Gerusalemme sia la città della pace non della discriminazione e della violenza! Così
il Papa alla Messa nella Valle di Giosafat
“Nella Terra Santa c’è posto per tutti! Mentre esorto le autorità a rispettare e sostenere
la presenza cristiana qui, desidero al tempo stesso assicurarvi della solidarietà,
dell’amore e del sostegno di tutta la Chiesa e della Santa Sede”. È quanto ha detto
il Papa nella Santa Messa presieduta nella Josafat Valley a Gerusalemme. Benedetto
XVI è tornato a parlare dell’emigrazione dei cristiani dalla Terra Santa definita
“un grande impoverimento culturale e spirituale”. “Trovandomi qui davanti a voi oggi
– ha detto - desidero riconoscere le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza
che tanti tra voi hanno subito in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste
terre, ed anche le amare esperienze dello spostamento che molte delle vostre famiglie
hanno conosciuto e – Dio non lo permetta – possono ancora conoscere. Spero che la
mia presenza qui sia un segno che voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante
presenza e testimonianza sono di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente
del futuro di queste terre”. Bisogna davvero rendere Gerusalemme una “città della
pace” ha aggiunto: “Come un microcosmo del nostro mondo globalizzato, questa Città,
se deve vivere la sua vocazione universale, deve essere un luogo che insegna l'universalità,
il rispetto per gli altri, il dialogo e la vicendevole comprensione; un luogo dove
il pregiudizio, l’ignoranza e la paura che li alimenta, siano superati dall’onestà,
dall’integrità e dalla ricerca della pace. Non dovrebbe esservi posto tra queste mura
per la chiusura, la discriminazione, la violenza e l’ingiustizia. I credenti in un
Dio di misericordia – si qualifichino essi Ebrei, Cristiani o Musulmani –, devono
essere i primi a promuovere questa cultura della riconciliazione e della pace, per
quanto lento possa essere il processo e gravoso il peso dei ricordi passati”. Ecco
il testo integrale dell’omelia del Papa seguito dall’indirizzo del patriarca Twal: Cari
Fratelli e Sorelle nel Signore, “Cristo è risorto,
alleluia!”. Con queste parole vi saluto con grande affetto. Ringrazio il Patriarca
Fouad Twal per le sue parole di benvenuto a vostro nome, e prima di tutto esprimo
anche la mia gioia di essere qui a celebrare questa Eucarestia con voi, Chiesa in
Gerusalemme. Ci siamo raccolti qui sotto il monte degli Ulivi, dove nostro Signore
pregò e soffrì, dove pianse per amore di questa città e per il desiderio che essa
potesse conoscere “la via della pace” (cfr Lc 19,42), qui donde egli tornò al Padre,
dando la sua ultima benedizione terrena ai suoi discepoli e a noi. Accogliamo oggi
questa benedizione. Egli la dona in modo speciale a voi, cari fratelli e sorelle,
che siete collegati in una ininterrotta linea con quei primi discepoli che incontrarono
il Signore Risorto nello spezzare il pane, che sperimentarono l’effusione dello Spirito
Santo nella “stanza al piano superiore”, che furono convertiti dalla predicazione
di San Pietro e degli altri apostoli. I miei saluti vanno anche a tutti i presenti,
e in modo speciale a quei fedeli della Terra Santa che per varie ragioni non hanno
potuto essere oggi con noi. Come successore di
san Pietro, ho ripercorso i suoi passi per proclamare il Signore Risorto in mezzo
a voi, per confermarvi nella fede dei vostri padri ed invocare su di voi la consolazione
che è il dono del Paraclito. Trovandomi qui davanti a voi oggi, desidero riconoscere
le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti tra voi hanno subito
in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre, ed anche le amare esperienze
dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto e – Dio non lo
permetta – possono ancora conoscere. Spero che la mia presenza qui sia un segno che
voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante presenza e testimonianza sono
di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente del futuro di queste terre.
