Iraq. L’arcivescovo Sako: “No ai ghetti per i cristiani!"
“Un ghetto per i cristiani porterebbe inevitabilmente con sé scontri settari, religiosi
e politici senza fine, la nostra stessa libertà ne verrebbe diminuita. Noi cristiani
siamo una componente fondamentale della storia e della cultura irachena. Siamo una
presenza significativa della vita sociale e religiosa del Paese e ci sentiamo iracheni
a tutti gli effetti” spiega mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk dei Caldei, che
ha rilasciato un’intervista al sito “Baghdadhope”, rilanciata dall’Osservatore Romano.
“Abbiamo resistito a minacce e a persecuzioni e abbiamo comunque trovato il modo per
continuare a vivere e testimoniare il Vangelo nella nostra terra, senza mai cessare
di dimostrarci cittadini leali, anche a prezzo del sangue dei nostri padri, fratelli
e figli” – continua mons.Sako, che aggiunge: “Reclamare la creazione di un ghetto
è soprattutto contro il messaggio cristiano che ci vuole sale e lievito in mezzo a
tutta la pasta dell’umanità. Ciò che invece costituisce un bene per la comunità cristiana
di questo Paese è incoraggiare l’unità della Nazione, la democrazia, la convivenza
pacifica, la cultura pluralistica, la promozione del riconoscimento dell’altro come
persona umana nel rispetto concreto della sua dignità”. Qualcuno infatti aveva proposto
la realizzazione nella piana di Ninive di una zona autonoma “Safe Haven” per i cristiani.
L’intervento dell’arcivescovo si inserisce nell’ambito del processo di normalità invocato
non solo dai cristiani ma anche dai musulmani e iracheni. Qualche “segno” già si legge
negli eventi locali, come le prime comunioni di 43 bambini, che quest’anno sono state
anticipate in alcune chiese. “E’ stata una cerimonia davvero bella, c’erano centinaia
di persone. - ha detto il parroco, padre Douglas Al Bazi della chiesa caldea di Mar
Eliya a Baghdad - La situazione sembra migliorare – continua il religioso – non si
può dire che sia tornata alla normalità, ma non dobbiamo dimenticare che abbiamo visto
l’inferno e che anche vedere sorridere i bambini ci riempie di felicità”. Le prime
comunioni si sono tenute in occasione delle festività pasquali tenutesi sia nelle
chiese cattoliche che in quelle ortodosse. Solitamente l’incontro dei piccoli con
Gesù Eucaristia avviene dopo la chiusura delle scuole. Stavolta, la “festa” è stata
anticipata al mese di aprile. “Perché subito dopo la fine della scuola – conclude
padre Douglas – molte famiglie vanno nel nord del Paese perché qui fa troppo caldo.
A Baghdad, l’erogazione della corrente elettrica è ancora limitata, tutto ancora dipende
dai generatori di corrente, e il carburante per farli funzionare, è caro e difficile
da trovare. Ecco perché chi può va al nord”. Nel futuro del Paese, la speranza può
venire, secondo l’arcivescovo Sako, proprio “dai cristiani della diaspora, ma non
devono sostituirsi a noi. Abbiamo bisogno di essere aiutati affinché ci venga riconosciuto
il diritto di essere protagonisti della nostra vita. Chi si trasforma in nostro tutore,
alla fine fa il gioco di chi vorrebbe ancora mantenerci in uno stato di minoranza.
Nel contesto iracheno di oggi chiedere un’enclave per i cristiani è un gioco politico
molto pericoloso: sarà certamente strumentalizzato e si rivolterà contro di noi”.
(A.V.)