Bosnia: vicino l'accordo sulla questione dei cattolici croati
“I rifugiati hanno perso le proprie case e quando, nonostante questo, decidono di
tornare, spesso si vedono costretti a vivere senza acqua né elettricità. Non trovano
nemmeno lavoro, e non di rado la gente fa capire loro che sono persone non gradite”.
E’ quanto ha affermato mons. Franjo Komarica, vescovo di Banja Luka, che da anni chiede
aiuto per i rifugiati di guerra croati, desiderosi di tornare nella propria terra.
Il presule ha anche dichiarato che il “Paese si è trasformato in una residenza per
anziani”, ma a dare speranza alle sue preghiere, sarebbero ora le intenzioni espresse
di recente dal governo della Bosnia-Erzegovina di “prendere sul serio le proposte
avanzate dalla Chiesa Cattolica, adottando le decisioni del caso”. Ne dà notizia,
in una nota all’agenzia Zenit, l’Associazione cattolica internazionale “Aiuto alla
Chiesa che Soffre”, opera pontificia nata nel 1947. A dare corpo alla possibilità
di una concreta apertura da parte del governo bosniaco alle proposte cattoliche, per
il ritorno dei cattolici croati in patria, un summit avvenuto il mese scorso, con
politici di spicco della Repubblica serba e rappresentanti di altre etnie. “A tredici
anni dalla fine del conflitto - ha detto il vescovo Komarica - pochissimi croati cattolici
hanno fatto ritorno e la maggior parte di quelli che sono rimasti è costituita da
anziani”. Prima del conflitto in Bosnia Erzegovina, che provocò 243 mila morti dal
1992 al 1995, i cattolici erano 220 mila. Oggi, nelle tre diocesi, se ne contano appena
11.600. Il presule ha fatto notare anche come soltanto il 2% degli aiuti totali siano
andati ai croati proprio perchè “non è emersa alcuna volontà politica, né all'interno
del Paese né da parte della comunità internazionale, di sostenere il ritorno dei rifugiati
cattolici”. Oggi alla luce dell’apertura politica del governo bosniaco si torna a
sperare, con l’augurio che agli intenti seguano presto i fatti. (A.V.)