Oggi pomeriggio il Papa presiederà la Messa nella Valle di Giosafat: domani il trasferimento
nei Territori Autonomi Palestinesi. Benedetto XVI giungerà in mattinata a Betlemme
dove incontrerà il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas. Subito dopo
celebrerà la Messa nella Piazza della Mangiatoia. Nel pomeriggio il Pontefice visiterà
la Grotta della Natività e, a seguire, il Caritas Baby Hospital di Betlemme e il campo
profughi di Aida. In serata il rientro a Gerusalemme. Sul significato di questa visita
ascoltiamo padre Jerzy Kraj, guardiano di Betlemme, al microfono di Roberto
Piermarini:
R. – Per
noi e per la popolazione di Betlemme è un segno della storia di 20 secoli della cristianità,
come presenza di una comunità viva. Abbiamo una Basilica che ricorda l’inizio della
vita terrena di Gesù, ma accanto a questa Basilica, da sempre, c’è una comunità viva.
E allora noi siamo qui per testimoniare l’amore di Dio per tutti gli uomini, compresi
quelli che vengono come pellegrini in Terra Santa. D. – Padre
Jerzy, che cosa chiede il pellegrino che viene a Betlemme? R.
– Il pellegrino che viene tocca soprattutto i luoghi santi, come sorgenti della fede.
Qui si tocca l’inizio della vita di Dio in mezzo a noi. Allora, il pellegrino arriva
qui, per toccare con mano quella viva presenza di Dio. Io credo che adorando nella
grotta della Natività, il luogo storico che ricorda l’inizio della presenza di Gesù
in mezzo a noi, si celebra l’amore di Dio, che si è rivelato in mezzo a noi. D.
– All’interno della Basilica, qual è il rapporto con le altre confessioni cristiane? R.
– Abbiamo tre comunità qui: i francescani come rappresentanti della Chiesa cattolica,
i greco-ortodossi e gli armeni. I rapporti sono relativamente buoni. Ci sono alle
volte delle tensioni, ma nell’insieme bisogna riconoscere che c’è una buona collaborazione,
perchè nel cuore di tutti c’è forse un amore troppo geloso di questo luogo e in questo
amore geloso a volte c’è una specie di rivalità, ma rivalità, credo, guidata soprattutto
dall’autenticità del luogo santo. D. – E' rimasto ancora qualcosa
dell’assedio che c’è stato qui in questa Basilica per molti giorni? E’ rimasto qualche
segno o è tutto cancellato ormai? R. – Ci sono segni sul muro
esterno della Basilica di qualche pallottola volante, che ha lasciato schegge sulla
pietra antica. Il resto è stato soprattutto cancellato dalla memoria positiva, memoria
di una testimonianza di custodire il luogo e offrirlo a tutti i pellegrini e anche
ai cristiani locali. D. – Gesù Cristo si è incarnato a Betlemme
per portare al mondo la pace, ma è veramente difficile la pace in questa terra così
travagliata? R. – La pace è soprattutto un impegno morale. E’
difficile perchè l’uomo ancora non ha colto la pace di Dio, di Gesù, che porta ad
un rinnovamento del cuore. Finché noi cercheremo di costruire la pace sugli accordi
politici, non arriverà mai un’autentica pace, collaborazione, riconciliazione dei
popoli qui in Terra Santa, tra i palestinesi e gli israeliani. Occorre un rinnovamento
interiore. I cristiani sono segno di questo ponte, di questa visione positiva, di
fermento dall’interno per costruire una pace non basata sulle dichiarazioni, ma soprattutto
sull’amore che Cristo ci ha portato. D. – E lei personalmente
che cosa si aspetta da questa visita del Papa? R. – Un segno
positivo per noi custodi dei luoghi santi. I francescani quest’anno ricordano i 700
anni dei documenti delle autorità musulmane per poter custodire questo luogo. Ci ricordiamo
le storie non facili, gli anni difficili. Ricordo con tanta gioia la visita del Santo
Padre Giovanni Paolo II nel 2000. La stessa attesa, la stessa gioia in questa visita
di Benedetto XVI, come segno del terzo Papa dopo Paolo VI e Giovanni Paolo II, che
viene qui a confermare la comunità cristiana e a seminare segni di pace e anche di
riconciliazione tra la popolazione locale.