“Prospettive Pastorali per la nuova evangelizzazione nel contesto della globalizzazione
e le sue ripercussioni sulle culture africane” è il titolo del volume presentato in
questi giorni presso la Pontificia Università Urbaniana. Il testo raccoglie gli atti
del convegno tenutosi lo scorso anno a Bagamoyo in Tanzania, con l'obiettivo di dare
un nuovo impulso alla pastorale della cultura. Quali sono gli effetti della globalizzazione
sulla cultura africana? Alessandra De Gaetano lo ha chiesto a mons. Gianfranco
Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura:
R. – Da un
lato, è sicuramente la creazione di una certa “smemoratezza” anche in loro, come è
accaduto persino nella cultura europea, cioè dimenticare sulla scia di un nuovo orizzonte
che sembra essere sempre più liberatorio e progressivo, come quello di una nuova tecnica,
di una nuova scienza, dimenticare le proprie radici, dimenticare la ricchezza del
proprio pensiero … D’altro lato, però, c’è anche un effetto positivo che è quello
di trovare un linguaggio comune in modo tale che il continente africano, come altri
continenti, possa interloquire con la complessità della modernità. D.
– Nella prefazione al libro lei fa riferimento al termine “globalizzazione” che si
sta evolvendo, nella cultura africano, e sta diventando “glocalizzazione”: in che
senso? R. – Questo è forse un auspicio che sorge dalla base
stessa, dal terreno stesso, diremmo, di questi continenti. Io non direi soltanto l’Africa,
ma anche l’Asia – per esmepio – che hanno sentito questo vento impetuoso della globalizzazione
che soffiava soprattutto dagli Stati Uniti e, se si vuole, dall’Europa; e che cercava
di agitare la foresta delle culture locali, di trasformarle e quale volta, persino,
di abbatterle, queste foreste, introducendo un nuovo panorama omogeneo, forse anche
un po’ desertificato e grigio, comandato dalle grandi leggi dell’economia, della finanza,
della scienza, della tecnica. Detto questo, però, dobbiamo dire che le foreste hanno
resistito – giustamente – a questo vento e hanno offerto il loro contributo di ombra,
di verde, di fertilità, di fecondità dando appunto le caratteristiche locali. Questo
non cancella certo la dimensione della mondializzazione, però conserva ancora le identità
proprie specifiche nazionali e individuali. D. – Di fronte alla
perdita di valori che attualmente sta vivendo l’Occidente, l’Africa invece dimostra
di avere un’identità, di avere dei valori. Quali, in particolare? R.
– Innanzitutto, io direi, un primo grande valore che l’Africa propone lo vorrei esprimere
attraverso un proverbio swahili che dice, appunto: “Bisogna sempre agganciare una
stella all’aratro”, cioè ci ricorda sempre che non esiste soltanto la produttività:
esiste, certamente, l’aratro, ma c’è dall’altra parte lo splendore dell’oltre, del
mistero, della trascendenza. Ecco, allora, un secondo valore: la capacità di parlare
in modo simbolico. C’è, poi, una filosofia, una visione della vita, una spiritualità
che è propria dell’Africa e questa spiritualità, forse, viene ricordata a noi occidentali
che abbiamo perso quella ricchezza che era propria dei venti secoli della nostra tradizione
cristiana e della stessa tradizione greco-latina.