Contrasto della disoccupazione, sostegno ai redditi e rientro nel mercato del lavoro
di chi è rimasto vittima della crisi. Questi i punti che sintetizzano i temi su cui
si discute a Roma, a partire da oggi, nell'ambito della riunione dei ministri del
Lavoro del G8. L’evento che si concluderà martedì prossimo coinvolge anche i ministri
del Lavoro di Cina, India, Brasile, Messico, Sudafrica ed Egitto, assieme a numerose
organizzazioni internazionali, oltre all’Unione Europea. ‘People first’, ovvero le
persone innanzitutto, il titolo deciso per questo vertice dedicato alle conseguenze
sociali della crisi economica. Un contesto, in cui appaiono sempre più indispensabili
azioni condivise e coordinate a livello internazionale, come ci spiega Claudio
Lenoci, direttore dell’Ufficio romano dell’Ilo, l’Organizzazione Internazionale
del Lavoro, intervistato da Stefano Leszczynski:
R. – Abbiamo
subito segnalato, forse prima di altri, la drammaticità di questa crisi, la possibilità
che si possa arrivare nel mondo addirittura a 40 milioni di disoccupati. Quindi, da
questo punto di vista, non c’è ancora una luce in fondo al tunnel. Quello che è positivo
è che c’è uno sforzo più coordinato da parte dei governi mondiali, per ricercare delle
risposte che siano in sintonia, ed è quello che sta accadendo soprattutto in Europa.
D. – Qual è la direzione, secondo l’Ilo, in cui i sistemi economici
dovrebbero muoversi per recuperare una solidità? R. – La situazione
della crisi mondiale che si riflette in crisi dell’occupazione non può non chiamare
ad un maggiore ruolo la massima organizzazione internazionale sul lavoro, che è la
nostra, e che fra l’altro ha due particolarità molto importanti. E’ all’interno del
sistema delle Nazioni Unite, quindi è un’agenzia dell’Onu, ed è l’unica organizzazione
internazionale che ha una costituzione tripartita, nel senso che governi, imprenditori
e lavoratori sono i “constituents” della nostra organizzazione. Ed è evidente che
in un momento come questo, il ruolo dell’Ilo è destinato a crescere. Non è una crisi
che si può risolvere con compartimenti stagni, così come è stato fatto nel passato.
Non c’è un aspetto della finanza che non debba essere correlato ai problemi sociali,
ai problemi del lavoro. D. – Direttore, lei diceva che non si
può ragionare per compartimenti stagni, tuttavia la crisi del mercato del lavoro,
a livello internazionale, presenta aspetti diversi. Come leggete, ad esempio, la situazione
nei Paesi più poveri, nei Paesi in via di sviluppo? R. – La
crisi colpisce i più deboli. Ed è inevitabile che la crisi colpisca i Paesi più deboli,
i Paesi più poveri, i Paesi in via di sviluppo. Su questo e su quello che si può fare
per evitare la famosa emigrazione di ritorno sono ricette antiche che però non hanno
visto un concreto dispiegamento di azioni conseguenti. Investimenti nei Paesi in via
di sviluppo, più coordinati, più controllati, più significativi, rivolti a realizzare
reali condizioni di occupazione in quei Paesi. Tutto questo, naturalmente, è stato
più volte detto nel passato, ma le azioni non sono state mai conseguenti, ed è giunto
il momento invece di voltare pagina su questo. D. – Il fatto
che nel passato i singoli Stati abbiano teso ad ignorare l’indicazione degli ambienti
internazionali. Oggi sembra di assistere ad un’inversione di tendenza. Insomma, le
organizzazioni internazionali, gli organismi internazionali, sembrano avere acquistato
una maggiore credibilità presso gli Stati… R. – E’ così, deve
essere così. Abbiamo avuto mancanza di coordinamento nella politica europea sull’occupazione.
Abbiamo avuto una mancanza di collegamento con le massime istituzioni internazionali,
con gli organismi internazionali. Si è proceduto per strade diverse a seconda che
si trattasse di affrontare il problema dal punto di vista finanziario ed economico
e dal punto di vista dell’occupazione e del lavoro. Tutto questo è alle nostre spalle.
Sono molto ottimista sul fatto che governi, organizzazioni, mondo internazionale vadano
più coordinandosi sull’esigenza di dare una risposta globale.