Sisma in Abruzzo, da domani parziale ripresa delle attività. Inagibile il 30% degli
edifici
La notte tra domenica e lunedì di sette giorni fa, l’Abruzzo viveva il terrore di
una violenta e distruttiva scossa di terremoto, la peggiore di uno sciame sismico
in atto da mesi nella regione. Dopo una settimana - tributate le esequie alle 294
vittime del sisma, le ultime due questa mattina - per i 55 mila senza casa si cerca
ora di convivere con la condizione di precarietà e di guardare alla ricostruzione.
Oggi è purtroppo il maltempo a complicare sia la vita nelle tendopoli, sia l’opera
di rimozione delle macerie, come pure il lavoro degli ingegneri civili che eseguono
le verifiche tecniche sugli edifici: dopo un migliaio di controlli, la Protezione
civile ha fatto sapere che il 50% è agibile e il 30% totalmente inagibile e un 20%
parzialmente agibile ma bisognoso di minimi interventi di restauro. Nelle zone del
terremoto si trova l’inviato del quotidiano Avvenire, Luca Liverani. Claudia
Di Lorenzi gli ha chiesto un aggiornamento sulla situazione:
R. - Già
ieri, nelle tendopoli, gli aquilani sfollati hanno cercato comunque di festeggiare
la Pasqua, per quanto possibile, cucinando i piatti tradizionali, facendo un pranzo
di Pasqua come se non ci fosse il sisma. Oggi, finito il recupero delle vittime, si
inizia anche a pensare alla messa in sicurezza dei beni. Io vengo dalla piazza del
Duomo, al centro de L’Aquila, e con il vescovo, mons. Molinari, abbiamo assistito
al recupero dei beni dell’episcopio: opere d’arte anche della fine del Quattrocento,
un Crocifisso, una mitria episcopale, arredi da Messa, perché verranno temporaneamente
portati a Roma in vista - comunque - di riportarli ovviamente tutti a L’Aquila per
un museo diocesano per queste opere d’arte. E’ questa un po’ l’ottica di questa giornata:
cercare di ricominciare, di riprendere in qualche modo a guardare in avanti, a guardare
al futuro. Oggi, il vescovo sta visitando una parrocchia moderna, ma anch'essa danneggiata,
inagibile: il parroco ha dovuto allestire una tenda all’esterno.
D.
- Il sisma ha raggiunto con la sua potenza anche centri non direttamente prossimi
a L’Aquila. Cosa sta accadendo in queste diocesi?
R.
- Le diocesi dell’Abruzzo sono tutte vicine alla diocesi de L’Aquila, che è quella
più ferita, nonostante anch’esse abbiano subito dei danni. Sulmona, per esempio, ha
registrato parecchi danni e anche ad Avezzano, mi diceva il vescovo, mons. Santoro,
il 30 per cento delle chiese sono chiuse, inagibili. In un paese, a Celano, addirittura
sono tutte chiuse. Nonostante ciò, si stanno prodigando per aiutare la diocesi de
L’Aquila: per esempio, gli studenti sopravvissuti, fuggiti dalla Casa dello Studente,
sono ospitati in un santuario della diocesi di Avezzano e sono studenti - appunto
- che non possono tornare a casa perché sono studenti indiani, pakistani, tra l’altro
anche di diverse confessioni religiose: ci sono induisti, musulmani… Ma nonostante
abbiano i loro problemi, i loro danni, lo ripeto, le diocesi vicine si prodigano per
stare accanto alla diocesi de L’Aquila.
Il sindaco de
L’Aquila, Massimo Cialente, è certamente tra le personalità istituzionali più
impegnate in questi giorni nell’area del sisma. Il nostro inviato, Giancarlo La
Vella, gli ha chiesto se la fase della prima emergenza possa considerarsi conclusa:
R. - Non
completamente, anche perché adesso dobbiamo completare la fase della "urbanizzazione"
delle tendopoli. In alcune tendopoli è tutto perfetto, ormai stanno chiedendoci le
antenne per le televisioni: siamo a questo. C’è già il riscaldamento, le docce… In
altre tendopoli dobbiamo ancora completare l'allestimento, ma si consideri che sono
in tutto 60. Io spero che le feste di questi giorni siano proprio una Pasqua di resurrezione,
perché c’è una grande voglia di ripartire, e spero si riesca a trovare anche in una
fase così drammatica lo spirito della Pasqua, che è sempre di serenità.
