Tragedia dell’immigrazione: 200 dispersi al largo della costa libica
Il dramma dell’immigrazione ancora in evidenza. Sono circa 200 i migranti dati per
dispersi nel tratto di mare tra Libia e coste italiane in seguito al naufragio, la
notte scorsa, di tre imbarcazioni al largo della costa libica. Oltre 20 i corpi senza
vita recuperati, mentre sono oltre 300 gli irregolari salvati, molti dei quali da
un rimorchiatore italiano. A confermare la notizia, oltre alle autorità di Tripoli,
anche il personale diplomatico dell’Oim, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni.
E proprio al direttore dell’Oim, Peter Schatzer, Hélène Destombes, del
nostro programma in lingua francese, ha chiesto quali sono le strategie per combattere
questo fenomeno sempre più drammatico:
“Senza’altro
è importante avere più collaborazione tra tutti gli Stati coinvolti in questi flussi,
da una parte per ridurre le pressioni migratorie, dove è possibile, e dall’altra per
creare un sistema di identificazione dei richiedenti d’asilo. Dobbiamo evitare che
prendano queste “carrette” del mare e poi è importante la richiesta d’asilo in Italia.
Tutti insieme bisogna ridurre le pressioni più gravi e dare più informazioni sui rischi
reali dei flussi migratori, perché i migranti non muoiono solo nel Mediterraneo ma
anche nel deserto della Libia”.
Domenica scorsa, sempre al largo della
Libia, il naufragio di un'imbarcazione carica di migranti aveva provocato la morte
di 21 di loro ed un numero imprecisato di dispersi. Ma come mai non si riesce a intervenire,
almeno per salvare delle vite? Stefano Leszczynski ha intervistato Berardino
Guarino, direttore dei progetti della Fondazione Migrantes:
R. – C’è
innanzitutto un dato ineludibile, che tutti fingono di ignorare, che è questo fenomeno
dei flussi migratori. Un fenomeno che non finirà facilmente, per cui bisognerebbe
piuttosto interrogarsi su come creare dei canali umanitari, affinché queste persone
possano arrivare in Italia senza questi viaggi avventurosi. Ricordiamo che su queste
barche ci sono spesso profughi, persone, che hanno diritto all’asilo. La questione
non si risolve semplicemente pattugliando le coste. D. – Quando
si migra, si migra con tutta la famiglia? R. – Sì, le condizioni
dei Paesi da cui queste persone vengono le conoscono tutti. In alcuni casi ci sono
ulteriori recrudescenze di guerre, di conflitti. I Paesi dove si registrano fenomeni
per cui le persone scappano sono attualmente circa 40. Queste persone non hanno alcuna
alternativa che affidarsi a dei “passeur” che spesso poi li trattano come carne da
macello. Ci sono racconti allucinanti di violenze subite durante il viaggio. Il tema
è molto complesso e certamente non si risolve con il pattugliamento, ma ponendosi
innanzitutto il tema dei diritti di queste persone a trovare un approdo, un futuro,
un motivo di speranza. D. – Bisognerebbe puntare piuttosto sull’accoglienza
che sul contrasto… R. – Bisognerebbe puntare prima di tutto
sul migliorare le condizioni dei Paesi da cui queste persone vengono. Il recente viaggio
del Papa in Africa ha suscitato ulteriori domande, ulteriori appelli, ma non mi sembra
ci sia stata una mobilitazione delle coscienze. Un nuovo episodio,
dunque, che interroga drammaticamente la nostra coscienza e spinge a prendere seriamente
in esame l’immigrazione irregolare, fenomeno che, nonostante le ultime iniziative
di legge, continua ad aggravarsi. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Oliviero
Forti, responsabile dell’Ufficio Immigrazione della Caritas Italiana:
R. – Sono
dei disastri annunciati, purtroppo. Il fatto che si prendano provvedimenti sempre
più restrittivi non fa altro che spostare le rotte. Quindi, non tanto attendiamo politiche
volte a contrastare, ma ci attendiamo invece una politica di collaborazione internazionale
con i Paesi d’origine e di transito veramente efficace. Certo, l’auspicio è sempre
che queste persone non tanto vengano contrastate e rinviate nei Paesi di transito,
dove non trovano quell’accoglienza e quegli standard umanitari che ci si attenderebbe,
bensì quello che ci attendiamo è un’accoglienza nei termini non solo previsti dalla
legge ma che in qualche modo anche le nostre coscienze ritengono fondamentali. D.
– Il rischio di un viaggio che potrebbe concludersi in tragedia vale comunque la pena
di essere provato, pur di arrivare ad una realtà migliore? R.
– Evidentemente, le condizioni di partenza sono tali per cui anche questo rischio
viene calcolato e viene messo nel conto, ahimè! E’ vero che attraverso il mare transitano
migliaia di persone. Di queste, alcune centinaia ogni anno – forse migliaia in tutta
Europa – trovano la morte e questo, a nostro avviso, è l’aspetto più grave nella misura
in cui siamo consapevoli del fatto che, se queste persone fossero entrate regolarmente,
attraverso un sistema di ingressi più flessibile, non avremmo assistito a tutto ciò
a cui stiamo drammaticamente assistendo. Soprattutto, avremmo sul territorio persone
con un titolo di soggiorno, piuttosto che vedere poi con il tempo – e questo è quello
che accadrà – tanti di loro che si aggireranno irregolarmente per le nostre città,
con tutte le conseguenze che l’irregolarità produce nel tempo.