Il viaggio del Papa in Africa all’insegna della speranza e del realismo: la riflessione
di padre Federico Lombardi
“Ho avuto la possibilità di incontrare popoli ancorati a salde tradizioni spirituali
e desiderosi di progredire nel giusto benessere”: è quanto scrive Benedetto XVI in
un telegramma indirizzato, ieri sera, al presidente della Repubblica italiana, Giorgio
Napolitano, al rientro a Roma dal suo primo viaggio nel continente africano. Dal canto
suo, in un messaggio inviato al Pontefice, il presidente Napolitano mette l’accento
sulla “passione e determinazione” con la quale il Papa ha richiamato la comunità internazionale
a sostenere “gli sforzi dei Paesi africani” in vista di uno sviluppo “fondato sulla
promozione della dignità della persona e sul fermo rifiuto di ogni discriminazione”.
All’indomani della conclusione del viaggio, il direttore generale della nostra emittente,
padre Federico Lombardi, si sofferma sugli aspetti salienti della visita del
Papa in Camerun e Angola. L’intervista è di Alessandro Gisotti:
R. – Io parlerei
di realismo e di speranza perché il Papa ha guardato la realtà dell’Africa in un modo
molto concreto, ha messo in luce tutti i suoi grandi problemi ma ha anche invitato
a guardare lontano, in una chiave cristiana. Naturalmente, questo messaggio della
speranza vale per tutti i cristiani in tutte le parti del mondo, ma per L’Africa può
darsi che questa espressione abbia un significato specifico, proprio perché noi vediamo
e sappiamo che ci sono dei problemi drammatici. Per questo, l’invito alla speranza
è particolarmente urgente ed è giusto che il Papa abbia ricordato il valore grande
di questa virtù per tutti i cristiani impegnati in questo continente.
D.
– Donne e giovani sono senza dubbio i protagonisti del futuro dell’Africa. A loro
il Papa ha dedicato forse i momenti più belli di questo viaggio. Una sua riflessione…
R.
– E’ vero. L’incontro con i giovani è un po’ una tradizione dei viaggi del Papa, quello
con le donne è stato meno comune. Anche se le donne erano sempre inserite fra le componenti
attive della Chiesa, questa volta si è voluto fare ad esse anche un discorso. Dimostrare
ad esse un’attenzione particolare, nella consapevolezza del loro ruolo fondamentale
di accoglienza e generazione della vita, di centro della famiglia, di centro anche
della società, in un certo senso, della comunità allargata tramite i doni, i carismi
che la donna ha anche di aiutare alla comprensione, al dialogo, all’accettazione reciproca.
D.
–In che modo questa visita del Pontefice potrà aiutare la Chiesa africana a rendere
fruttuoso il Sinodo in programma ad ottobre?
R. –
Io credo che sia stata una buona scelta quella di fare il viaggio del Papa in Africa
prima del Sinodo per distribuire l’Instrumentum Laboris, presentarlo, perché questo
dà un grande impulso alla preparazione del Sinodo; fa vedere che il Papa e la Chiesa
universale sono molto interessati a questo evento, lo seguono, vi vogliono partecipare,
lo accompagnano con la loro preghiera. Adesso che l’Instrumentum Laboris è pronto,
è proprio un grande quadro aperto in cui inserire una quantità di riflessioni, di
contributi concreti, di approfondimenti, che poi nell’Assemblea di ottobre avranno
tutto il loro spazio.
D. - La visita di Benedetto
XVI in Camerun e Angola ha fatto bene all’Africa, ma anche il Papa torna rinfrancato
dall’abbraccio caloroso e entusiasta di una Chiesa viva e dinamica. Davvero “fa ridere”
- come ha detto il Santo Padre - il mito della sua solitudine…
R.
– Fa sorridere, certamente, perché lui sa quanto la sua vita sia densa di rapporti
con gli altri, di rapporti importanti, di ascolto, di fiducia e, quindi, non si può
proprio parlare di solitudine. Abbiamo visto anche la solidarietà che i vescovi hanno
voluto manifestare in questi ultimi mesi. Abbiamo visto l’entusiasmo e l’abbraccio
di popolazioni numerosissime. Quindi, il Papa non si sente solo né a livello del governo
della Chiesa, né a livello della gente che incontra.
D.
– In Africa il viaggio del Papa è stato unanimemente considerato un successo, un contributo
importante per tutta l’Africa, non solo per i cattolici. In Occidente, invece, molti
media si sono fossilizzati su argomenti polemici. Ma quali sono dunque i temi forti
di questo viaggio che sono passati in secondo piano?
R.
– Io ho un po’ l’impressione che quello che qui in Occidente è difficile capire è
l’approccio specifico con cui la Chiesa guarda allo sviluppo e al progresso dei popoli.
Bisogna ripartire un po’ dalla Popolorum Progressio di Paolo VI, per capirlo meglio.
La Chiesa ha una visione della dignità della persona e di ogni persona, del fatto
che ognuno deve crescere nella responsabilità e nella libertà e su questo si costruisce
poi una società con dei valori di convivenza, nella democrazia, nella libertà. Questo
però è un lungo cammino, un cammino complesso, che prende tante dimensioni ma che
parte dalla convinzione profonda che ogni singola persona ha un valore enorme davanti
a Dio e ha una grande dignità, è chiamata da Dio ad assumere le sue responsabilità.
Io guardavo, passando con il Papa, queste centinaia di migliaia di persone: non sono
numeri, non sono animali da limitare o da governare con la forza o con delle misure
semplicemente economiche o poliziesche o di altro genere. Sono delle persone. Ognuno
è un volto dietro cui la Chiesa vede una persona che ha una dignità infinita e che
è chiamata ad assumere le sue responsabilità e a crescere. E’ questo che mi sembra
manchi in tante delle prospettive di cui abbiamo sentito parlare in questi giorni
nel guardare all’Africa e al suo futuro.