2009-04-24 15:48:46

Iraq. L’arcivescovo Sako: “No ai ghetti per i cristiani!"


“Un ghetto per i cristiani porterebbe inevitabilmente con sé scontri settari, religiosi e politici senza fine, la nostra stessa libertà ne verrebbe diminuita. Noi cristiani siamo una componente fondamentale della storia e della cultura irachena. Siamo una presenza significativa della vita sociale e religiosa del Paese e ci sentiamo iracheni a tutti gli effetti” spiega mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk dei Caldei, che ha rilasciato un’intervista al sito “Baghdadhope”, rilanciata dall’Osservatore Romano. “Abbiamo resistito a minacce e a persecuzioni e abbiamo comunque trovato il modo per continuare a vivere e testimoniare il Vangelo nella nostra terra, senza mai cessare di dimostrarci cittadini leali, anche a prezzo del sangue dei nostri padri, fratelli e figli” – continua mons.Sako, che aggiunge: “Reclamare la creazione di un ghetto è soprattutto contro il messaggio cristiano che ci vuole sale e lievito in mezzo a tutta la pasta dell’umanità. Ciò che invece costituisce un bene per la comunità cristiana di questo Paese è incoraggiare l’unità della Nazione, la democrazia, la convivenza pacifica, la cultura pluralistica, la promozione del riconoscimento dell’altro come persona umana nel rispetto concreto della sua dignità”. Qualcuno infatti aveva proposto la realizzazione nella piana di Ninive di una zona autonoma “Safe Haven” per i cristiani. L’intervento dell’arcivescovo si inserisce nell’ambito del processo di normalità invocato non solo dai cristiani ma anche dai musulmani e iracheni. Qualche “segno” già si legge negli eventi locali, come le prime comunioni di 43 bambini, che quest’anno sono state anticipate in alcune chiese. “E’ stata una cerimonia davvero bella, c’erano centinaia di persone. - ha detto il parroco, padre Douglas Al Bazi della chiesa caldea di Mar Eliya a Baghdad - La situazione sembra migliorare – continua il religioso – non si può dire che sia tornata alla normalità, ma non dobbiamo dimenticare che abbiamo visto l’inferno e che anche vedere sorridere i bambini ci riempie di felicità”. Le prime comunioni si sono tenute in occasione delle festività pasquali tenutesi sia nelle chiese cattoliche che in quelle ortodosse. Solitamente l’incontro dei piccoli con Gesù Eucaristia avviene dopo la chiusura delle scuole. Stavolta, la “festa” è stata anticipata al mese di aprile. “Perché subito dopo la fine della scuola – conclude padre Douglas – molte famiglie vanno nel nord del Paese perché qui fa troppo caldo. A Baghdad, l’erogazione della corrente elettrica è ancora limitata, tutto ancora dipende dai generatori di corrente, e il carburante per farli funzionare, è caro e difficile da trovare. Ecco perché chi può va al nord”. Nel futuro del Paese, la speranza può venire, secondo l’arcivescovo Sako, proprio “dai cristiani della diaspora, ma non devono sostituirsi a noi. Abbiamo bisogno di essere aiutati affinché ci venga riconosciuto il diritto di essere protagonisti della nostra vita. Chi si trasforma in nostro tutore, alla fine fa il gioco di chi vorrebbe ancora mantenerci in uno stato di minoranza. Nel contesto iracheno di oggi chiedere un’enclave per i cristiani è un gioco politico molto pericoloso: sarà certamente strumentalizzato e si rivolterà contro di noi”. (A.V.)







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