Sud Corea: per i vescovi è insufficiente il passo del governo per limitare gli aborti
Un piccolo, anche se insufficiente, passo avanti verso la cultura della vita. Così
la Chiesa sud-coreana giudica la recente decisione del governo di ridurre da 28 a
24 settimane di gestazione il limite legale entro cui potere interrompere la gravidanza.
La decisione è stata annunciata la settimana scorsa dal Ministero della Salute, del
Welfare e della Famiglia, che ha proposto anche di escludere l’emofilia e l’epilessia
dalla lista delle malattie genetiche per le quali l’aborto è consentito. “Nonostante
sia ancora lontana dall’idea della Chiesa sul rispetto della vita del feto, questa
iniziativa può essere vista come uno sforzo da parte del governo per affermare la
cultura della vita”, ha dichiarato all’agenzia Ucan padre Casimir Song Yul-sup, Segretario
della Commissione per le attività pro-vita della Conferenza episcopale sud-coreana
(CBCK). Anche per padre Hugo Park Jung-woo, segretario della Commissione per la vita
dell’arcidiocesi di Seoul, l’iniziativa è comunque insufficiente: “La posizione della
Chiesa sull’aborto è chiara e la mossa del governo di per sé non significa granché
finché la legge permette gli aborti”, ha detto il sacerdote. L’aborto è legale in
Corea del sud dal 1973 ed è attualmente consentito entro la 28ª settimana in casi
di incesto, violenza, di alcune malformazioni o malattie congenite del feto o in caso
di pericolo per la vita della madre. Secondo i dati a disposizione della Chiesa locale
sarebbero almeno 1,5 milioni gli aborti praticati ogni anno nella Corea del Sud. Una
piaga contro cui i vescovi coreani si sono sempre battuti strenuamente, come hanno
fatto contro la pena di morte e le manipolazioni genetiche che comportino la distruzione
di embrioni umani. (L.Z.)