I giovani palestinesi attendono con gioia la visita del Papa in Terra Santa
Si avvicina il viaggio del Papa in Terra Santa e proprio nei giorni scorsi un gruppo
di ragazzi palestinesi di Beit-Sahour, cittadina vicino a Betlemme, si è recato ad
Andria, centro pugliese gemellato con Beit-Sahour. Poi il trasferimento a Roma e l’incontro
con Benedetto XVI all’Udienza Generale. Li ha accompagnati, in questo tour italiano,
padre Faysal Hijazen. Al sacerdote Giancarlo La Vella ha chiesto come
i giovani palestinesi stanno vivendo questo difficile momento della crisi con Israele:
R. – Un
vivere difficile: ai giovani manca la libertà, c’è il muro che chiude tutto. E’ una
situazione difficile quella dei palestinesi che non possono andare in Israele o a
Gerusalemme. Non possono nemmeno trasferirsi con facilità da una città all’altra:
da Betlemme a Ramallah ci sono cinque checkpoint per poter arrivare. In parrocchia
proviamo a fare moltissime attività per loro.
D.
– Con quale spirito questa realtà giovanile, e non solo, attende l’arrivo del Papa?
R.
– I nostri giovani lo aspettano con grande gioia; aspettano, con la sua presenza,
di approfondire la fede. Siamo una minoranza nel Paese: in Giordania siamo il due
per cento, in Palestina solo l’uno per cento ed in Israele il due per cento. Dunque,
come un piccolo gregge, abbiamo bisogno di un conforto e il nostro Papa ci aiuterà.
Vogliamo che il Papa parli della pace, il popolo palestinese chiede i suoi diritti
di avere il suo stato come c’è lo stato israeliano. Vogliamo che questi due popoli
vivano in pace.
D. – C’è una parte palestinese che
però avanza queste richieste attraverso il lancio di missili, attraverso il terrorismo…
R.
– Noi diciamo: “La forza non arriverà mai ad avere la pace”. Anche l’ingiustizia non
porterà mai alla pace. Dunque, noi chiediamo alla comunità internazionale, all’Onu,
alla Comunità europea, di spingere gli israeliani ed i palestinesi ad arrivare veramente
ad una soluzione reale che piace a tutti, affinché ciascuno possa vivere nel suo Stato
con tutta la sua libertà.
D. – Il Papa, più di una
volta, già in passato, ha rivolto un appello per la pace per il Medio Oriente, per
la Terra Santa. Con quale spirito, la comunità cattolica riceve questi pensieri del
Papa?
R. – Lo apprezziamo molto perché il Vaticano
è sempre stato a favore della pace in Palestina. Apprezziamo che sia Benedetto XVI,
sia Papa Giovanni Paolo II, abbiano parlato tanto per realizzare questa pace. Il Papa
l’ha già detto tante volte.
D. – In questo caso,
siete voi pastori che dovete agire in prima persona, diffondere il Vangelo, sia pure
con le difficoltà di diffonderlo in un luogo dove ci sono altre due religioni preponderanti…
R.
– La religione cristiana è una religione che spinge verso la pace: amare il nemico
ma senza negare i propri diritti. Dunque noi non abbiamo nessun problema con gli israeliani,
non abbiamo nessun problema con i palestinesi musulmani. Spingiamo verso la tolleranza,
verso il dialogo e, come ha detto Giovanni Paolo II, abbiamo bisogno di ponti, non
di muri; vogliamo creare ponti di fratellanza, ponti di giustizia, ponti che si basano
sui diritti umani della persona, sia israeliana che palestinese. Vogliamo un riconoscimento
reciproco tra il popolo palestinese ed il popolo israeliano.