2009-05-09 15:15:45

La visita del Papa al Memoriale di Mosè sul Monte Nebo: Chiesa e popolo ebreo uniti da un "inseparabile legame"


Dall’alto del Monte Nebo, la Chiesa contempla il suo pellegrinaggio terreno verso la salvezza promessa da Cristo e ricorda il suo “inseparabile legame” con il popolo ebreo. Benedetto XVI lo ha affermato questa mattina, visitando l’antica Basilica del “Memoriale di Mosè”, prima tappa del suo secondo giorno in Terra Santa. Il Papa ha raggiunto di buon mattino in auto l’altura che dista una quarantina di km. da Amman, affacciandosi dalla terrazza del Santuario nel quale ha poi tenuto il suo discorso. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3

Lo stesso sguardo panoramico e commosso di Mosè, ad abbracciare da lontano le colline che circondano Amman e, più oltre, Betlemme e la Valle del Giordano, il rigoglio di una terra che l’antico Patriarca non toccò mai. Benedetto XVI lo ha sperimentato questa mattina, sul Monte Nebo, che la tradizione indica come luogo dal quale Mosè vide la Terra Promessa. Ma anche uno sguardo interiore, a ricordare che il “vedere, toccare e assaporare in preghiera e in contemplazione i luoghi benedetti dalla presenza fisica” di Cristo comporta per i cristiani una duplice consapevolezza: di un’“esodo” dal deserto del peccato e dell’“inseparabile vincolo che unisce la Chiesa al popolo ebreo”:

 
“From the beginning, the Church in these lands…
Sin dagli inizi, la Chiesa in queste terre ha commemorato nella propria liturgia le grandi figure dell’Antico Testamento, quale segno del suo profondo apprezzamento per l’unità dei due Testamenti. Possa l’odierno nostro incontro ispirare in noi un rinnovato amore per il canone della Sacra Scrittura ed il desiderio di superare ogni ostacolo che si frappone alla riconciliazione fra Cristiani ed Ebrei, nel rispetto reciproco e nella cooperazione al servizio di quella pace alla quale la Parola di Dio ci chiama!”
 
Questo auspicio del Papa ha suggellato un discorso iniziato in chiave spirituale sul significato che la vicenda di Mosè sul Monte Nebo assume per i cristiani contemporanei. “Lei oggi ha voluto farsi pellegrino, ricordandoci che questa è la condizione del popolo di Dio”, aveva detto nel suo indirizzo di saluto al Papa il ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori, padre Rodriguez Carballo, aggiungendo:

 
“In questo viaggio non è solo. Vogliamo accompagnarla, anzi seguirla, come un tempo il popolo di Israele aveva seguito Mosè e da lui si era lasciato condurre. Anche noi oggi ci sentiamo come nel deserto e abbiamo bisogno di chi ci conduce al Signore”.
 
Benedetto XVI ha raccolto questo spunto pastorale, ricordando che “qui, sulle alture del Monte Nebo:

 
“The memory of Moses invites us…
La memoria di Mosè ci invita ad ‘innalzare gli occhi’ per abbracciare con gratitudine non soltanto le opere meravigliose di Dio nel passato, ma anche a guardare con fede e speranza al futuro che egli ha in serbo per noi e per il mondo intero. Come Mosè, anche noi siamo stati chiamati per nome, invitati ad intraprendere un quotidiano esodo dal peccato e dalla schiavitù verso la vita e la libertà, e ci vien data un’incrollabile promessa per guidare il nostro cammino”.
 
Un cammino che ha nel suo lungo peregrinare di Mosè nel deserto, conclusosi a pochi chilometri dalle valli promesse, ammirate e mai raggiunte, un modello e un simbolo per la Chiesa attuale:

 
“His example reminds us that we too are part…
Il suo esempio ci ricorda che anche noi facciamo parte del pellegrinaggio senza tempo del Popolo di Dio lungo la storia (...) Sappiamo che, come Mosè, non vedremo il pieno compimento del piano di Dio nell’arco della nostra vita. Eppure abbiamo fiducia che, facendo la nostra piccola parte, nella fedeltà alla vocazione che ciascuno ha ricevuto, contribuiremo a rendere diritte le vie del Signore (...) Sappiamo che Dio, il quale ha rivelato il proprio nome a Mosè come promessa che sarebbe sempre stato al nostro fianco, ci darà la forza di perseverare in gioiosa speranza anche tra sofferenze, prove e tribolazioni…”

Il Memoriale di Mosè è affidato alla Custodia francescana di Terra Santa sin dal 1932. Una presenza che ha un suo emblema nella figura di padre Michele Piccirillo, famoso archeologo francescano sepolto proprio nel Santuario sul Monte Nebo che - ricordato oggi dal Papa - “egli amò intensamente”. Sulla visita di Benedetto XVI, il nostro inviato della redazione polacca, padre Jozef Polak, ha sentito l’attuale responsabile dell’Istituto archeologico del Memoriale di Mosè, padre Carmelo Pappalardo:RealAudioMP3

R. - Lui, da qui, guarda la Terra Promessa e pochi giorni dopo vi andrà anche lui. E’ un momento di grande speranza e di grande gioia per chi, come noi Francescani, lavora per i cristiani e per la popolazione di questa terra che - come ben si sa - ha molti problemi, soprattutto politici, di integrazione per i cristiani. Quindi, la venuta del Papa è sicuramente un momento di grazia per tutti noi.

 
D. - Lei, come archeologo, sta restaurando i mosaici della Basilica, che adesso sono stati tolti. Potrebbe spiegare l’attuale situazione dei restauri?

 
R. - I nostri restauri si stanno svolgendo su due fronti: uno è la ricostruzione della copertura del tetto della chiesa, che era stata fatta nel 1964 e che necessitava di essere rifatta, per vari motivi. E quindi abbiamo approfittato di questo evento per fare un nuovo restauro di tutti i mosaici del pavimento della chiesa. Abbiamo rimosso i mosaici, che erano stati posati sul cemento: ora stiamo togliendo il cemento e quindi li rimetteremo su nuovi supporti per poi riposizionarli nella chiesa.

 
D. - Secondo lei, quali sono le speranze connesse a questo viaggio del Papa in Giordania, in Terra Santa?

 
R. - La cosa di cui si ha più bisogno è sicuramente la pace. Noi speriamo che la venuta del Papa apra i cuori di tutti, delle varie parti, soprattutto politiche, e dia una scossa vera per la pace in questa terra.

 
D. - Avete qualche segno di questa speranza? Sono i pellegrini che vengono qui, per esempio?

 
R. - Segni di questa speranza sono sicuramente i pellegrini. Nonostante le difficoltà dei primi anni seguenti al 2001, all’Intifada, durante i quali ne sono venuti pochi, ultimamente c’è una forte ripresa dei pellegrinaggi e questo sicuramente aiuta: aiuta i cristiani, aiuta la gente di qui. Un altro segno della speranza è certamente la continuità del nostro lavoro qui, fin dal 1200: da San Francesco in poi, abbiamo cercato di dare una voce alla speranza e alla pace per questi popoli, per questa terra.







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