Nonostante
la terra continui a tremare - circa 10 mila le scosse totali registrate dal 6 aprile
- da domani saranno di nuovo al lavoro tutti i dipendenti comunali de L’Aquila - tranne
quelli colpiti da lutti particolarmente gravi - mentre nella tendopoli di Poggio Picenze
i bambini delle elementari potranno riprendere a studiare. Sono i primi inizi di un
ritorno alla normalità in una regione che nel suo complesso ha subito col terremoto
del 6 aprile un ulteriore colpo ad una situazione complessiva poco rosea dal punto
di vista economico. Alessandro Guarasci ha domandato a Giovanni Smargiassi,
presidente della sezione abruzzese dell’Ucid, l'Unione cristiana imprenditori dirigenti,
quali settori abbiano più risentito di questa emergenza:
R. - Il commercio,
l’artigianato e anche un po’ l’agricoltura da quello che abbiamo sentito. Io ho sentito
addirittura che le Agenzie delle entrate sono chiuse. E’ stata colpita veramente la
città.
D. - Il governo inizialmente è intervenuto
con uno stanziamento, ad esempio, di 800 euro al mese per i lavoratori autonomi...
R.
- E questo è interessante, perché è la prima volta che si fa qualcosa di simile.
D.
- Secondo lei, questi interventi bastano oppure bisognerà approntare un piano straordinario
di ammortizzatori sociali?
R. - Quello sicuramente,
perché abbiamo visto che questo è dedicato soltanto alle attività private. C’è qualcuno,
qualche imprenditore, che continua a dare lo stipendio anche agli operai che non lavorano,
ma la questione è irrilevante, è solo a livello personale. Sarebbe opportuno allargare
un po’ i cordoni della borsa in questo senso.
D.
- La regione era già stata duramente provata dalla crisi economica che ha colpito
tutto il mondo?
R. - La regione era in crisi principalmente
per le grosse aziende. Ci sono i rinnovi dei contratti a termine che non sono stati
più fatti, c’è stato qualche licenziamento e un po’ di cassa integrazione. A livello
artigianale o della piccola impresa ha dato invece segni di resistenza maggiore.
D.
- Presidente Smargiassi, in questo momento, però, quello che sembra fondamentale è
il ruolo delle banche, ovvero coloro che detengono i capitali. Bisognerà prevedere
una maggiore elasticità sia nei prestiti alle famiglie, sia alle imprese, in questo
momento, secondo lei?
R. - Sicuramente, questo è
uno degli aspetti importanti, perché io ho notato veramente che è ristretto il margine
per accedere al credito. Le banche, anche quelle locali, non erano propense né a fare
i mutui né i leasing.
D. - Ci sarà bisogno anche
di meno burocrazia per ripartire?
R. - Sono necessari
i controlli, affinché tutto vada fatto per bene, e forse una burocrazia meno attenta
alle procedure, ma più alla sostanza.
In questi giorni
di estenuante lavoro da parte di Protezione civile, Vigili del Fuoco, volontari e
di tutte le Forze dell’ordine, molti esempi di dedizione e di generosità sono emersi
nei vari contesti dove si cerca di alleviare il più possibile i disagi dei terremotati.
Ma la generosità può nascere anche nel cuore di chi ha perso tutto e vive in condizioni
di sfollato. E’ il caso di un giovane, Marco, che racconta la sua esperienza
al microfono di Giancarlo La Vella:
R. - Un po’
di sconforto c’è sempre, però la voglia di ricominciare è tanta. Non siamo andati
via nonostante tutti gli inviti che ci hanno rivolto gli amici: non ci sembra il caso
di abbandonare tutto e di andare via.
