Nello Sri Lanka i ribelli tamil continuano ad opporre una strenua resistenza all’avanzata
dell’esercito di Colombo. La situazione è drammatica soprattutto per i civili che,
in fuga dalle violenze, si rifugiano a migliaia in campi di raccolta ormai al collasso.
Nella regione del Vanni,14 sfollati sono rimasti uccisi nel bombardamento della chiesa
di Sant'Antonio a Valaignarmadam in cui si erano rifugiati: due sacerdoti cattolici
sono rimasti gravemente feriti mentre portavano assistenza umanitaria. A uno di essi,
padre T.R. Vesanthaseelan, direttore della Caritas di Vanni, è stata amputata una
gamba. Di questa gravissima emergenza Giancarlo La Vella ha parlato con padreBernardo Cervellera, direttore dell’agenzia missionaria del Pime, AsiaNews:
R. – La situazione
è disperata, perché praticamente questa gente è sottomessa ai fuochi incrociati degli
uni e degli altri. Cercano di lasciare le zone di conflitto, fuggendo dove è possibile.
L’esercito accusa i ribelli tamil di usare come scudo i civili, ma l’esercito stesso
li prende, li mette in campi profughi, da dove non possono uscire e dove sono quindi
in qualche modo prigionieri di questa situazione. Mancano viveri, mancano i vestiti.
Un sacerdote ieri ci diceva che questa gente in fuga ha soltanto i vestiti che indossa,
quindi ha bisogno di tutto: ha bisogno di cibo, ha bisogno di acqua, di servizi igienici,
e tanti altri beni di prima necessità. Quindi è una situazione che ha raggiunto un
livello di violenza veramente spaventoso!
D. – Secondo
molti osservatori, ormai si tratta di una guerra senza senso: nonostante l’appello
dell’Onu ai tamil di deporre le armi, i ribelli continuano questa guerra che probabilmente
li vedrà sconfitti …
R. – Sì: prospettive non ce
ne sono tante. Da quando Rajapakse è diventato presidente dello Sri Lanka, ha detto
di voler risolvere in modo definitivo il problema dei ribelli tamil. Il punto è che
lo sta risolvendo con questa guerra spietata. Certo, probabilmente, potrà risolvere
la situazione dal punto di vista politico, ma, se non trovano il modo di far partecipare,
di lasciare esprimere l’etnia tamil all’interno della società dello Sri Lanka, temo
che tra qualche anno ci saranno di nuovo rivolte e violenze, perché il problema è
garantire un’uguale dignità ed un’uguale partecipazione a questa minoranza.
D.
– E’ definitivamente tramontata la possibilità di negoziati?
R.
– Rajapakse ha fatto di tutto per bloccare il dialogo, che era iniziato con il patrocinio
della Norvegia alcuni anni fa, ma attualmente non se ne sente proprio parlare. E i
due schieramenti non fanno altro che accusarsi continuamente dei crimini più disgustosi
e più umilianti verso la popolazione civile.
Cresce
di ora in ora, in Sri Lanka, il numero di vittime civili nella guerra in corso tra
il governo e i separatisti del Tigri Tamil del “Liberation Tigers of Tamil Eelam”.
Il ministero della Difesa di Colombo parla di oltre 100mila rifugiati. Decine di migliaia
i civili rimasti intrappolati negli scontri: secondo alcune stime si tratterebbe di
almeno 120mila persone. Aumenta intanto anche il numero di feriti che giungono all’ospedale
di Vavuniya, vicino la zona del conflitto. Il direttore generale di Medici Senza Frontiere,
Kostas Moschochoritis, lancia un appello al microfono di Roberta Rizzo:
R. – Come
Medici Senza Frontiere facciamo quest’appello a tutte le parti del conflitto, affinché
venga permesso alle agenzie umanitarie di portare i feriti fuori dalla regione di
Vani e di portarli negli ospedali; che i civili siano salvati è una loro responsabilità.
In questo momento, tutti i nostri sforzi sono concentrati a Vavuniya, dove c’è l’ospedale
a sud della zona dei combattimenti che supportiamo; lavoriamo anche nei campi degli
sfollati, che sono circa 50mila persone. La situazione si evolve di ora in ora, perché
i bombardamenti continuano.
D. – Quante sono le equipe
mediche al lavoro, in questo momento e cosa stanno facendo esattamente?
R.
– Abbiamo equipe mediche ma anche equipe di psicologi, perché il trauma subito da
questa popolazione è davvero pesante.
D. – Quanti
sono gli intrappolati ed i feriti che giungono da voi, nell’ospedale di Vavuniya?
R.
– Prima dell’ultimo avanzamento de combattimenti – diciamo una settimana fa – erano
da 150 a 200mila persone, civili, intrappolati in una zona di soli 20 chilometri quadrati;
ci sono piccoli bus che arrivano di continuo a Vavuniya, portando feriti. In questo
momento, ci sono 1.700 feriti nell’ospedale di Vavuniya – che aveva una capacità di
soli 400 pazienti -. Il 90% di questi feriti sono ricoverati per via di ferite da
arma da fuoco, di granate, anche di mine; quelli che, per esempio, hanno avuto una
ferita grave sulla testa, non ci raggiungono.