area delicata per gli equilibri internazionali. Giancarlo La Vella ne ha
parlato con Elisa Giunchi, docente di Storia ed Istituzioni dei Paesi islamici,
all’Università Statale di Milano:
R. – Al momento
il quadro è molto delicato, tra l’altro il numero degli sfollati continua ad aumentare.
Le stime vanno dai 260 mila sfollati dal 2 maggio in poi, a due milioni addirittura.
Quindi è una situazione estremamente delicata ed esplosiva: la cosa preoccupante è
che né per l’Afghanistan, né per il Pakistan si riesce ad intravedere una strategia
innovativa che possa correggere gli errori del passato e portare ad una svolta nel
contrasto all’estremismo regionale. Non è chiaro quale obiettivo finale abbia l’azione
militare pakistana perché i militanti potranno, sotto i raid aerei delle Forze governative,
spostarsi in altre aree tribali dove già si trovano. Quindi, non è ben chiaro quale
sia l’obiettivo del governo Zardari e, per ciò che riguarda l’Afghanistan, non è ben
chiara come la nuova strategia di Obama, presentata nei mesi scorsi, possa portare
a cambiamenti determinanti nella lotta all’opposizione antigovernativa. D.
– Qual è l’obiettivo dei Talebani di oggi, in ambedue i Paesi? R.
– L’obiettivo non è tanto quello di ottenere il potere centrale, quanto quello di
controllare, dal basso, la società; di far sì che la loro interpretazione oscurantista
della società venga applicata; che determinati codici morali siano osservati sostituendosi
ad uno Stato che tradizionalmente è assente, in Afghanistan, così come nelle aree
Pashtun. Questo forse è il grosso problema che accomuna i due grandi Paesi: il problema
dell’assenza dello Stato. Di fatto, è nelle percezioni della popolazione, soprattutto
quando si parla appunto di centinaia di migliaia di sfollati che lasciano le aree
dello Swat, Buner e Dir; quindi - in questo grande movimento di popolazione - l’aiuto
e il sostegno che vengono dalle autorità centrali agli sfollati è abbastanza carente
e si inizia a leggere, a sentire, che l’aiuto più efficace sul terreno – come era
successo in occasione del terremoto, anni fa - è dato da associazione islamiste radicali
colluse con i Talebani. D. – Quanto c’entra, in tutta questa
situazione, la gestione delle culture di oppio? R. – L’oppio
è una delle principali fonti di sostenimento dell’opposizione antigovernativa in Afghanistan,
che include non solo i Talebani ma anche altri gruppi. Ma la lotta al contrasto all’oppio
è estremamente complessa, anche perché in passato varie agenzie e vari Paesi hanno
portato avanti strategie diverse tra loro, in contraddizione le une con le altre.
Quindi, ci vorrebbe un maggiore coordinamento tra i Paesi che sono maggiormente coinvolti
nella stabilizzazione regionale. D. – Secondo lei, ci sono dei
collegamenti della ribellione con al Qaeda? R. – Sicuramente
sì. Ci sono dei gruppi di arabi, ma anche di islamisti centroasiatici, che si sono
integrati con la popolazione locale che, dalle aree Pashtun nord e a sud della Duran
Line, combattono a fianco dei Talebani per un obiettivo, per lo meno di medio termine,
che è comune. Ci sono però dei gruppi, diciamo affiliati ad al Qaeda, che invece si
sono integrati meno, come i gruppi uzbeki per esempio. Vi sono anche delle lotte interne
molto importanti: vi sono delle federazioni di gruppi di Talebani pakistani che sono
maggiormente alleati con arabi uzbeki, affiliati ad al Qaeda ed altri gruppi, altre
federazioni che invece lo sono di meno. Zardari ha cercato di frammentare l’intero
movimento ma è una strategia che oggi non ha avuto alcun risultato apprezzabile.