No dei vescovi britannici alla legalizzazione subdola del suicidio assistito
Non si può “mettere fuori legge l’istigazione al suicidio e contemporaneamente voler
permettere l’assistenza allo stesso a persone che vanno all’estero per potersi uccidere”.
È quanto afferma mons. Peter Smith, responsabile del Dipartimento per la cittadinanza
cristiana della Conferenza episcopale inglese e gallese a proposito della mozione
presentata da un gruppo di parlamentari per aprire il dibattito sul suicidio medicalmente
assistito, attualmente vietato nel Regno Unito. La mozione segue il recente caso di
due coniugi di Bath affetti da cancro allo stadio terminale che si sono tolti la vita
in Svizzera presso la nota clinica di assistenza al suicidio “Dignitas”. I suoi firmatari
vorrebbero introdurre un emendamento a un disegno di legge che sarà discusso il prossimo
mese di aprile per modificare e aggiornare la legge sul suicidio del 1961. A loro
avviso, nella sua attuale formulazione, il “Coroners and Justice Bill”, non distingue
in modo abbastanza chiaro fra chi incoraggia con malizia altri a suicidarsi e chi
invece assiste con compassione un malato terminale che vuole morire. Un’argomentazione
debole che non tiene conto della complessità della realtà, rileva mons. Smith in
una lettera aperta al Times di Londra in cui accusa i promotori dell’iniziativa di
volere stravolgere lo spirito del provvedimento, mirando a una legalizzazione di fatto
del suicidio assistito. Il rischio – avverte l’arcivescovo di Cardiff – è di permettere
ad alcune persone, mosse magari da intenti poco nobili, di incoraggiare i loro congiunti
gravemente malati ad anticipare la propria morte. “Allo stato attuale – rileva la
lettera – questi ultimi sono tutelati dalla legge: il suicidio assistito è illegale.
Se invece dovesse essere legalizzato in alcuni casi, si aprirebbero le porte non solo
a quella minoranza di persone che nelle loro piene facoltà mentali sono determinate
a morire, ma anche alle ben più numerose persone che potrebbero convincersi, o essere
subdolamente convinte da altre, che la morte sia la soluzione migliore per sé e per
quelli che li circondano”, conclude mons. Smith. (L.Z.)