2009-05-11 12:07:23

Lo statu quo in Terra Santa: intervista con padre Macora


Durante la sua visita in Terra Santa il Papa visiterà alcuni luoghi, come il Santo Sepolcro, regolati dal cosiddetto “statu quo”. Si tratta di un aspetto molto delicato, soprattutto a livello ecumenico. Roberto Piermarini ne ha parlato con padre Atanasio Macora, segretario per la Commissione dello “statu quo” della Custodia di Terra Santa:RealAudioMP3  
R. – Lo “statu quo” in senso stretto riguarda determinati santuari della Terra Santa, tra cui il Santo Sepolcro, la chiesa della Natività a Betlemme, il Santuario dell’Ascensione e la Tomba della Vergine, che sono condivisi da diverse comunità cristiane. Lo “statu quo” regola questa condivisione, nel senso che lo “statu quo” è un decreto che obbliga ciascuna delle diverse comunità a rimanere nel suo stato attuale, e non è consentito ad una comunità di andare oltre il proprio confine. Si tratta di questioni di pulizia, di mantenimento, di proprietà, di uso. Per esempio, per quanto riguarda il tempo liturgico: ogni comunità è obbligata a pregare nel tempo ad essa riservato e a non andare oltre.
 
D. – Chi regola lo “statu quo” nei Luoghi Santi?
 
R. – Lo “statu quo” è regolato … nell’anno 1852 dal sultano turco, che obbligava ciascuna comunità a rimanere al proprio posto, e questo veniva a confermare – a sua volta – una situazione precedente che risaliva al 1757. Quindi, lo “statu quo” non è un codice ma è l’imposizione di un cessate-il-fuoco, in cui ciascuno rimane al proprio posto. Ma è importante sottolineare che di per sé non è un codice, non c’è un testo unico al quale ciascuna comunità possa rivolgersi per provare i propri diritti.
 
D. – Padre Macora, il problema – secondo lei – è lo “statu quo” o la sua interpretazione?
 
R. – Di per sé, il problema è che non esiste un codice. Cioè, lo “statu quo” è vago, è in se stesso una cosa vaga, perché non è definito. Non abbiamo un codice comune. Per essere più precisi: negli anni Sessanta, le tre comunità maggiori del Santo Sepolcro, cioè i greci-ortodossi, i latini rappresentati dai Francescani e gli armeni, si sono messi d’accordo per fare i restauri. Per fare i restauri della Basilica, hanno dovuto stilare degli accordi scritti. Questi accordi scritti, a mio parere, prendono il posto dello “statu quo”: ormai, in alcune situazioni, esiste una specie di codice scritto al quale possiamo appellarci, dicendo: questo è nostro perché l’abbiamo aggiustato nel 1962. Quindi, lì lo “statu quo” non presenta alcun problema, c’è chiarezza. Ma lo “statu quo” è un grande problema. Ultimamente, a novembre, c’è stato grande conflitto tra armeni e greci causato da una interpretazione: ecco, queste parti vaghe creano difficoltà.
 
D. – La difficile questione di Gerusalemme, che sembra quasi inestricabile, influisce sullo “statu quo”?
 
R. – Di per sé, no. Lo “statu quo” in senso stretto, è riferito ai Luoghi Santi. Ciò nonostante, ogni tanto qualcuno usa questa espressione di “statu quo” per indicare che le potenze politiche di oggi rimangono sulle loro posizioni.
 
D. – Ultima domanda, padre Macora: c’è stato un problema – dovuto alla presenza di Benedetto XVI – qui, per quanto riguarda lo “statu quo”, o è stato superato ogni problema?
 
R. – Non c’è stato nessun problema: io ho trovato i greci e gli armeni disponibilissimi, al massimo; noi abbiamo dovuto chiedere – per esempio – qualche cortesia, qualche eccezione alle regole dello “statu quo”: ad esempio, i microfoni, perché nella Basilica del Santo Sepolcro è proibito l’uso di altoparlanti, per ovvi motivi. Se tutti ne facessero uso, non si riuscirebbe più a pregare. Però, in via eccezionale, possiamo usarli con il consenso delle altre due comunità che hanno acconsentito all’uso degli altoparlanti. Sono stati veramente bravi e io sono loro riconoscente.







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