2009-04-09 16:31:40

Moldova: l'opposizione inizia la verifica delle liste elettorali


La commissione elettorale della Moldova ha deciso di consentire ai partiti di opposizione che contestano il risultato delle elezioni politiche di visionare le liste elettorali. Il controllo delle liste elettorali era una delle richieste dell'opposizione, secondo cui nelle elezioni di domenica molti avrebbero votato più volte, e avrebbero votato anche persone decedute. Anche ieri a Chisinau centinaia di persone hanno manifestato. Ieri sera la commissione elettorale ha confermato il successo elettorale del partito comunista, al quale è andato il 49,48% dei voti e 60 seggi su 101: larga maggioranza, tuttavia non sufficiente per l'elezione del nuovo presidente: serve, infatti, la maggioranza dei tre quinti, pari a 61 seggi. Tra i manifestanti arrestati nel corso dei disordini di ieri a Chisinau vi sono anche cittadini stranieri. Ma i disordini peggiori si sono verificati martedì, con l’assalto al Parlamento e un morto. Il ministro degli Esteri russo, Lavrov, dopo le accuse di ieri alla Romania di ingerenza, con il richiamo dell’ambasciatore, oggi ha lanciato un appello a Bucarest e all'Unione Europea a non consentire lo smantellamento dell'integrità statale della Moldova. Sui motivi di questa crisi, Giada Aquilino ha intervistato l’inviato di Avvenire Luigi Geninazzi, esperto di area ex sovietica:RealAudioMP3

R. – Dobbiamo capire questa improvvisa vampata della crisi moldova da due punti di vista, uno più recente e uno più antico. Quello più recente è la crisi economica globale che ha colpito anche la Moldova. Di fatto, questo Paese si è sempre retto sulle rimesse degli emigrati che adesso, con la crisi, hanno perso il posto di lavoro e sono tornati in patria. L’unica speranza per uscirne è rivendicando la continuità della propria cultura, della propria tradizione nazionale con quella della Romania, perché i moldavi parlano romeno, hanno una cultura neolatina. Questo è il motivo più recente. Invece, le ragioni più radicate, più profonde sono le solite tensioni dell’area ex-sovietica: da un lato, Mosca teme un’altra rivoluzione come quelle che ci sono state in Ucraina e in Georgia che porti questo Paese a staccarsi ancora di più da Mosca, e dall’altro lato – ovviamente – nella popolazione si fanno sentire le spinte, le attrattive della Romania che è un Paese povero, come noi sappiamo, rispetto agli altri dell’Unione Europea, ma è pur sempre un Paese che sta dentro i 27 della Ue.

 
D. – Ma questa crisi rischia di innescare tensioni tra Mosca e Bruxelles?

 
R. – Diciamo che è un ennesimo focolaio di tensioni accanto a tante altre. Abbiamo visto come perfino una guerra brutale, distruttiva come quella che c’è stata tra Russia e Georgia è stata praticamente già archiviata dall’Unione Europea. Ecco: ricordiamo che c’è una situazione simile a quella della Georgia, perché anche in Moldova c’è una regione separatista, la Transnistria, che vuole appunto ricongiungersi all’Unione Sovietica come l’Ossezia del Sud nei confronti della Georgia. Anche se qui la cosa è molto diversa perché a Chisinau non comanda un uomo che guarda all’Occidente, ma c’è Voronin, un vecchio comunista … Insomma, è un gioco molto complicato che può sempre esplodere da un momento all’altro ma che io credo, nei prossimi passi condotti sia dalla Ue sia da Mosca, potrebbe trovare un provvisorio momento di tacitazione.

 
Georgia
A Tbilisi, sulla grande piazza davanti al parlamento georgiano è cominciato il comizio alla manifestazione indetta per chiedere le dimissioni del presidente Mikhail Saakashvili. Come riferiscono le agenzie russe, fra 100 e 120 mila persone sono affluite da ogni parte della città e anche da altre località del Paese per mostrare la propria insoddisfazione nei confronti della politica di Saakashvili, accusato dell'insuccesso della guerra contro la Russia, di non rispettare i diritti umani e di non fare abbastanza per combattere la crisi economica. Sul palco campeggia un enorme cartellone con la scritta ‘Saakashvili, dimettiti’. “Mikhail Saakashvili deve capire che è arrivato il tempo di dare le dimissioni. Lo chiede la maggioranza del Paese”, ha detto ai giornalisti prima del comizio Ninò Burdhanadze, leader del 'Movimento democratico-Georgia unità.

Elezioni in Indonesia
Si sono aperti i seggi in Indonesia per le elezioni legislative e locali. Sono 171 milioni gli elettori chiamati alle urne che devono eleggere, con un sistema proporzionale, i loro 560 deputati, oltre ai membri delle camere regionali, ai rappresentanti provinciali e di distretto. L'Indonesia è considerata la terza democrazia del pianeta, dopo l'India e gli Stati Uniti, fin dalla caduta nel 1998 del dittatore Suharto, dopo 32 anni al potere.

Pakistan
I talebani minacciano di ritirarsi dall’accordo di pace sottoscritto a febbraio. Lo fa sapere il capo del gruppo talebano promotore dell’accordo, Maluana Sufi Mohammed. Maluana aveva ottenuto dal governo provinciale della provincia frontaliera di nord ovest un accordo di pace in cambio dell’entrata in vigore della sharia, la legge islamica. Secondo il capo dei talebani, però, il governo centrale non ha ancora favorito la piena entrata in vigore della sharia. Maulana Mohammed ha detto alla stampa che se il governo centrale non si adopererà per assicurare la sharia lui non potrà garantire che la legge e l'ordine regnino nell'area, soprattutto nella Valle dello Swat.