Proprio a causa delle vostre profonde radici in questi luoghi, la vostra antica e
forte cultura cristiana, e la vostra perdurante fiducia nelle promesse di Dio, voi
Cristiani della Terra Santa, siete chiamati a servire non solo come un faro di fede
per la Chiesa universale, ma anche come lievito di armonia, saggezza ed equilibrio
nella vita di una società che tradizionalmente è stata, e continua ad essere, pluralistica,
multietnica e multireligiosa. Nella seconda lettura
di oggi, l’Apostolo Paolo chiede ai Colossesi di “cercare le cose di lassù, dove è
Cristo, seduto alla destra di Dio” (Col 3,1). Queste parole risuonano con particolare
forza qui, sotto il Giardino del Getsemani, dove Gesù ha accettato il calice della
sofferenza in completa obbedienza alla volontà del Padre e dove, secondo la tradizione,
è asceso alla destra del Padre per intercedere continuamente per noi, membra del suo
Corpo. San Paolo, il grande araldo della speranza cristiana, ha conosciuto il prezzo
di questa speranza, il suo costo in sofferenza e persecuzione per amore del Vangelo,
e mai vacillò nella sua convinzione che la risurrezione di Cristo era l’inizio della
nuova creazione. Come egli dice a noi: “Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato,
allora anche voi apparirete con lui nella gloria” (Col 3,4)! L’esortazione
di Paolo di “cercare le cose di lassù” deve continuamente risuonare nei nostri cuori.
Le sue parole ci indicano il compimento della visione di fede in quella celeste Gerusalemme
dove, in conformità con le antiche profezie, Dio asciugherà le lacrime da ogni occhio
e preparerà un banchetto di salvezza per tutti i popoli (cfr Is 25,6-8; Ap 21,2-4). Questa
è la speranza, questa la visione che spinge tutti coloro che amano questa Gerusalemme
terrestre a vederla come una profezia e una promessa di quella universale riconciliazione
e pace che Dio desidera per tutta l’umana famiglia. Purtroppo, sotto le mura di questa
stessa Città, noi siamo anche portati a considerare quanto lontano sia il nostro mondo
dal compimento di quella profezia e promessa. In questa Santa Città dove la vita ha
sconfitto la morte, dove lo Spirito è stato infuso come primo frutto della nuova creazione,
la speranza continua a combattere la disperazione, la frustrazione e il cinismo,
mentre la pace, che è dono e chiamata di Dio, continua ad essere minacciata dall’egoismo,
dal conflitto, dalla divisione e dal peso delle passate offese. Per questa ragione,
la comunità cristiana in questa Città che ha visto la risurrezione di Cristo e l’effusione
dello Spirito deve fare tutto il possibile per conservare la speranza donata dal Vangelo,
tenendo in gran conto il pegno della vittoria definitiva di Cristo sul peccato e sulla
morte, testimoniando la forza del perdono e manifestando la natura più profonda della
Chiesa quale segno e sacramento di una umanità riconciliata, rinnovata e resa una
in Cristo, il nuovo Adamo. Riuniti sotto le mura
di questa città, sacra ai seguaci delle tre grandi religioni, come possiamo non rivolgere
i nostri pensieri alla universale vocazione di Gerusalemme? Annunciata dai profeti,
questa vocazione appare come un fatto indiscutibile, una realtà irrevocabile fondata
nella storia complessa di questa città e del suo popolo. Ebrei, Musulmani e Cristiani
qualificano insieme questa città come loro patria spirituale. Quanto bisogna ancora
fare per renderla veramente una "città della pace" per tutti i popoli, dove tutti
possono venire in pellegrinaggio alla ricerca di Dio, e per ascoltarne la voce, “una
voce che parla di pace” ( cf. Sl 85,8)! Gerusalemme
in realtà è sempre stata una città nelle cui vie risuonano lingue diverse, le cui
pietre sono calpestate da popoli di ogni razza e lingua, le cui mura sono un simbolo
della cura provvidente di Dio per l’intera famiglia umana. Come un microcosmo del
nostro mondo globalizzato, questa Città, se deve vivere la sua vocazione universale,
deve essere un luogo che insegna l'universalità, il rispetto per gli altri, il dialogo
