Oggi, dunque, ricorre il quarto anniversario dell’elezione di Benedetto XVI. In questi
quattro anni il Papa ha compiuto 11 viaggi internazionali e 12 italiani, ha creato
in due Concistori 38 nuovi cardinali in rappresentanza di tutti i continenti, ha scritto
due Encicliche, un’Esortazione apostolica sull’Eucaristia, il libro “Gesù di Nazaret”
e centinaia di testi tra discorsi, lettere, messaggi e omelie. Tra gli eventi storici
la visita ad Auschwitz, alla Moschea Blu in Turchia, il discorso all’Onu. Ma al di
là di questi dati e numeri, il Pontificato di Benedetto XVI si segnala per un impegno
costante e silenzioso: l’annuncio quotidiano di una Parola che salva. Il servizio
di Sergio Centofanti.
Il Pontificato
di Benedetto XVI si può riassumere nelle parole pronunciate all’Angelus del 15 marzo
scorso poco prima del suo viaggio in Africa: “Parto – aveva detto il Papa - con la
consapevolezza di non avere altro da proporre e donare a quanti incontrerò se non
Cristo e la Buona Novella della sua Croce, mistero di amore supremo, di amore divino
che vince ogni umana resistenza e rende possibile persino il perdono e l’amore per
i nemici”. Parole che riecheggiano l’Angelus del 18 febbraio 2007:
“L’amore
del nemico costituisce il nucleo della ‘rivoluzione cristiana’, una rivoluzione non
basata su strategie di potere economico, politico o mediatico. La rivoluzione dell’amore,
un amore che non poggia in definitiva sulle risorse umane, ma è dono di Dio che si
ottiene confidando unicamente e senza riserve sulla sua bontà misericordiosa. Ecco
la novità del Vangelo, che cambia il mondo senza far rumore. Ecco l’eroismo dei ‘piccoli’,
che credono nell’amore di Dio e lo diffondono anche a costo della vita”.
Quella
di Benedetto XVI è una catechesi quotidiana, semplice ma profonda, chiara e puntuale,
che scorre in modo lineare sui binari della verità e dell’amore e da cui traspare
il carattere distintivo della sua personalità: una delicatezza d’animo e una lucidità
di pensiero che fa di lui un “pastore mite e fermo” in uno stile sobrio e sereno.
E’ un Papa che raggiunge il cuore dei problemi e costringe a pensare. Sfida la modernità
ad ampliare la ragione, a usare laicamente il dubbio in un mondo che “dicono” sempre
più dominato da un pensiero unico. Lo abbiamo visto recentemente: ha osato mettere
in crisi il dogma moderno del preservativo. Al di là delle ormai costanti deformazioni
mediatiche che fanno dire al Pontefice quello che non dice – e questo costringe alla
necessaria fatica di andare alle fonti - il suo pensiero ha spiazzato molti. Eppure
i dati stanno dalla sua parte: in Africa, dove si è puntato soprattutto sul preservativo
l’Aids è aumentato. E’ diminuito dove si è puntato sulla fedeltà matrimoniale e l’astinenza.
Dove sono i milioni di morti che sarebbero causati in Africa da quella che viene definita
“inaccettabile” predicazione della Chiesa? Il Papa ha spiegato le vere cause già durante
il primo anno del suo Pontificato: il bieco “commercio delle armi”, le guerre alimentate
dagli “interessi delle grandi potenze”, “lo sfruttamento dei tesori di questa terra”,
“gli abusi coloniali che continuano”, mentre la Chiesa ha il 30 per cento dei centri
di cura per l’Aids e con i suoi missionari e i suoi volontari lavora ogni giorno al
fianco dei più poveri. L’Africa – ha detto - “ha bisogno – dopo le distruzioni che
vi abbiamo portato dall’Europa – del nostro fraterno aiuto”. Il Papa invita soprattutto
i giovani a pensare fuori dal coro, a interrogarsi davvero su Dio, a cercare il suo
volto:
“Cari giovani amici – quanto è importante oggi proprio questo:
non lasciarsi semplicemente portare qua e là nella vita; non accontentarsi di ciò
che tutti pensano e dicono e fanno. Scrutare Dio e cercare Dio. Non lasciare che la
domanda su Dio si dissolva nelle nostre anime. Il desiderio di ciò che è più grande.
Il desiderio di conoscere Lui – il suo Volto…” (Messa per la Domenica delle Palme
del primo aprile 2007).
Con particolare intensità Benedetto XVI
svolge il suo ministero per l’unità della Chiesa. Nella recente Lettera ai vescovi
di tutto il mondo riguardo alla remissione della scomunica dei vescovi consacrati
da mons. Lefebvre (resa nota il 12 marzo scorso) si dice “rattristato del fatto che
anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose,
abbiano pensato” di doverlo “colpire con un’ostilità pronta all’attacco”. Ricorda
a quelli che “si segnalano come grandi difensori del Concilio” che “chi vuole essere
obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non
può tagliare le radici di cui l’albero vive”. E in una Chiesa dove talvolta anche
oggi purtroppo – sottolinea - ci si morde e ci si divora per “una libertà mal interpretata”
invita a “imparare la priorità suprema: l’amore”. Poi nella Messa Crismale di questo
Giovedì Santo, cita le parole di Nietzsche che disprezza “l’umiltà e l’obbedienza
come virtù servili”, e chiama i sacerdoti ad un esame di coscienza: se si mira alla
propria autorealizzazione, alla propria volontà, o se si vuole seguire Cristo; se
si vive davvero di Parola di Dio o se piuttosto non ci si lascia guidare dalle parole
del mondo che s’impongono come “opinioni predominanti”. Ritorna alla mente la preghiera
elevata dal Benedetto XVI durante la Messa di inizio Pontificato, il 24 aprile 2005:
“Pregate per me, perché io impari ad amare sempre più il suo gregge
– voi, la Santa Chiesa, ciascuno di voi singolarmente e voi tutti insieme. Pregate
per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi. Preghiamo gli uni per gli
altri, perché il Signore ci porti e noi impariamo a portarci gli uni gli altri”.