D. - Rimanere
ancorati alla propria terra ha un particolare significato, vuol dire rimanere ancorati
a che cosa?
R. - Alla speranza di ricominciare tutto.
Certo, sono crollate molte speranze, molti sogni che c’erano prima. Ma speriamo di
realizzare tutti i sogni che avevamo.
D. - Tu stai
arricchendo la tua presenza nella tendopoli dando una mano ai volontari: una spinta
in più per ricominciare?
R. - Sì. Anche per non pensarci:
il primo e il secondo giorno sono stati abbastanza pesanti, la sera, in macchina per
dormire. Però, fa piacere avere incontrato tanti ragazzi, tanti amici che ci hanno
aiutato tanto e noi vogliamo contraccambiare in qualche maniera.
La
testimonianza di questo giovane abruzzese è emblematica di una capacità di sopportazione
e di reazione al disastro da parte dei terremotati abruzzesi, che ha molto colpito
i soccorritori e che più volte è stata enfatizzata in questi giorni. Un aspetto sul
quale si sofferma - nell'intervista di Federico Piana - il vescovo di Sulmona-Valva,
mons. Angelo Spina, altra diocesi che ha subito seri danni a causa del sisma:
R. - La gente
d’Abruzzo ha in se stessa un Dna fortissimo: hanno tutti un’alta dignità, quindi trovano
in se stessi la forza per rinascere, perché questa terra è stata provata da tanti
terremoti, da tante calamità e poi anche da un fenomeno molto vasto, che è stato quello
dell'emigrazione. Io sono convinto che il temperamento di queste persone già sia pronto
per la ricostruzione. E poi, è un popolo ricco di fede, ricco di amore per Dio, e
allora la fede proietta luce nuova, riapre alla speranza. E’ proprio questa, penso,
la molla per rinascere.
D. - Ai suoi fedeli, che
nel proprio intimo avranno gridato al Signore: “Perché mi hai abbandonato?”, cosa
può dire?
R. - E’ stata forte, questa parola e questo
interrogativo, perché nella mia diocesi di Sulmona ho 28 paesi segnati dal terremoto.
Le chiese sono chiuse, quindi non sono agibili, ci sono in alcuni paesi - per fortuna
non i morti ma gli sfollati. E allora: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”,
io direi che è proprio il grido di chi chiede aiuto. E qui c’è il silenzio di Dio.
Noi sappiamo che Dio sta in silenzio quando il Figlio prega così. Benedetto XVI ha
detto nella sua prima enciclica Deus caritas est che Dio volge contro se stesso
questo danno, questa sofferenza, proprio per farci capire che ci ama. Gesù che grida
“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, pone poi tutto nelle mani di Dio:
“Nelle tue mani consegno la mia vita”. E’ il silenzio di Dio che sta soffrendo per
noi: è questo il segno che ci ama e già prepara la risurrezione.
D.
- In qualche modo, le persone che stanno soffrendo stanno condividendo le sofferenze
patite da Gesù sulla Croce?
R. - Quando uno dice:
ma dov’è Dio, in questo momento?, io rispondo che è proprio qui, nel suo Corpo mistico
che è la Chiesa, in queste membra doloranti, in queste sofferenze atroci che si vivono:
mancanza di casa, disorientamento, freddo, il portare sul proprio corpo le ferite
di un terremoto, la lacerazione della morte. Ecco, Dio sta qui, sta con noi, non è
lontano.
D. - Soprattutto in questi casi così drammatici
è importante la preghiera. Abbiamo visto molte persone pregare, dopo il terremoto.
Quindi, c’è una riscoperta dell’importanza della preghiera?
R.
- Pregare è lasciarsi amare da Dio: quando si prega sentiamo fortemente l’amore di
Dio, e quello regge. Se Dio regge il mondo, regge anche noi.(Montaggio
a cura di Maria Brigini)