e la vicendevole comprensione; un luogo dove il pregiudizio, l’ignoranza e la paura
che li alimenta, siano superati dall’onestà, dall’integrità e dalla ricerca della
pace. Non dovrebbe esservi posto tra queste mura per la chiusura, la discriminazione,
la violenza e l’ingiustizia. I credenti in un Dio di misericordia – si qualifichino
essi Ebrei, Cristiani o Musulmani –, devono essere i primi a promuovere questa cultura
della riconciliazione e della pace, per quanto lento possa essere il processo e gravoso
il peso dei ricordi passati. Vorrei qui accennare
direttamente alla tragica realtà – che non può mai cessare di essere fonte di preoccupazione
per tutti coloro che amano questa Città e questa terra – della partenza di così numerosi
membri della comunità cristiana negli anni recenti. Benché ragioni comprensibili portino
molti, specialmente giovani, ad emigrare, questa decisione reca con sé come conseguenza
un grande impoverimento culturale e spirituale della città. Desidero oggi ripetere
quanto ho detto in altre occasioni: nella Terra Santa c’è posto per tutti! Mentre
esorto le autorità a rispettare e sostenere la presenza cristiana qui, desidero al
tempo stesso assicurarvi della solidarietà, dell’amore e del sostegno di tutta la
Chiesa e della Santa Sede. Cari amici, nel Vangelo
che abbiamo appena ascoltato, San Pietro e San Giovanni corrono alla tomba vuota,
e Giovanni, ci è stato detto, “vide e credette” (Gv 20,8), Qui in Terra Santa, con
gli occhi della fede, voi insieme con i pellegrini di ogni parte del mondo che affollano
le chiese e i santuari, siete felici di vedere i luoghi santificati dalla presenza
di Cristo, dal suo ministero terreno, dalla sua passione, morte e risurrezione e dal
dono del suo Santo Spirito. Qui, come all’apostolo san Tommaso, vi è concessa l’opportunità
di “toccare” le realtà storiche che stanno alla base della nostra confessione di fede
nel Figlio di Dio. La mia preghiera per voi oggi è che continuiate, giorno dopo giorno,
a “vedere e credere” nei segni della provvidenza di Dio e della sua inesauribile misericordia,
ad “ascoltare” con rinnovata fede e speranza le consolanti parole della predicazione
apostolica e a “toccare” le sorgenti della grazia nei sacramenti ed incarnare per
gli altri il loro pegno di nuovi inizi, la libertà nata dal perdono, la luce interiore
e la pace che possono portare salvezza e speranza anche nelle più oscure realtà umane. Nella
Chiesa del Santo Sepolcro, i pellegrini di ogni secolo hanno venerato la pietra che
la tradizione ci dice che stava all’ingresso della tomba la mattina della risurrezione
di Cristo. Torniamo spesso a questa tomba vuota. Riaffermiamo lì la nostra fede sulla
vittoria della vita, e preghiamo affinché ogni “pietra pesante” posta alla porta dei
nostri cuori, a bloccare la nostra completa resa alla fede, alla speranza e all’amore
per il Signore, possa essere tolta via dalla forza della luce e della vita che da
quel primo mattino di Pasqua risplendono da Gerusalemme su tutto il mondo. Cristo
è risorto, alleluia! Egli è davvero risorto, alleluia!
Questo l’indirizzo
di saluto di mons. Fouad Twal al Papa:
Santissimo Padre,
La Chiesa di Gerusalemme L’accoglie con fervore in questa città dove Gesù Cristo fu
accolto dalla folla al grido di “Osanna nell’alto dei cieli! Benedetto colui che viene
nel nome del Signore!” (Mt 21,9). Benvenuto nella città dove Gesù Cristo riportò la
vittoria sul peccato e sulla morte e ottenne la salvezza per coloro che hanno fede
in lui. Qui, con Lei, la Chiesa prega e veglia amorosamente
su questi luoghi dove Nostro Signore ha compiuto l’opera meravigliosa della nostra
redenzione. Questi luoghi sono i testimoni del passato e la verità della nostra vita
presente. Solamente ad alcuni metri da qui, Gesù disse ai suoi
discepoli : «Restate qui e vegliate con me » (Mt 26,38). Ma loro hanno chiuso gli
occhi, senza curarsi affatto di Gesù, in agonia un po’ più lontano.
