2009-03-30 14:54:28

Attaccata scuola di polizia in Pakistan: 26 morti


Dopo ore di terrore è finito l’assedio alla scuola di polizia non lontano da Lahore, in Pakistan. L’esercito ha, infatti, dichiarato di aver sconfitto il gruppo di assalitori che, stamani, ha preso di mira la struttura e ingaggiato un duro scontro a fuoco con le forze di sicurezza. Grave il bilancio dell’attacco: almeno 26 morti e quasi 90 feriti. La Chiesa cattolica del Paese ha condannato senza mezzi termini l’attentato. Peter Jacob, segretario esecutivo della Commissione nazionale di Giustizia e Pace parla di un gesto molto triste e spiega che la questione legata all’estremismo nel Paese non è stata finora affrontata in maniera adeguata. Ieri, il presidente americano Obama aveva escluso l’invio di altre truppe in Pakistan assicurando un pressing diplomatico e un intervento civile per sradicare la presenza di Al Qaeda nel Paese. Benedetta Capelli ha raccolto il commento di Emanuele Giordana, direttore dell’Associazione giornalistica Lettera 22:RealAudioMP3

R. – Credo che dobbiamo abituarci a considerare il Pakistan il terreno di uno scontro che è in parte tra forze diverse interne e in parte internazionale su un contenzioso che si gioca da anni lungo la frontiera indiana da una parte e quella afgana dall’altra. Qui il Pakistan rappresenta il terreno migliore per azioni di destabilizzazione che riguardano tutta l’area regionale. Quindi, gli attori sono spesso diversi, in molti casi in combutta tra di loro, e agiscono in un momento di grave debolezza dell’esecutivo. L’abbiamo visto nei giorni passati, sia il presidente Zardari che il primo ministro Gilani sono in una situazione di grande fragilità istituzionale, non godono in realtà di un grandissimo consenso ed è chiaro che questo è il momento migliore per fare cadere l’istituzione Paese.

 
D. - Quindi si può ipotizzare un legame con la strategia annunciata dagli Stati Uniti per contrastare la presenza talebana nel Paese?

R. – Probabilmente sì. Inoltre Obama ha dato incarico di andare a spiegare il piano esattamente a tre Paesi: l’Afghanistan il Pakistan e l’India. C’è un filo rosso che li lega così come c’è un filo più ampio che lega tutti i Paesi dell’area, nel senso esteso del termine, fino ad arrivare alla Cina, alla Russia, all’Iran. La conferenza che si svolge mercoledì all’Aja sull’Afghanistan tiene in realtà in considerazione anche questo fatto. Il tentativo degli americani è di rafforzare il Pakistan, finalmente, non solo sul piano militare, ma investendo soldi per ricostruire scuole, strade e ospedali. E' il tentativo di riprendere in mano la situazione di quel Paese. La strategia esclusivamente militare non ha portato a nulla. Va sottratta l’acqua al terrorismo e all’integralismo, creando le condizioni per cui non ci sia più consenso verso queste forze destabilizzanti che invece in molti casi, per il risentimento della gente comune, finiscono per trovare un terreno fertile e poter andare avanti indisturbati.

 
D. – Questo approccio diplomatico e civile sul quale spinge Obama, quali limiti e quali ostacoli può avere nel contesto pakistano?

 
R. – I limiti sono tanti anche perché è un’azione tardiva, in più il Pakistan è un Paese difficile che dalla sua formazione, nel 1947, si trascina una sorta di peccato originale quando fu diviso dall’India e creato artificiosamente ma in realtà con meno mezzi della sua "sorella maggiore". Inoltre per tenere insieme l’identità di un Paese molto frazionato hanno giocato la carta dell’islamismo radicale e questa è una carta che si rivolta contro l’istituzione e i Paesi. Quindi, il piano di Obama va benissimo ma non ci si può illudere che possa funzionare a breve termine. E’ un segnale importante, come sarà importante che l’Unione europea - come sembra abbia promesso - decida degli accordi di libero scambio commerciali con il Pakistan per favorire il rilancio dell’economia e quindi la stabilizzazione del Paese.







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