Iraq
In occasione del sesto anniversario della caduta del regime di Saddam Hussein, decine di migliaia di sostenitori del leader radicale sciita Moqtada Sadr si sono riuniti oggi a Baghdad per chiedere “la fine dell'occupazione”. La manifestazione si svolge simbolicamente nella centrale piazza al Fardus, dove il 9 aprile 2003, davanti alle televisioni di tutto il mondo, venne abbattuta da un carro armato Usa una grande statua del dittatore iracheno. Dal palco, gli oratori hanno affermato che “milioni di iracheni” stanno affluendo verso il centro di Baghdad, sfidando la pioggia, ma l'agenzia Nina e altre fonti di stampa parlano di alcune migliaia di persone, giunte per lo più dal grande sobborgo sciita Sadr City, una delle roccaforti di Sadr, dove vivono oltre due milioni di persone.

Bce
L'economia mondiale, inclusa quella dell'area euro, è in forte rallentamento ed è 'probabile che nel corso del 2009 la domanda continui ad essere molto debole sia a livello mondiale sia nell'area dell'euro, per poi registrare una graduale ripresa durante il 2010”. È quanto si legge nel Bollettino di aprile della Bce. Ma c’è anche una raccomandazione: “È necessario che sia credibile l'impegno dei Paesi a compiere un percorso di risanamento per il ripristino di solide posizioni di bilancio, nel pieno rispetto del Patto di Stabilità e crescita”.

Regno Unito
Sono state presentate questa mattina le dimissioni del capo della sezione antiterrorismo di Scotland Yard, in seguito all’errore che ha costretto ieri ad accelerare un’operazione contro presunti terrroristi, sospettati di avere legami con Al Qaeda. Lo ha reso noto il sindaco della città, Boris Johnson, che si è detto dispiaciuto dell’accaduto: “Con grande tristezza ho accettato le dimissioni di Bob Quick da capo dell'antiterrorismo”. Nell’operazione sono state arrestate 12 persone.
 
Russia-Usa
Dopo il primo incontro fra i presidenti Dmitri Medvedev e Barack Obama, il primo aprile scorso a Londra, si può parlare di una nuova cultura del dialogo fra Russia e Stati Uniti. Lo ha detto il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, secondo il quale il colloquio fra Obama e Medvedev è stato “molto costruttivo”. Tale incontro - ha detto Lavrov in una intervista oggi ad alcuni media russi - autorizza a parlare dell'emergere di una nuova atmosfera nei rapporti russo-americani, dell'emergere di una nuova cultura del dialogo, una cultura di stima reciproca, una cultura che presuppone che le parti si sforzino non solo di ascoltare ma anche di capire quello che dice l'altro”. Lavrov ha sottolineato l’impegno a mettere a punto un nuovo accordo che sostituisca il Trattato Start 1 in scadenza a dicembre.

Corea del Nord
Il Giappone continua a lavorare per una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu contro la Corea del Nord dopo il lancio - domenica scorsa - di un missile potenzialmente utilizzabile per portare testate nucleari, “ma credo sia difficile che si arrivi a una conclusione prima della fine della settimana”. Lo ha detto il premier nipponico, Taro Aso, rispondendo alle domande nel corso di un incontro al Nihon Sisha Club di Tokyo. “Il Giappone - ha spiegato Aso - non è un membro permanente del Consiglio di Sicurezza. Nel 2006, quando ero ministro degli Esteri, ci vollero dodici giorni per raggiungere un accordo votato all'unanimità in risposta al lanciò di Pyongyang del suo Taepodong-2”. I negoziati, ha concluso, “vanno avanti insieme a Usa e altri, ma ci vuole del tempo ancora”, a causa delle diverse posizioni, con Cina e Russia orientate verso maggiore moderazione e cautela.

Piano economia in Giappone
Il premier giapponese Taro Aso scopre le carte sul suo piano dell'economia nipponica di medio termine, al 2020, che prevede di far accrescere il Pil di 120.000 miliardi di yen (925 miliardi di euro) e la creazione di 4 milioni di nuovi posti di lavoro. Intervenendo al Nihon Kisha Club di Tokyo, Aso ha detto pure che, contro la peggiore recessione dalla fine della Seconda guerra mondiale, il governo punta a generare una domanda economica aggiuntiva da 40.000 a 60.000 miliardi di yen nel prossimo triennio, con la creazione di 1,4-2 milioni di posti di lavoro facendo leva su investimenti del settore pubblico e privato e sul varo delle riforme. Tre i settori di riferimento: rivoluzione eco-sostenibile, servizi sanitari e di assistenza per una società con crescenti fasce di persone anziane, cultura e turismo.

Tibet
Due condanne a morte per i disordini di un anno fa a Lhasa. È questa la decisione presa dalla giustizia cinese che, per la prima volta, ha inflitto la pena capitale a dei rivoltosi. A Lhasa, la capitale della regione autonoma del Tibet, il 10 marzo del 2008 scoppiarono incidenti quando centinaia di monaci manifestarono ricordando la rivolta anticinese del 1959. Nei giorni seguenti le proteste proseguirono e sfociarono, il 14 marzo, in attacchi ai negozi degli immigrati cinesi, alcuni dei quali furono dati alle fiamme. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)

 

 Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 99

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