Santissimo Padre, per molti aspetti la situazione oggi non è tanto cambiata. Assistiamo
da una parte all’agonia del popolo palestinese, che sogna di vivere in uno Stato palestinese
libero e indipendente, ma non ci arriva; e assistiamo dall’altra parte all’agonia
di un popolo israeliano, che sogna una vita normale nella pace e nella sicurezza ma,
nonostante la sua potenza mediatica e militare, non ci arriva. Quanto
alla comunità internazionale, essa gioca il ruolo dei discepoli di Gesù: se ne sta
da parte, le palpebre appesantite di indifferenza, insensibile all’agonia per la quale
passa la Terra Santa da sessantun anni, senza volere veramente svegliarsi per trovare
una soluzione giusta. Da questa valle di Giosafat, valle di lacrime, facciamo salire
la nostra preghiera perché si realizzino i sogni di questi due popoli. Su questo monte degli Olivi, Gesù pianse invano su Gerusalemme.
Oggi, Egli continua a piangere con i rifugiati senza speranza di ritorno, con le vedove
il cui marito è stato vittima di violenza, e con le numerose famiglie di questa città
che tutti i giorni vedono le loro case demolite col pretesto che esse sono state “costruite
illegalmente”, allorquando tutta la situazione generale tutta intera è illegale e
non riceve soluzione. Al di sopra del luogo dove ora
noi siamo, Nostro Signore lanciò questo grido : «Gerusalemme, Gerusalemme, tu che
uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono stati mandati ! Quante volte ho voluto
raccogliere i tuoi figli- tutti i tuoi figli, ebrei, cristiani e mussulmani- e voi
non avete voluto” (Lc 13,34). Caro Santo Padre, noi le domandiamo
di comprendere quello che qui vivono i Suoi poveri figli e di fortificare la nostra
fede e la nostra speranza. Con la Sua visita, Lei ci porta la sollecitudine e la solidarietà
di tutta la Chiesa, e ci attira l’attenzione del mondo su questa regione, su questi
popoli, la loro storia, i loro combattimenti e le loro speranze, i loro sorrisi e
le loro lacrime. Per chiunque soffre -un malato, un rifugiato,
un prigioniero o uno che porta il peso di una ingiustizia- il più grande sconforto
è di costatare di essere stato dimenticato e che nessuno veda, non sappia né si commuova
per quello che lui sopporta. La Sua visita oggi è un grande conforto per i nostri
cuori e l’occasione di dire a tutti che il Dio di compassione e coloro che credono
in Lui non sono né ciechi, né dimentichi, né insensibili. Santità,
Lei è il successore di san Pietro, incaricato dal Signore per «confermare i suoi fratelli”
nella fede (Lc 22,32). Noi pure la supplichiamo e gridiamo con gli Apostoli:
“Aumenta la nostra fede” (Lc 17,25). Santissimo Padre, Lei
ha davanti un piccolo gregge, e che ancora si riduce a causa dell’emigrazione, una
emigrazione largamente dovuta agli effetti di una occupazione ingiusta, con l’accompagnamento
di umiliazione, di violenza e di odio. Ma noi sappiamo che “questa è la vittoria che
ha vinto il mondo: la nostra fede” (1 Gv 5,4) e che la fede ci rende capaci di vedere
e di riconoscere Gesù Cristo in ogni persona. Con Gesù e in Gesù, noi possiamo gustare
qui e ora la pace che il mondo non può né dare né togliere dai nostri cuori. Questa
pace significa serenità, fede, spirito di accoglienza e gioia di vivere e di lavorare
in questa terra. Per questo noi approfittiamo della Sua presenza
benedetta tra noi per gridarLe, come quel padre sofferente che supplicò Gesù di liberare
suo figlio dai tormenti che lo opprimevano da lungo tempo : «Io credo ! Aiuta la mia
incredulità” (Mc 9,24). Santissimo Padre, noi L’accogliamo
come il successore di san Pietro: venga in aiuto alla nostra incredulità! Preghi con
noi il nostro Padre dei cieli per tutti gli abitanti della Terra Santa; invochi anche
la Madre Addolorata, che ai piedi della croce del figlio suo sofferente non si è tirata
indietro, per aiutarci ad avere la sua stessa fede nella buona provvidenza di Dio
e ad accettare tutto, anche senza comprendere dall’inizio. O
Signore, fortifica la nostra fede!